I concetti di Onnipotenza, casualità e memoria in fototerapia

L’autoritratto fotografico in psicologia e fototerapia

I concetti di Onnipotenza, casualità e memoria in terapia con la fotografia

 

Lorena Rigoli

Appare interessante soffermarsi particolarmente sulle principali intenzioni e funzioni dell’autoritratto e sull’analisi dei meccanismi psichici che vi intervengono. A prescindere dai casi, abbastanza numerosi, in cui l’opera d’arte risponde a specifiche esigenze di ordine contingente o storico-artistico, per quanto concerne invece le implicazioni di attualità psichica, l’autoritratto si configura spesso come modalità privilegiata di introspezione e di autoanalisi. Ci si autoritrae per scavare nel proprio interno, per guardarsi dentro, per capire chi si è. Insomma, le funzioni di un autoritratto possono essere molteplici. Le riassumiamo qui di seguito:

–        Autoritrarsi per scongiurare la morte: concezione di tipo retrospettivo che si esprime nel bisogno di mettersi al sicuro dalla morte mediante l’autorappresentazione che permette di mantenere viva la memoria. Tale funzione esprime il bisogno dell’uomo di lasciare un’immagine di sé che sopravviva nel tempo e che sia in grado di documentare i passaggi essenziali della sua esistenza. La fotografia si presta facilmente a questo edonismo. Come i bambini che nei pressi delle scuole ripetono instancabilmente la loro morte e resurrezione mediante giochi che ricordano il Fort/Da, i surrealisti sembrano aver preso piacere ad allungarsi di fronte all’obiettivo omicida.[1]

–        L’origine dell’autoritratto: nell’idea e nel gesto dell’autoritratto in quanto creazione completamente autonoma è possibile riscontrare un’intrinseca implicazione onnipotente. Secondo Michel Tournier[2] l’origine dell’autoritratto risale molto indietro, al momento in cui Dio creò l’uomo a sua immagine e somiglianza. Ma occorre risalire molto più lontano, secondo noi, per scoprire la vera chiave dell’autoritratto, più lontano, più in alto all’origine di tutto. […] L’uomo immagine di Dio. Di quale Dio?? Del Dio che modella la sua propria immagine nel fango, cioè a dire l’immagine di un creatore nell’atto di creare. Noi tocchiamo qui l’essenza dell’autoritratto: è il solo ritratto che riflette il creatore nel momento stesso dell’atto creativo.[3]

–        Implicazioni sociali dell’autoritratto: nel momento in cui l’uomo si preoccupa di replicare la propria immagine, il gesto assume evidenti implicazioni sociali in quanto egli tende ad identificarsi nello sguardo degli altri e a guardarsi nel modo in cui immagina che essi lo vedano. Nell’autoritratto c’è sempre una tensione verso l’altro: è lo sguardo dell’altro con cui ci si identifica che costruisce l’immagine.

–        L’autoritratto come mezzo di autoanalisi: l’autoritratto si rivela per l’artista soprattutto come un mezzo di introspezione e quindi per chi lo guarda come un inevitabile documento psicologico.

Su queste basi ritengo interessante riportare la distinzione suddivisa in tre tipologie che Stefano Ferrari[4] sviluppa dell’autoritratto, tenendo tuttavia conto delle funzioni sopra elencante che gli sono proprie. La prima tipologia coincide in un certo senso con l’origine stessa dell’autoritratto, quello che l’autore chiama autoritratto narcisistico, poiché ha a che fare particolarmente con il rapporto dell’uomo con la propria immagine, nella prospettiva del mito di Narciso. La seconda tipologia è stata definita autoritratto d’occasione, e sembra avere minori implicazioni psicologiche in quanto è dettato da motivi casuali che riguardano l’aspetto ufficiale e pubblico dell’individuo come la nascita, il primo giorno di scuola, il matrimonio ecc. Infine la terza tipologia potrebbe essere definita autoritratto come monumento poiché segue invece le tappe importanti della vita di una persona e, come l’autobiografia, assume soprattutto un valore retrospettivo. Sia la seconda che la terza tipologia rappresentano la chiara intenzione dell’uomo di lasciare un’immagine di sé che duri nel tempo. […]mi autoritraggo oggi perché oggi, in questo frangente particolare della mia esistenza, sento di vivere un momento fondamentale e lo voglio sottrarre al flusso del tempo, affinché domani mi possa rivedere come oggi mi sento.[5]

            Per quanto concerne, poi, i meccanismi psichici coinvolti nell’autoritratto possiamo fare riferimento ai meccanismi di difesa ed identificazione e alle funzioni riparative dell’autoritratto stesso. L’autoritratto è per definizione il ritratto del pittore dipinto da lui stesso, ma il paradosso che si riscontra è che il pittore debba rappresentarsi come altro. Se nel caso del ritratto è possibile un’identificazione con il modello, nell’autoritratto non è possibile identificarsi. Se l’artista vuole rappresentarsi deve in qualche modo realizzare una differenziazione tra un Io passivo ed uno attivo. A questo proposito risulta più adeguato parlare di disidentificazione. Il soggetto in questione deve procedere ad una disidentificazione rispetto all’immagine allo specchio. Nel fare l’autoritratto l’artista lavora sull’idea della duplicazione, del confronto dell’altro che è dentro di lui.

Proprio la scoperta dell’altro in sé può avere effetti perturbanti ma può anche funzionare come uno sperimentato meccanismo di difesa che permette all’artista di prendere le distanze da sé e dal suo dolore osservandosi come dall’esterno. Allora è possibile affermare che l’uomo ricorre all’autoritratto anche per diventare spettatore di se stesso, per controllare, attraverso esso, sé e il mondo. In verità, credo che, soprattutto nella pittura, sia piuttosto raro il caso che l’artista attraverso l’autoritratto voglia rappresentare semplicemente l’emozione di un momento. Più spesso l’opera intende esprimere qualcosa di più, diventando una sintesi psicologico- esistenziale del suo essere uomo e artista, al di là dell’esperienza di quel giorno e di quell’ora – anche se naturalmente proprio quel giorno e quell’ora possono essere stati determinanti a conferirgli una particolare visione del suo essere al mondo.[6]

            Infine è opportuno fare rientrare la pratica dell’autoritratto tra le possibili modalità di riparazione, in grado di correggere ed elaborare in senso retrospettivo traumi che hanno condotto ad una comparsa eccessivamente precoce dell’Io del soggetto. Tra queste modalità possiamo citare ancora una volta l’autonalisi come introspezione e ricerca della propria identità oltre che come ricostruzione dell’immagine frammentata dell’Io.

 


[1] G. Perriot, L’autoportrait sacrificiel. La pulsion de mort dans l’autoportrait photographique, in “Psycologie médicale”, 1987, p. 1524, citato in S. Ferrari, Lo specchio dell’Io, cit., p. 200.

[2] M. Tournier, Petites proses, Gallimard, Paris, 1986.

[3] M. Tournier, op. cit., p. 145.

[4] S. Ferrari, Lo specchio dell’Io, cit. p. 37.

[5] S. Ferrari, op. cit., p. 37.

[6] Ivi, p. 182.

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