Depressione nell’anziano: comorbilità medica, patologie frequenti

lutto morte

La comorbilità, intesa come la compresenza di due o più patologie psichiche e/o mediche nello stesso paziente, rappresenta in età senile la regola piuttosto che l’eccezione (Blazer, 2000; Altamura, Cattaneo, Pozzoli & Bassetti, 2006; Gala, Peirone, Bellodi, Pasquale & Redaelli, 2008). Questo sembra dovuto a diversi fattori e come già trattato lo stesso processo d’invecchiamento può contribuire a una condizione di maggiore vulnerabilità dell’anziano verso le condizioni patologiche più o meno croniche.

Per quanto riguarda la comorbilità medica della depressione, esistono casi in cui la depressione si presenta nel paziente anziano in modo reattivo dopo la manifestazione di patologie fisiche, soprattutto quelle vissute dalla persona con paura e dolore cronico (Bellelli &Trabucchi, 2009). È stato calcolato che il 20-30% dei pazienti anziani con patologie di origine organica lamenta sintomi depressivi di entità più o meno rilevante (Bellelli & Trabucchi, 2009). Inoltre, la comorbilità risulta essere più elevata con l’aumentare dell’età infatti è maggiore tra gli oldest old, sopratutto quella tra la depressione e la Malattia d’Alzheimer (Blazer, 2000).

La comorbilità della depressione senile con le patologie mediche presenta un’associazione complessa, infatti, se da un lato la presenza di compromissione cognitiva su base organica o la presenza di malattie fisiche peggiora l’esito della depressione stessa, dall’altro è la depressione stessa che ha un effetto debilitante ed incide sull’esito di tale patologie (Colombo et al., 2010; Fried et al., 2004).

La presenza di depressione per esempio raddoppia il rischio di rottura del femore, frequente nell’anziano, e influisce negativamente sul suo recupero funzionale (Voshaar et al., 2007). Inoltre influisce anche sull’andamento di alcune malattie come le malattie cardiovascolari, cerebrovascolari e le neoplasie, aumentando il rischio di mortalità nel paziente (Mecocci, Cherubini, Mariani, Ruggiero & Senin, 2004).

La depressione sembra influire anche sull’utilizzo di farmaci che il paziente anziano assume per il trattamento delle patologie organiche, in quanto condiziona il paziente in una gestione farmacologica corretta; inoltre la depressione potrebbe aumentare il rischio di sviluppare conseguenze negative di tipo iatrogeno, come è stato dimostrato da Onder et al. (2003) che hanno riscontrato una percentuale di eventi avversi di tipo iatrogeno nei pazienti con sintomi depressivi del 7,4%, mentre in quelli senza sintomi depressivi del 4,6%.

La depressione può incidere negativamente sul processo riabilitativo dell’anziano a cui deve fare fronte per riprendersi da patologie mediche e rende più difficoltoso il trattamento di quest’ultime (Fiske, Loebach, Wetherell & Gatz, 2009); la sintomatologia depressiva potrebbe limitare la partecipazione del paziente al programma riabilitativo, determinando una riduzione della motivazione e dell’impegno nel seguire le varie fasi della riabilitazione, con possibili implicazioni di tutto ciò anche sugli stessi operatori responsabili del programma riabilitativo, divenendo meno coinvolti e più demotivati (Tiemeier, 2003). L’influenza della depressione sul processo riabilitativo è stata dimostrata da una ricerca condotta da Colombo e collaboratori (2010) i quali hanno misurato gli effetti della sintomatologia depressiva e della sua evoluzione dal punto di vista funzionale e clinico su pazienti degenti in un reparto riabilitativo geriatrico. I pazienti presi in considerazione erano 434, con un’età tra i 78,7 e gli 80,9 anni, valutati con una batteria neuropsicologica completa, insieme a strumenti specifici per la valutazione dei sintomi depressivi, somministrati sia al momento dell’ammissione che della dimissione degli anziani dal reparto. I risultati hanno osservato che, oltre alla prevalenza della sintomatologia depressiva tra i pazienti ricoverati nel reparto riabilitativo, la depressione incide sull’esito funzionale e clinico del processo riabilitativo e sulla sua efficienza, dimostrato dal fatto che il trattamento dei sintomi depressivi determinava un conseguente miglioramento dei risultati e dell’efficienza dell’intervento riabilitativo geriatrico.

La comorbità della depressione senile si riscontra con le patologie mediche dovute all’invecchiamento secondario come il diabete di tipo II (Baldwin, 2014). È stato calcolato che la prevalenza della depressione maggiore in pazienti con diabete di tipo II è del 15%, mentre la percentuale di sintomi depressivi è del 20% (Li, Ford, Strine & Mokdad, 2008). Uno studio longitudinale condotto su un campione di pazienti tra i 70 e i 79 anni, seguiti per sei anni, ha riscontrato che i diabetici mostravano una percentuale di sintomi depressivi molto elevata rispetto ai gruppi di controllo (Maraldi et al., 2007). Un’ipotesi alla base di tale comorbilità o del legame tra depressione e scarso controllo glicemico potrebbe essere quella che vede la patologia diabetica come responsabile di sindromi encefalopatiche, attraverso lesioni vascolari, in quanto tali sindromi sono responsabili sia di deterioramento cognitivo che di umore depresso (Baldwin, 2014).

Un altro tipo di comorbilità medica è quella tra depressione senile e le patologie neoplastiche, anche perché il solo il processo d’invecchiamento costituisce il fattore più elevato di rischio per il cancro (Kua, 2005). La depressione può precedere la diagnosi di cancro ai polmoni e al pancreas, mentre la comorbilità più frequente tra depressione e tumore riguarda il cancro alla mammella, quello cerebrale e quello al collo (Evans, 2005). La comorbilità tra depressione senile e neoplasie è stata indagata da uno studio osservazionale prospettico condotto da Mottino, Becheri, Biganzoli e Magnolfi (2009) in cui sono stati valutati 87 anziani affetti da tumore e 32 di essi sono stati successivamente rivalutati dopo un trattamento chemioterapico e confrontati con un gruppo di controllo (80 soggetti con caratteristiche sovrapponibili al gruppo di studio ma senza neoplasie in fase attive). Dai risultati è emerso che la percentuale della patologia depressiva era del 29,8% nel gruppo sperimentale, mentre nel gruppo di controllo la percentuale era del 18% (14 pazienti su 80), confermando i dati della letteratura a disposizione che indica che il rapporto tra depressione senile e neoplasie varia dal 20 al 45%.

L’associazione abbastanza frequente tra depressione senile e cancro potrebbe far supporre l’esistenza di specifici fattori biologici, che determinano la sintomatologia depressiva nelle fasi iniziali della malattia, mentre negli stadi avanzati potrebbe essere la stessa percezione del paziente di ineluttabilità della malattia a predominare ed influire sulla manifestazione di sintomi depressivi (Bellelli & Trubucchi, 2009). Un altra ipotesi è che i farmaci antiblastici potrebbero favorire la manifestazione della depressione e il cancro stesso determinare un aumento delle citochine pro-infiammatorie, associate anche con la patologia depressiva (Baldwin, 2014).

La questione sul ritenere il cancro, un fattore di rischio per la depressione senile è piuttosto controversa, anche se alcune ricerche epidemiologiche sui pazienti anziani lo dimostrano (cfr. Evans, 2005); in tal caso si potrebbe ipotizzare che la depressione determini una certa vulnerabilità nel paziente per l’effetto immunosoppressivo, contribuendo a favorire così le condizioni per l’insorgenza della neoplasia, ma rimane comunque la necessità di approfondire tale comorbilità (Kua, 2005).

La comorbilità della depressione senile si presenta anche con patologie vascolari, sia quelle cerebrovascolari che cardiovascolari. L’associazione tra malattie cerebrovascolari e la depressione senile è stata indicata come “depressione vascolare” per indicare che le lesioni cerebrovascolari presentate dall’anziano possono predisporre, determinare la depressione o perpetuarne i sintomi (Alexopoulos et al., 1997). Infatti, lesioni alle arterie finali associate col circuito cortico-striato-pallido-talamo-corticale possono alterare il circuito di neurotrasmettitori che sono coinvolti nella regolazione dell’umore. Questo può avvenire sia per lesioni posizionate in regioni “strategiche” sia come il risultato di un effetto globale (Baldwin & O’Brien, 2002). La depressione vascolare si distingue dagli altri quadri depressivi per l’età di esordio, che è quasi sempre tardivo, per una maggiore apatia e perdita dell’insight, per la presenza di ritardo psicomotorio, di una compromissione delle capacità esecutive, insieme a minor agitazione e sensi di colpa (Alexopoulos et al., 1997). Altre caratteristiche riscontrate sono l’assenza di sintomi psicotici e la scarsa influenza di fattori come la familiarità (Krishnan, Hays & Blazer, 1997). Dal punto di vista sintomatologico, Alexopoulos et al. (1997) hanno confrontato due gruppi di pazienti, quelli con depressione vascolare e un gruppo di pazienti con depressione non vascolare, osservando che il primo gruppo presentava una maggior compromissione cognitiva e maggior disabilità; nello specifico risultavano più compromesse la fluenza verbale e la capacità di denominazione linguistica. Esistono riscontri della depressione vascolare anche dal punto di vista farmacologico in quanto i farmaci utilizzati nella prevenzione delle patologie cerebrovascolari possono ridurre il rischio di manifestare questo tipo di depressione (Alexopoulos, 2005). Inoltre gli antidepressivi utilizzati nel trattamento dell’ischemia, come la dopamina e la noradrenalina, determinano effetti positivi anche nel trattamento della depressione vascolare e allo stesso tempo la classe di farmaci alfabloccanti, che inibiscono il processo di guarigione dall’ischemia, dovrebbero invece essere evitati nel trattamento della depressione vascolare (Alexopoulos et al., 1997).

Baldwin (2014) sottolinea che non tutti i pazienti anziani colpiti da una patologia cerebrovascolare sviluppano poi un quadro depressivo e questo fa supporre che esistano fattori protettivi individuali che possono influire su questa associazione, come per esempio la personalità stessa del paziente.

L’associazione tra depressione senile e lesioni cerebrovascolari è bidirezionale, infatti, ciascuna di esse costituisce un possibile fattore di rischio per l’altra: la psicopatologia depressiva comporta cambiamenti organici che possono influire nella manifestazione di disturbi vascolari come l’ipercorticosolemia e la disfunzione endoteliale, mentre le malattie vascolari possono determinare ictus o anormalità microvascolari celebrali come l’iperintensità della materia bianca (Baldwin, 2014).

Nonostante i riscontri scientifici e le ricerche sulla depressione vascolare, Baldwin e O’Brien (2002) sottolineano che il legame tra depressione e lesione cerebrovascolari messo in luce dalle ricerche scientifiche, è di tipo associativo piuttosto che causale e che i riscontri ottenuti con la MRI, che hanno rilevato le lesioni della sostanza bianca e altre anormalità negli anziani con depressione, risultano piuttosto eterogenee e quindi non possono essere limitate solo a patologie vascolari, oltre al fatto che non sembrano essere esclusive solo di questo tipo di patologia senile. Sempre secondo gli autori inoltre, il termine depressione vascolare è giustificato e reso necessario solo nel caso in cui vi è un’evidenza chiara e diretta, tramite le neuro immagini, di cambiamenti cerebrali coerenti con la diagnosi e non quando sono presenti semplici fattori di rischio vascolare nel paziente con depressione. Lo stesso Baldwin (2014) sostiene che se la maggior parte delle depressioni senili avessero origine vascolare, sarebbe possibile intervenire con il solo trattamento vasoprotettivo, con il quale si otterrebbero risultati efficaci anche sui sintomi depressivi. Nonostante ciò, l’ipotesi della depressione vascolare risulta di utilità ai clinici per ricordare che la valutazione del paziente anziano deve essere sempre basata su un approccio multidimensionale, che non tralasci i sintomi psichici tanto quanto quelli di origine organica.

Per quanto riguarda la comorbilità della depressione senile con le patologie cardiovascolari, anche in questo caso il rapporto tra patologie cardiovascolari e la depressione nell’anziano è bidirezionale e non è esclusiva del paziente anziano, ma sono stati riscontrata anche nei pazienti giovani adulti; il paziente anziano in quanto tale ha però molte più probabilità di sviluppare patologie cardiache, a seguito dell’avanzamento dell’età e del processo di invecchiamento, come già trattato sopra (Baldwin, 2014). Tra le patologie cardiovascolari, sembra che l’ipertensione costituisca un fattore di rischio maggiore rispetto ad altre patologie cardiovascolari, a causa degli effetti cronici che tale condizione cronica ha sui piccoli vasi sanguigni (Steffens, Helms, Krishnan & Burke, 1999), anche se non tutte le ricerche lo confermano (cfr. Kim, Steward, Kim, Yang, Shin & Yon, 2006). Anche l’ictus è associato con l’aumento della depressione in quanto comporta una deplezione delle monoammine e un incremento delle citochine infiammatorie del cortisolo (Spalletta, Bossù, Ciaramella, Bria, Caltagirone & Robinson, 2006).

Una delle ricerche compiute riguardo a tale comorbilità è quella condotta da Frasure-Smith e Lespérance (2008), che ha dimostrato che nei due anni successivi alla stabilizzazione della patologia coronarica di 804 pazienti, il 71% dei pazienti soddisfaceva i criteri del DSM-IV (APA, 1994) per disturbo depressivo e il 5,3% per disturbo d’ansia generalizzato. Un’altra ricerca statunitense condotta da Stewart, Prince, Richard, Brayne e Mann (2001), compiuta su 324 adulti tra i 50 e 70 anni, ha analizzato il cambiamento dello spessore medio-intimale in un periodo di 3 anni, dimostrando che i sintomi depressivi costituiscono un ruolo importante nelle fasi che precedono lo sviluppo delle malattie coronariche.

Anche questo tipo di comorbilità necessita di ulteriori approfondimenti (Bhogal, Teasell, Foley & Speechley, 2004), nonostante i risultati ottenuti fin’ora indicano che l’associazione tra le due patologie rimane salda anche in presenza di fattori confondenti come la familiarità, il fumo, l’obesità o il livello di attività fisica (Baldwin & O’Brien, 2002).

Articolo di Vittoria Cerreti

Scrivi a Igor Vitale