Come Riconoscere le Espressioni Facciali False
Lasciando da parte i segni attraverso i quali il viso può tradire un’emozione nascosta, passiamo a considerare quegli indizi che fanno capire che una mimica è falsa. Un indizio in questo senso è già stato sopra affrontato, ed è l’esistenza di muscoli meno controllabili, e quindi più attendibili, che non entrano in azione in una mimica non sincera. Ci sono altri tre indizi che fanno pensare che un’espressione non sia sincera:
- l’asimmetria del volto
- la scelta del tempo
- collocazione dell’espressione nel corso della conversazione (Ekman & Friesen, 1969).
Per quanto riguarda l’espressione asimmetrica del volto, i movimenti che appaiono sono uguali in entrambi i lati del volto ma con un’intensità differente, risultano più accentuate su un lato rispetto l’altro. Tali espressioni non vanno confuse con quelle unilaterali che invece hanno la caratteristica di apparire in una sola metà del viso. Questo fenomeno di asimmetria accade solo nel caso in cui l’espressione sia volontaria, ovvero quando l’individuo cerca di mostrare un volto che indica un qualcosa di diverso rispetto ciò che pensa.
Nel caso la mimica fosse spontanea ciò non sarebbe osservabile. È da tener presente però che l’asimmetria non è prova certa di menzogna, infatti anche certe espressioni autentiche possono essere asimmetriche: tutto quello che si sa è che la maggior parte non lo è. Chi ha intenzione di smascherare le bugie non deve mai basarsi su un solo indizio, ma deve averne molti.
Come Riconoscere la falsità
Un altro indizio che risulta fondamentale sono i tempi di attacco (quanto impiega a comparire) e di stacco (quanto impiega a scomparire) dell’espressione. Le espressioni di lunga durata sono valutate come false in quanto la mimica che esprime emozioni vere resterebbe sul viso per meno di 5 secondi. Anche in quei casi estremi è raro che l’espressione si mantenga invariata a lungo: c’è piuttosto una rapida successione di molte espressioni più brevi.
Infine anche l’esatta collocazione di un’espressione rispetto al flusso del discorso e ai movimenti corporei è da tener presente, le espressioni infatti devono essere sincronizzate con i gesti e con le parole per risultare sincere (effetto timing).
Riassumendo il volto può racchiudere svariati indizi di menzogna: micro-espressioni, segni che si rilevano dai muscoli facciali meno controllabili, dilatazione della pupilla, asimmetria, errori nei tempi e nella scelta del momento e sorrisi falsi. Alcuni di questi fanno trapelare informazioni che il soggetto vorrebbe nascondere, altri fanno capire solo che il soggetto mantiene nascosto qualcosa, altri ancora indicano che un’espressione non è autentica. Questi segni si diversificano rispetto alla precisione delle informazioni che permettono di ottenere. Alcuni mostrano esattamente qual è l’emozione autentica, anche se il soggetto cerca di dissimularla, altri svelano solo se l’emozione dissimulata è negativa o positiva, altri ancora sono generici, lasciando capire semplicemente che c’è un’emozione che non si vorrebbe mostrare. A volte questo può bastare, ma spesso non è sufficiente a tradire la menzogna. Tutto dipende dal tipo di menzogna, dalla linea scelta per sviare i sospetti, dalla situazione e dalle spiegazioni alternative che, a prescindere dalla bugia, possono giustificare come mai una certa emozione non viene apertamente manifestata (Ekman, 2011).
Quanto detto finora si basa su ricerche sistematiche che utilizzano la sola tecnica di analisi quantitativa del Facs. Ekman e i suoi collaboratori sostengono che tutto questo materiale ricavato dai loro studi ha una valenza “provvisoria” in quanto nessun altro ricercatore ad oggi ha ancora cercato di replicare le ricerche sulle differenze tra espressioni volontarie e involontarie. Però nonostante la non tentata falsificazione di tale tecnica e delle teorie ad essa sottostanti, e nonostante i diversi dibattiti sulla sua attendibilità, il Facs nel 2013 è entrato per la prima volta nella realtà processuale italiana.
In un processo tenutosi il 22 agosto 2013 presso il Tribunale di Venezia il Facial Action Coding System è stato utilizzato da parte di un esperto in sede di incidente probatorio. Attraverso l’analisi dei fotogrammi dell’audizione di un testimone, la difesa ha sostenuto l’incongruenza delle manifestazioni del linguaggio non verbale rispetto alle sue risposte verbali fornite. L’organo giudicante non ha escluso in termini espliciti il metodo, ma ha affermato che la valutazione dello stesso avrebbe richiesto «la nomina di un consulente d’ufficio egualmente specializzato nella medesima disciplina di riferimento, e di almeno pari livello professionale, non potendo il giudice fare ricorso al proprio autonomo bagaglio culturale, neppure nella veste di peritus peritorum, per introdurre direttamente in motivazione conoscenze, valutazioni e apprezzamenti di natura altamente specialistica, in tal modo sottratte a un preventivo contraddittorio tra le parti e i loro esperti»22. La difesa è riuscita a dimostrare la non credibilità del teste (Jelovcich, 2014).
Tale evento può essere letto come un primo passo nei confronti dell’entrata delle cosiddette “prove di verità” nelle aule giudiziarie italiane. Ci si auspica infatti, che in futuro, fatti i dovuti accertamenti e prese ovviamente le dovute
precauzioni, i risultati ricavati da tale strumentazione et simila vengano ampliamente riconosciuti e considerati come vere e proprie prove scientifiche all’interno del processo.
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