Il Gioco d’Azzardo Patologico secondo il modello cognitivista

Secondo questo modello il gioco d’azzardo patologico sarebbe imputabile ad un ritardo dello sviluppo cognitivo. Stein (1989) sostiene che i giocatori restino fissati allo “stadio delle operazioni concrete”, quindi che ci sia un gap nella fase di transizione dall’adolescenza all’età adulta. I giocatori così si sentirebbero imbattibili, capaci e dotati di abilità innate, tanto da pensare che ogni giocata sarà quella vincente e sulla quale scommettere nonostante l’esito delle giocate precedenti.
La maggior parte dei contributi sul comportamento di gioco patologico in ambito comportamentista, asserisce che quest’ultimo sarebbe il risultato di un rapporto variabile tra una serie di stimoli (rinforzi); gli stimoli sono rappresentati da vincite rare e casuali che mantengono “acceso” il desiderio di giocare, perché più tentativi rappresentano più possibilità di vincita.
Dickerson (1984) ha focalizzato la sua attenzione su quello che accade nel momento di “sospensione” che intercorre tra la puntata e il risultato della stessa. Il rinforzo quindi sarebbe rappresentato non solo dal denaro ma anche dallo stato di eccitazione che il giocatore esperisce mentre attende il risultato. A molti giocatori questa sensazione piace così tanto che la amplificano attraverso due comportamenti, azioni:

  1. Giocare all’ultimo minuto, per sperimentare l’eccitazione in un lasso di tempo più breve ma più intenso;
  2. Scommettere su più tavoli contemporaneamente;

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