Gli Stili di Attaccamento: uno dei capisaldi in psicologia

Una volta terminati gli studi di medicina, il celebre psicologo Edward John Mostyn Bowlby (Londra, 26 febbraio 1907 – Isola di Skye, 2 settembre 1990) intraprese la via psicoanalitica entrando a far parte, negli anni trenta, della Società Psicoanalitica britannica, affiliata all’International Psychoanalytical Association, all’epoca frammentata da due orientamenti opposti, rispettivamente la teoria pulsionale e la teoria delle relazioni oggettuali, a cui facevano capo Anna Freud e Melanie Klein; ambedue orientate sugli aspetti intrapsichici dell’esperienza infantile, anche se con modalità differenti.

Secondo Bowlby invece, contrariamente alla psicoanalisi classica, l’accento era da porsi sulla sicurezza dell’attaccamento, eliminando dunque l’enfasi investita fino a quel momento, sulla sessualità. Ciò che risulta rilevante non è tanto la gratificazione orale ricevuta dal bambino, quanto la qualità dell’accudimento, ovvero la disponibilità e la capacità di risposta materna; l’attaccamento viene dunque considerato primario.

L’ottica di Bowlby si basa sulla biologia e sull’etologia: il modello etologico implica lo studio dell’individuo in relazione agli altri membri della specie e al suo contesto di vita.

E’ caratterizzato da una ricerca di tipo longitudinale in contesti naturalistici e un’analisi comparativa di culture e specie diverse, ritenendo che determinati schemi comportamentali siano innati: è possibile rilevare in culture o specie diverse, moduli comportamentali analoghi.

L’autore fa riferimento ai modelli cognitivi per l’analisi dei processi di percezione, elaborazione e ritenzione delle informazioni.

Inoltre, tra le critiche di Bowlby rivolte alla psicoanalisi, emerge la mancanza di interesse per l’osservazione diretta dei bambini.

A tal proposito furono di particolare rilevanza: la sua occupazione come psichiatra infantile alla Child Guidance Clinic di Londra, la nomina di direttore del “Dipartimento per i bambini e i genitori” della Tavistock Clinic di Londra, cui si affiancò un’importante attività di ricerca condotta in collaborazione con i coniugi Robertson, ed infine, il lavoro di consulenza presso l’Organizzazione Mondiale della Sanità, con l’incarico di osservare e stendere un rapporto sulla salute mentale dei bambini abbandonati. L’addizione di tali esperienze gli consentì di raccogliere un’ampia documentazione clinica, rinforzando la sua idea che l’origine della psicopatologia fosse da ricercarsi nelle esperienze reali della vita interpersonale, laddove determinate problematiche si sviluppano ed in particolare, dando rilievo alle esperienze inerenti l’età evolutiva.

Questo pensiero venne confermato dalle scoperte relative agli effetti patologici che si evidenziavano in bambini istituzionalizzati o ospedalizzati per un certo periodo, in seguito alla separazione dalla famiglia o alla costante discontinuità delle figure assistenziali, emersi dagli studi di Spitz sulla sindrome dell’ospedalismo (1945) e dallo studio, condotto da lui stesso, in collaborazione con Robertson (Robertson e Bowlby, 1952).

Nel 1956, durante una conferenza psicoanalitica inglese, Bowlby affermava dunque, di essere “un convinto, anzi entusiasta, sostenitore dell’ipotesi secondo la quale le situazioni reali, che un bambino vive, siano d’importanza fondamentale per il suo sviluppo” (Bowlby, 1979, p. 23).

Inoltre è fondamentale, in ambito clinico, che il terapeuta si ponga in una posizione “di validazione” e “di base sicura”, dando fiducia alle percezioni e sentimenti del paziente, considerando le loro storie narrate come reali, nonostante possano aver subito distorsioni percettive e cognitive.

Articolo di Sharon Invigorito

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