Gli esercizi di scrittura creativa

La scrittura creativa

 

 

“Dio ha creato l’uomo perché Egli adora i racconti”[1]

Wiesel

 

Nel suo saggio Sheldon B. Kopp, paragona il percorso del paziente a quello di un viaggio ed ogni capitolo del suo libro riporta pertanto una delle grandi opere della letteratura mondiale dall’antichità alla modernità, in cui i protagonisti abbiamo compiuto dei viaggi metaforici significativi per la crescita del proprio sé. In quest’evocazione del racconto favolistico emerge il collettivo, al ché Kopp significativamente, a proposito della saga di Gilgamesh scrive:” Gilgamesh, sebbene comparso e scomparso migliaia di anni fa, è tuttavia mio fratello”[2].

La funzione della narrazione nella forma del mito e della fiaba è catartica e la sua struttura è rivelatrice della nostra struttura archetipica. Gli archetipi sono delle immagini psichiche che popolano il nostro inconscio collettivo, che facciamo agire o che eclissiamo ed al cui moto oscillatorio dobbiamo alcuni disagi. L’uso della narrazione o della scrittura creativa – anche nei modi della metodologia trattata in seguito – può essere utile a individuare attraverso i simboli, su quali processi psichici si stia investendo eccessivamente e su quali meno, dove si annidi un complesso per poi risolverlo.

Se si intuisce che il cliente è disponibile a lavorare attraverso le immagini archetipiche, può essere utile cimentarsi in uno studio più approfondito sulle figure più ricorrenti, che sono anche mitiche ed oniriche e su cui tanta letteratura non lesina informazioni (di cui un buon rimando è nella nota bibliografica).

Diversamente, può rivelarsi altrettanto utile indurre il cliente a fantasticare liberamente o a scrivere del fantasticato, per esempio attraverso la finzione del comporre lettere (“finzione” nel senso che queste non è necessario che vengano né lette né recapitate, a meno che il cliente non lo voglia) in cui può condensare il suo stato emotivo, e pensare e scrivere di propria mano tanto le risposte che egli immagina che riceverebbe, al pari di quelle che invece desidererebbe ricevere. La funzione catartica che assume qui il potente strumento della scrittura, può aiutarlo non solo a far luce sui suoi sentimenti e sulle proprie emozioni represse, quanto a liberarle, comprenderle ed accettarle.

Ancora, se ad un vaglio critico il cliente pare impoverito circa la scelta delle parole che usa per sé in termini di consapevolezza delle proprie risorse, si può decidere di optare per una metodologia capace di integrare nel vocabolario del cliente parole nuove e suggestive (per sé). Isolare in testi o libri parole significative, annotarle su un quaderno o tappezzare casa di post-it, può rivelarsi uno strumento utile e motivante.

Insomma, l’importanza del riappacificamento del cliente con la sua fantasia ed immaginazione per mezzo della parola, può avvenire attraverso qualsivoglia strategia, ma perché sia funzionale, è bene che si intuisca quella più compatibile, affinché, nella deprivazione sensoriale in cui egli è caduto, ritrovi quell’amore inteso come a-mors[3] “toglimento di morte”.

 Articolo di Emanuela Mangione

[1] Eli Wiesel, The Gates of the Forest, trad. Frances Frenaye, Holt, Rinehart e Winston, New York, Chicago, San Francisco, 1966;

[2] S. B. Kop, Se incontri il Buddha per strada uccidilo. P. 35.

[3] Brown N., La vita contro la morte, Il Saggiatore, Milano, 1973, p.161.

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