Come diagnosticare la Malattia di Alzheimer
Criteri del DSM 5 per il Disturbo Neurocognitivo Maggiore Dovuto ad Alzheimer
Per poter diagnosticare il Disturbo Neurocognitivo maggiore dovuto ad Alzheimer, è necessaria la soddisfazione dei criteri per il Disturbo Neurocognitivo Maggiore.
Nel DSM-5 possiamo riscontrare, per il Disturbo Neurocognitivo Maggiore, i seguenti criteri:
- Un evidenza significativa del declino cognitivo da un precedente livello di performance in una o più aree cognitive (attenzione complessa, funzione esecutiva, apprendimento e memoria, linguaggio, precettivo motorio o cognizione sociale) basate su: 1. Preoccupazione sull’individuo, un notevole riconoscimento clinico che c’è stato un declino significativo delle funzioni cognitive; e 2. Un sostanziale indebolimento nella performance cognitiva, preferibilmente documentata da testing neuropsicologico sostanziale o, in sua assenza, di un altro assessment clinico quantificato;
- I deficit cognitivi interferiscono con indipendenza nelle attività di ogni giorno;
- I deficit cognitivi non si verificano esclusivamente nel contesto di un delirio;
- I deficit cognitivi non sono meglio spiegati da un altro disturbo mentale (ad es., disturbo depressivo maggiore, schizofrenia).
La diagnosi di disturbo neurocognitivo maggiore si impernia dunque sull’alterazioni di variabili come attenzione complessa, funzione esecutiva, apprendimento e memoria, linguaggio, percettivo-motorio e cognizione sociale, che possono essere definite come segue:
- Attenzione complessa: il paziente ha una maggiore difficoltà nella gestione di diversi stimoli (TV, radio, conversazione). Ha difficoltà a trattenere nuove informazioni in mente (ricordare numeri di telefono, indirizzi o semplicemente ha difficoltà a ripetere ciò che gli è stato appena detto).
- Funzione esecutiva: il paziente non è in grado di mettere in atto progetti complessi. Ha bisogno di affidarsi agli altri per pianificare attività strumentale nella vita quotidiana e di fare decisioni
- Apprendimento e memoria: il paziente ripete a se stesso la conversazione, spesso all’interno della stessa conversazioni. Il paziente non riesce a mantenere una traccia di una breve lista di oggetti quando fa compere o quando pianifica le attività della giornata, ha bisogno di numerosi reminder per orientare i propri compiti
- Linguaggio: il paziente ha difficoltà significative con il linguaggio espressivo e recettivo. Utilizza spesso termini generali come “quella cosa” e “sai cosa intendo”. Quando la difficoltà è severa, può comparire anche la difficoltà
- Percettivo motorio: c’è una difficoltà significativa nel compiere attività che precedentemente erano familiari (usare oggetti, guidare veicoli)
- Cognizione sociale: Il paziente potrebbe avere modifiche nel comportamento (mostrare insensibilità alle norme sociali), fa decisioni senza considerarne la loro sicurezza sul profilo sociale. Il paziente ha di solito un piccolo insight a proposito di questi cambiamenti.
I criteri del DSM-5 per diagnosticare il disturbo neurocognitivo maggiore dovuto a malattia di Alzheimer sono invece i seguenti:
- i criteri per il disturbo neurocognitivo maggiore sono soddisfatti. B. c’è una progressione graduale del deficit in uno o più domini cognitivi. C. I criteri sono soddisfatti per la probabile o possibile Malattia di Alzheimer come segue: per il disturbo neurocognitivo maggiore probabile dovuto alla Malattia di Alzheimer occorre soddisfare entrambi questi criteri, la diagnosi possibile invece andrebbe diagnosticata in caso di presenza di uno solo dei due seguenti criteri. 1. Evidenza di una mutazione genetica legata alla Malattia di Alzheimer nella storia della famiglia o riscontrata nel testing genetico. 2. Presenza dei tre seguenti criteri: a. chiara evidenza del declino nella memoria e nell’apprendimento ed almeno uno degli altri domini cognitivi (basandosi su una storia dettagliata o su di una serie di test neuropsicologici). b. declino graduale e progressivo nella cognizione, senza plateau estesi. c. nessuna evidenza di eziologia mista (ad es., assenza di altri disturbo neurodegenerativi o cerebrovascolari o altre malattie neurologiche, mentali o sistemiche che possono contribuire al declino cognitivo).
La Malattia di Alzheimer è la più comune delle demenze, in quanto riguarda dal 50 al 70% dei casi di demenza. Rispetto alla fasce di età, la presenza di tale malattia è diffusa nell’1% della popolazione a 65 anni, la prevalenza a 80 anni è del 15% a 90 anni è prevalente nel 40% dei casi.
Esordio, diagnosi e sviluppo della malattia
Negli ultimi decenni, è aumentato l’interesse nei confronti della transizione tra il normale invecchiamento cognitivo e le prime manifestazioni dei disturbi di demenza, in modo particolare della Malattia di Alzheimer. L’esordio è spesso sottovalutato e legato a piccolissime variazioni nella performance cognitiva del soggetto, avviene solitamente dopo i 65 anni, sebbene in alcuni casi siano ravvisabili sintomi anche prima dei 65 anni. In alcuni casi sono stati osservati sintomi fino ad 8 anni prima della vera e propria diagnosi di Malattia di Alzheimer (Backman, Jones, Berger, Laukka, Small, 2004).
I cambiamenti che precedono l’Alzheimer e che ne portano all’esordio sono stati definiti in modi diversi tra di loro: danneggiamento della memoria associati all’età, declino cognitivo associato all’età, danneggiamento cognitivo senza demenza e Mild Cognitive impairment (MCI).
L’ultima definizione è la più utilizzata in ambito clinico, il Mild Cognitive Impairment descrive lo stato cognitivo di persone non dementi che riportano dei deficit di memoria, i quali dovrebbero essere preferibilmente corroborati da una persona che informa il clinico di ciò, o meglio, tramite l’utilizzo di test psicometrici oggettivi; questi deficit non dovrebbero impattare sul funzionamento cognitivo generale, né dovrebbero influire sull’abilità di mettere in atto attività di tutti i giorni. Le persone che hanno una diagnosi di MCI hanno un maggiore rischio di avere in seguito la Malattia di Alzheimer. In ogni caso, i dati riscontrati da Forlenza, Diniz, Stella, Teixeira, Gattaz (2013) hanno mostrato che l’MCI non è sempre sinonimo dell’inizio di una demenza. Considerando però che la natura progressiva dei disturbi neurodegenerativi, è plausibile pensare che nei primi stadi di qualunque di questi disturbi ci siano gli elementi dell’MCI. Ciò non significa che sia vero il contrario, in quanto alcune persone che soddisfano i criteri diagnostici dell’MCI potrebbero non sviluppare in seguito una demenza, per questo sono necessari strumenti di assessment per formulare diagnosi a breve e a lungo termine associati all’MCI.
La difficoltà nella definizione di quali possano essere i sintomi predittivi di Alzheimer complica il tema della comunicazione della diagnosi. I segnali di MCI non rappresentano una certa evoluzione in uno stato più grave come la Malattia di Alzheimer e diventa difficile definire quando è il caso di comunicare questo rischio.
Secondo il National Institute on Aging, è inoltre opportuno introdurre il concetto di Malattia di Alzheimer preclinico, una fase della patologia in un cui è possibile evidenziare quei marker misurabili nell’attività del cervello che possono entrare in gioco alcuni anni prima dei sintomi che riguardano la memoria, il modo di pensare o di comportarsi tipici della Malattia di Alzheimer riconosciuti dalle persone vicine al paziente o dal clinico. Lo studio approfondito di tale fase può farci capire quali sono i metodi più efficaci per identificare una fase ancora precedente all’MCI, dove sono già presenti indicatori biologici del declino cognitivo ed anticipare la Malattia di Alzheimer ed adottare tutte le misure di precauzione che possono non far degenerare la situazione o comunque possono gestirla nel modo più efficace possibile. Sperling et al. (2011) identificano delle linee guida per valutare questo stadio. Secondo gli autori è possibile individuare una Malattia di Alzheimer pre-clinica in tre stadi, sebbene i primi due potrebbero non verificarsi in alcuni pazienti. Nella prima fasi i dati riguardano l’amiloidosi asintomatica, da riscontrare con basso CSD Ab e tracer della ritenzione degli amiloidi tramite PET. Nella seconda fase è possibile osservare secondo gli autori l’amiloidosi e la neurodegenerazione. I criteri per identificare questa seconda fase sono la disfunzione neuronale riscontrata sulla fluorodeossiglucosio tramite gli strumenti PET/fMRI, alto fluido cerebrospinale tau (p-tau), assottigliamento della corteccia, atrofia ippocampale nel sMRI. Infine, la terza fase comprende amiloidosi, neurodegenerazione e lieve declino cognitivo, i criteri di identificazione della fase tre sono l’evidenza di un cambiamento in negativo nel livello di cognizione rispetto alla baseline, scarsa performance nei test cognitivi più sfidanti, per essere definiti in questo stadio non ci deve essere la soddisfazione dei criteri di MCI.
Recenti ricerche suggeriscono che ci siano un ruolo del brain-derived neurotrophic factor (BDNF) nello sviluppo della Malattia di Alzheimer. Il BDNF è una proteina endogena coinvolta nel mantenimento delle funzioni neuronale della plasticità sinaptica e dell’integrità strutturale nel cervello adulto. Il fattore neurotrofico (BDNF) cerebrale interviene sui neuroni del sistema nervoso centrale (SNC) e del sistema nervoso periferico (SNP) per favorire il sostenimento dei neuroni esistenti ed aumentando la probabilità di sviluppo e differenziazione di sinapsi. Il BDNF si trova nell’ippocampo, nella corteccia e nel prosencefalo, il BDNF ha un ruolo centrale nella memoria a lungo termine ed è per questo che Laske et al. (2006) hanno valutato le relazioni tra il BDNF e gli stadi dell’Alzheimer.
In particolare, gli autori hanno valutato la relazione tra il BDNF e le concentrazioni di CSF in 30 pazienti, con Malattia di Alzheimer a diversi stadi, confrontando tali risultati con 10 persone non dementi della stessa età. Per poter definire lo stadio della demenza è stato utilizzato uno dei più comuni strumenti di valutazione della demenza, l’MMSE, suddividendo il campione in due sottocampioni: il primo era riferito ai soggetti con un punteggio maggiore o uguale a 21, il secondo inferiore a 21.
Il test MMSE (Folstein, Folstein, Hugh, 1975) è uno degli strumenti più utilizzati per la valutazione rapida della Malattia di Alzheimer, ed ha lo scopo di discriminare i pazienti mentalmente deteriorati dai sani, valutando una serie di abilità come l’orientamento spaziale e temporale, le abilità di apprendimento, le abilità di attenzione e concentrazione, le capacità linguistiche e prassiche.
Il risultato principale di questa ricerca è il ritrovamento di un significativo aumento di concentrazione di BDNF nel siero nell’Alzheimer lieve, comparato con gli stadi successivi di Malattia di Alzheimer. Probabilmente, tale risultato nei primi stadi dell’Alzheimer è legato ad una sorta di meccanismo di riparazione nelle prime fasi della neurodegenerazione, e potrebbe avere anche un ruolo nell’aumento della degradazione del beta amiloide. Durante il corso della malattia, il BDNF diminuisce, e questo correla con la severità della demenza.
La diminuzione del BDNF potrebbe costituire una riduzione del supporto trofico ed un aumento dell’accumulazione dell’Ab e questo potrebbe contribuire alla progressiva degenerazione di specifica regioni delle parti del cervello affette da Malattia di Alzheimer.
Considerato l’esordio e lo sviluppo graduale della patologia e le difficoltà inerenti la valutazione dei primi sintomi o addirittura preclinici, diventa complesso il tema della diagnosi. Il vantaggio della valutazione preliminare dei primi sintomi di questa patologia, può sicuramente riguardare un migliore trattamento della stessa che potrebbe a sua volta migliorare la qualità della vita e lo sviluppo della malattia.
Eppure, come abbiamo visto, lo stadio di Mild Cognitive Impairment non sempre porta alla Malattia di Alzheimer. Per questo motivo, questa situazione lascia aperta una valutazione da fare in sede diagnosi: è realmente utile dare una diagnosi prima della comparsa di tutti i sintomi? La restituzione del medico potrebbe essere vissuta da parte del paziente come una condanna inevitabile da parte del soggetto. Inoltre, è opportuno valutare a chi consegnare tale diagnosi, se solo al paziente o anche ai parenti, parenti che giocheranno un ruolo fondamentale in fase di assistenza. Per questo motivo è sempre opportuno ricordare il fatto che diversi metodi oggi utilizzati per formulare una diagnosi in fase pre-sintomatica non hanno un’attendibilità totale, né considerano i fattori di differenza individuale rispetto alla patologia. Su di un profilo etico, ma anche psicologico occorre valutare il fatto che la comunicazione, con una probabilità discreta di sbagliarsi di una patologia non guaribile potrebbe impattare inutilmente sulla sofferenza psicologica.
Nel caso della diagnosi della patologia che ha determinate manifestazioni cliniche è dovere del medico quello di gestire la diagnosi. La diagnosi è complessa da dare soprattutto per le difficoltà che possono entrare in gioco dal punto di vista emotivo e cognitivo, in quanto può provocare l’emozione di vergogna, determinata dal fatto che la malattia è spesso associata alla perdita di dignità personale.
La persona che riceve la diagnosi cerca delle spiegazioni ai cambiamenti che sta vivendo, e quindi il fatto di non comunicare la diagnosi subito può portare solo a un peggioramento delle possibilità di assistenza. La diagnosi deve essere dunque un momento in cui si da l’opportunità alla persona di pianificare la propria vita, ma soprattutto di accedere ai giusti servizi di assistenza. È opportuno consigliare al malato di comunicare la propria diagnosi ai familiari, in quanto essi saranno fondamentali nelle fasi successive della patologia.
Turnbull et al. (2003) affermano che il modo di comunicare la diagnosi richiede da parte del clinico determinate abilità psicologiche come empatia ed alta sensibilità. In particolare, secondo l’autore, ci sono dei criteri da considerare nella comunicazione della diagnosi di Alzheimer, occorre dare sostegno psicologico, notevoli rassicurazioni sia ai pazienti sia ai familiari su ciò che è possibile fare e sulle cure disponibili. Sono fondamentali inoltre i dettagli sugli sviluppi e il decorso della patologia e, può essere opportuno, effettuare una valutazione della personalità dell’individuo che può essere utile per prevenire eventuali reazioni negative.
Riguardo gli sviluppi della Malattia di Alzheimer, occorre considerare che la patologia peggiora nel tempo, per questo motivo può essere opportuno definire gli stadi della patologia, rispetto alla normale funzionalità delle persone.
Secondo Reisberg (2007) è possibile definire sette stadi della malattia di Alzheimer
- Stadio 1: Nessuna disabilità
- Stadio 2: Declino cognitivo molto lieve
- Stadio 3: Declino cognitivo lieve
- Stadio 4: Declino cognitivo moderato
- Stadio 5: Declino cognitivo moderatamente grave
- Stadio 6: Declino cognitivo grave
- Stadio 7: Declino cognitivo molto grave
I modelli stadiali forniscono un’idea complessiva del modo in cui le abilità possono cambiare durante il corso del Morbo di Alzheimer. Occorre inoltre considerare che esistono numerose differenze individuali che possono entrare in gioco ad esempio nella velocità con cui si attraversano i vari stadi, inoltre non tutti i pazienti potrebbero riscontrare gli stessi sintomi nello stesso modo, tuttavia, resta utile considerare il modello stadiale in quanto ci può dare un’idea complessiva dello sviluppo della malattia. Gli stadi vanno pensati come disposti lungo un continuum, per questo motivo è difficile categorizzare la persona a pieno all’interno di un unico stadio, essi hanno dunque un valore indicativo ed orientativo.
Il primo stadio è definito come “nessuna disabilità” o “funzionalità normale”, nella quale il malato non ha problemi di memoria, spesso, la visita fatta da un medico non dimostra sintomi di demenza.
Il secondo stadio è definito “declino cognitivo molto lieve”, il limite del secondo stadio è la difficoltà di distinzione tra primi segnali della Malattia di Alzheimer e normali cambiamenti dovuto all’età. Potrebbero verificarsi in questa fase dei vuoti di memoria, dimenticanze di parole o la normale disposizione di oggetti nella casa. Secondo Reisberg, solitamente anche in questo caso non vengono rilevati sintomi di demenza nelle visite mediche.
Il terzo stadio è definito “declino cognitivo lieve”, in questo caso la probabilità di riscontrare una Malattia di Alzheimer, quantomeno in forma precoce aumenta. Solitamente sono le persone più vicine, amici, familiari o colleghi di lavoro a notare dei problemi di memoria. Quando si fa una visita medica approfondita vengono solitamente riscontrate alcune delle seguenti difficoltà: notevoli problemi a trovare la parola o il nome corretto, difficoltà a ricordare i nomi di persone appena presentati, problemi notevolmente maggiori nello svolgimento di attività quotidiane nei contesti sociali o di lavoro, difficoltà di memoria di concetti appena letti, non ritrovare più oggetti di valore, notevole maggiore difficoltà nella programmazione ed organizzazione di compiti.
Il quarto stadio è definito “declino cognitivo moderato” o “malattia di Alzheimer lieve o in fase precoce”, in questo caso, secondo il Modello di Reisberg, la situazione dovrebbe essere più chiara, i pazienti dimenticano sempre di più eventi anche recenti, la capacità di fare calcoli matematici impegnativi diventa compromessa, c’è più difficoltà a mettere in atto compiti complessi, attività di pianificazione, rispetto di scadenze, gestione economica, pagamento delle bollette, inizia a deteriorarsi anche il ricordo della propria storia di vita, osserviamo in questa fase anche delle alterazioni del carattere che diventa sempre più lunatico o riservato, soprattutto quando è richiesta un’attività socialmente o mentalmente impegnativa.
La quinta fase è definita “declino cognitivo moderatamente grave” o “malattia di Alzheimer moderata o in stadio intermedio”. È evidente in questo caso il limite di memoria e di pensiero, diventa inoltre necessaria l’assistenza per la vita di tutti i giorni. Chi si trova nella quinta fase, solitamente, mostra le seguenti caratteristiche: non ricorda il proprio numero telefonico o l’indirizzo di casa, la scuola o l’università dove ha studiato, ha confusione sul giorno o sul luogo in cui si trova al momento, non riesce a contare all’indietro da 40 a 4 a 4, o da 20 a 2 a 2, non riesce a selezionare il vestito adeguato alla stagione o al contesto sociale, non è in grado di ricordare particolari importanti della propria vita e della propria famiglia, in questo stadio non necessita assistenza per mangiare o andare in bagno.
Il sesto stadio può essere definito “declino cognitivo grave” o “malattia di Alzheimer moderatamente grave o in fase media”. In questo stadio, la memoria ha un ulteirore deterioramento e si possono verificare delle modifiche nella personalità, la necessità di assistenza diventa sempre più impellente per svolgere le attività della vita quotidiana.
In questa fase la persona ha una perdita di consapevolezza delle esperienze più vicine nel tempo e del contesto in cui si trova, può ricordare il nome, ma non si ricorda la propria vita, riesce ancora a distinguere i volti conosciuti e quelli sconosciuti, ma non riesce a collegare il volto al nome, anche quando si tratta di una persona molto vicina come un coniuge o del caregiver principale.
Il paziente ha bisogno di assistenza per vestirsi in modo corretto, e senza assistenza compie errori, come ad esempio indossare il pigiama sopra i vestiti o indossare le scarpe sul piede sbagliato. Possono verificarsi modifiche nei modelli del sonno come dormire di giorno e svegliarsi di notte, il paziente ha difficoltà nella gestione di alcuni aspetti dell’igiene personale, diventa più difficile controllo della vescica o dell’intestino. Possono verificarsi, a seguito del deterioramento cognitivo, forti cambi di personalità e di comportamento, che si esprimono alcune volte con il sospetto e le fissazioni, o anche con la ripetizione e la compulsività dei comportamenti (ad esempio, torcersi le mani, spezzettare fazzoletti di carta). La persona tende a perdersi o a vagare.
Nel settimo ed ultimo stadio, chiamato “declino cognitivo molto grave” o “malattia di Alzheimer grave o in fase avanzata” c’è una perdita della capacità di risposta all’ambiente, il soggetto non è in grado di portare avanti una conversazione e di controllo del movimenti, sono però utilizzate singole parole o brevi frasi. In questo stadio, è indispensabile l’assistenza per la cura della persona per quanto concerne l’alimentazione e l’igiene personale. In alcuni casi viene persa l’abilità di sorrridere, di sedersi senza supporto e di sorreggere la propria testa, la deglutizione diventa difficile e si irrigidiscono i muscoli.
Corsi Gratis in PsicologiaScrivi a Igor Vitale