centri antiviolenza il ruolo degli psicologi e della resilienza

Centri antiviolenza: il ruolo degli psicologi e della resilienza

Articolo di Alessandra Serio

Centro Antiviolenza
Debellare lo stigma dell’etichettamento: da “vittima” a “sopravvissuta”

La mia attività di operatrice presso il Centro Antiviolenza E.m.m.a Onlus, si è avviata con un corso di formazione rivolto alle nuove volontarie, che ha fornito gli strumenti necessari per comprendere meglio la cultura soggiacente a fenomeni di natura violenta, come sia cambiato il “ruolo” dell’uomo e della donna nel tempo, e come tale cambiamento abbia prodotto ripercussioni nel rapporto di coppia, e quale sia lo stato d’animo che caratterizza una donna, da quando sceglie di varcare la porta d’ingresso del Centro, fino a quando, una volta concluso il proprio percorso, va via.
Il corso si è articolato su temi quali: la cultura sottostante i comportamenti alla base della violenza di genere, il punto di vista maschile e femminile rispetto al tema, ed il fenomeno dell’etichettamento.
Rispetto alla cultura, essa riflette il secolo e la società di riferimento, mutando con l’evolversi del tempo: ammesso che ad un uomo sia riconosciuta dalla società una posizione superiore rispetto alla donna, e, che quest’ultima sia assimilata a mera proprietà del compagno, e necessariamente sottomessa e dipendente da esso, in ambito psicologico ed economico, allora si renderanno legittimi e socialmente accettabili, in una visione estremizzata di tale ottica, tutti i comportamenti violenti perpetrati da un uomo nei confronti della propria compagna.

Al fine di debellare il fenomeno della violenza di genere, sarebbe necessario rieducare uomini e donne al rispetto reciproco, riconoscendosi l’un l’altro pari dignità, e soprattutto, ammettendo punti di forza e debolezze reciproci, perché possano finalmente riconoscersi in una relazione paritaria e simmetrica.
Le relazioni che intercorrono tra due individui di cui uno dominante e l’altro sottomesso, sono incentivate da stereotipi ed etichette radicate ed interiorizzate, che ne rendono difficile, ma non impossibile, il debellamento.

Gli stereotipi vedono nelle donne il sesso debole e riconoscono all’uomo il ruolo di capo famiglia e protettore; al contempo, mentre alle donne viene riconosciuta la possibilità di provare emozioni, gli uomini incarnano un’ideale di virilità che verrebbe meno qualora mettessero a nudo i propri sentimenti.
Gli stereotipi generano etichette sociali, che una volta attribuite, causano sofferenza e stigmatizzano le donne; la stessa parola “vittima”, in riferimento ad una donna che subisce violenze e/o maltrattamenti, rimanda ad un’idea di passività ed impotenza, cristallizzando in uno status quella che si configura come una condizione estemporanea (Sbattella, 2012); a tal proposito, le stesse operatrici devono essere caute, adoperando un linguaggio che eviti il rischio di ritraumatizzazione, pertanto, è preferibile sostituire tale termine con la parola “sopravvissuta”, per riferirsi ad ogni donna che decide di varcare la soglia di un Centro Antiviolenza; in questo modo infatti, oltre ad evitare l’effetto stigmatizzante e statico del termine “vittima”, si passerebbe ad una concezione dinamica, in cui la donna possa affrontare di petto la propria condizione, e farvi fronte con le risorse disponibili, interne ed esterne; questo termine inoltre mette in evidenza la volontà delle donne di reagire e riprendere in mano la propria vita. Il processo a cui prende parte, in linea teorica, prevede una fase iniziale in cui la donna subisce il peso di quanto le accade, avvertendo una sensazione di impotenza, rispetto al potersi liberare dalle etichette che la relegano ed inchiodano nella propria “condizione di vittima”; ma nella fase finale, sarà in grado di riscoprire in sé stessa gli strumenti necessari a reagire, per poter esercitare il diritto di esprimere se stessa ed autodeterminarsi, e tutto ciò, sarà reso possibile dalla presenza delle operatrici, che accompagnano ogni donna, lungo la via della resilienza (Zoli, 2017).

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