Intelligenti si nasce o si diventa?
“Intelligenza” deriva dal verbo latino “ intelligere” che fa riferimento alla capacità di “comprendere” la realtà, contrapposta alla situazione in cui viene solo subita o non si riesce a decifrarla. Ci si riferisce all’ intelligenza, in termini generali, per illustrare operazioni mentali di livello elevato presenti anche però in essere inferiori oppure la possibilità della mente di raggiungere elevati traguardi.
Il concetto di intelligenza è stato oggetto di studio nel campo della filosofia e delle scienze naturali ancor prima del XIX secolo, nonostante ciò, a tutt’oggi, non si può considerare completamente esplorato questo costrutto. La psicologia ha distinto tra condotte intelligenti e intelligenze vera e propria. Le prime fanno riferimento a quei comportamenti osservabili che manifestano appunto l’intelligenza che è inferibile solo da tali condotte.
Vi sono varie definizioni di intelligenze, a volte tra loro contrastanti, come ricorda Cornoldi tali diverse accezioni possono essere raggruppate in due macrocategorie: concezioni generali vs differenziali. Le prime fanno riferimento all’intelligenza come facoltà comune agli organismi superiori, in particolare come caratteristica della specie umana; le seconde enfatizzano le attitudini intellettuali diverse tra gli individui e in uno stesso individuo, quindi si riferiscono alla distinzione tra le diverse forme di intelligenza che caratterizzano differenti individui , parimenti ma specificamente dotati.
Mentre tradizionalmente l’ intelligenza veniva globalmente considerata equivalente alla capacità di apprendimento o comunque un indice predittivo di tale capacità, i recenti studi hanno cercato di individuare i substrati organici e neurofisiologici di tale facoltà.
In particolare lo studio psicobiologico dell’ intelligenza si è orientato in particolare su due punti fondamentali: l’ ereditarietà e i correlati biologici dell’ intelligenza. Le indagini sulle ereditarietà suggeriscono che un individuo nasca già dotato biologicamente di un patrimonio intellettivo potenziale e suggeriscono che tale patrimonio possa svilupparsi solo se vi sono condizioni ambientali adeguate per la misurazione.
La ricerca genetica tradizionale, quella sulle popolazioni, si è arricchita del contributo della genetica molecolare e dello studio del genoma. È apparso infatti infondato pensare che un singolo gene possa stare alla base dell’ intelligenza. Infatti, ogni gene influenza più funzioni cognitive e ogni funzione cognitiva è influenzata da più geni.
È vero che, se paragoniamo il grado di somiglianza prodotto dal fatto di avere gli stessi esatti geni e quello prodotto dall’essere vissuti nello stesso ambiente, il fattore genetico ha un’ influenza maggiore rispetto al secondo. Per esempio, le famiglie che adottano bambini presentano certe somiglianze di fondo e offrono in realtà tipicamente anche un ambiente simile.
Un limite di queste ricerche è che esse hanno esaminato le somiglianze nelle basi cognitive, ovvero in funzioni intellettive che sono meno sensibili all’ esperienza, cercando di trovare, in un certo senso, quello che volevano trovare. La posizione più equilibrata , e oggi più condivisa, assume che gli individui nascano con un potenziale intellettivo, qualitativamente e quantitativamente differenziato, ma che possa trarre vantaggio dalle esperienze che essi incontreranno e che, da un lato, porteranno a specifici arricchimenti dell’ intelligenza e delle capacità di utilizzare effettivamente le proprie risorse e, dall’ altro favoriranno la maturazione delle potenzialità possedute.
Tra i principi strutturali che sono stati individuati alla base dei diversi meccanismi implicati nelle singole abilità, importante è la velocità di elaborazione delle informazioni, che aumenta nel corso dello sviluppo fino all’ età adulta e decresce negli anziani (Salthouse 1991), e il cui substrato biologico è stato riferito alla mielinizzazione delle fibre nervose con la conseguente velocizzazione della trasmissione dell’ impulso nervoso.
Verguts, de Boeck e Maris (1999) hanno sostenuto che la capacità di risolvere problemi cognitivi proposti, come ad esempio da un test come la matrici di Raven, sarebbe influenzata dalla velocità di elaborare regole di soluzioni.
Un altro meccanismo generale, anche se non altrettanto semplice, è rappresentato dalla memoria di lavoro, sul cui ruolo centrale nelle funzioni intellettive sempre più converge l’ accordo degli studiosi. L ‘ associazione tra intelligenza e memoria di lavoro viene avanzata in riferimento non a tutti gli aspetti della memoria di lavoro, ma a quelli che sono implicati nella funzione associata di memoria e lavoro o mantenimento e oeratività per cui la mente riesce nello stesso tempo a conservare un congruo insieme di elementi e a lavorare su di essi.
di Perla Valentini
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