La psicologia degli adepti nelle sette

Autrice: Nidja Fico

L’adepto: psicologia e psicopatologia

 

Non sembra esistere una particolare tipologia dell’adepto di un gruppo satanico. La maggior parte dei futuri seguaci sembra appartenere a famiglie assolutamente normali. Quindi chiunque può diventare un satanista?

I neo-adepti quando vengono adescati, stanno attraversando fasi particolari della propria esistenza (lutti, difficoltà economiche, problemi di salute, ecc.). Condizioni di particolare disagio possono spingere la persona a lasciarsi abbindolare dalle promesse di potere e ricchezza del culto satanico.

La vittima del satanismo, infatti, spesso è una persona fragile, che per le sue caratteristiche di personalità è facilmente influenzabile. In un panorama fatto di passivismo dei divertimenti, facilitazione e standardizzazione dei messaggi di gruppo, assenza di valori saldi in cui credere, il satanismo offre una via d’uscita: un <<Dio>> vicino ai propri sogni materialistici, fatti di potere, ricchezza e sesso.

Spesso, l’adepto è una persona che, cresciuta in un culto, quando diventa adulta se ne separa perché la dottrina della propria religione diventa routine.

Questo fattore, unito alla mancanza di senso della vita, al vuoto profondo, alla solitudine, all’insicurezza, rappresenta un terreno fertile per essere adescati.

 

L’adepto, dunque, è predisposto a essere coinvolto.

Spesso è una persona giovane: la curiosità verso sub-culture trasgressive, infatti, è particolarmente grande nel periodo della pubertà, quando l’adolescente, per affermare la propria identità, si ribella agli ordini precostituiti.

Altre volte è una persona emarginata e sola, che vive un periodo di particolare vulnerabilità. Anche le condizioni economiche possono spingere un individuo a lasciarsi abbindolare dalle promesse di potere e ricchezza del satanismo.

Tra il capo e i suoi seguaci, inoltre, si crea un meccanismo di rinforza reciproco nel consolidamento di una visione estremamente persa riguardo se stessi e riguardo ilo mondo.

Il rapporto capo-adepto favorisce la perdita dell’indipendenza e dell’integrità morale e rende l’adepto convinto di essere protetto da una forza formidabile, con cui entra in contatto e di cui viene a far parte.

Dunque, mentre il capo è una figura caratterizzata da un fascino perverso e patologico e presenta evidenti tratti di onnipotenza e narcisismo, l’adepto presenta una marcata vulnerabilità psichica, che può essere legata a disturbi psichiatrici, oppure a un momento transitorio di difficoltà che rende la persona particolarmente fragile. [1]

[1] Del Re M., Riti e crimini del satanismo, Jovene, Napoli 1994.

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