La Sindrome di Successo per Procura

Sono un appassionato di pallavolo da sempre. Mi capita di assistere ad alcuni match di livello professionistico, così come d’estate mi piace veder giocare a beach volley. In una calda giornata del giugno di quest’anno mi sono imbattuto in un torneo di beach volley di un buon livello di gioco, ma organizzato diciamo pure per “passare una giornata insieme e divertirsi”. Infatti le coppie di atleti venivano sorteggiate di volta in volta. Ciò vuol dire che ad ogni match ogni partecipante si trova con un compagno di gioco nuovo ed inatteso. Inutile dire quindi, che anche l’esito del match dipende molto dalla fortuna o la sfortuna di vedersi sorteggiato un compagno più o meno bravo. Si capisce così molto più il senso del torneo al quale ho assistito, organizzato sì da pallavolisti, ma in un ottica decisamente non competitiva e forse più orientata al fare amicizia. Quel giorno fui colpito dall’atteggiamento particolare di un padre nei confronti di una figlia atleta e partecipante al torneo. Seduto in prima fila vicino alla rete di contenimento, questo genitore non fece altro che rimproverare e suggerire continuamente a sua figlia quello che doveva e non doveva fare, quello che sbagliava e quello che lui si aspettava. Addirittura, durante un set, quando sua figlia lanciò un grido di esultanza per una bella schiacciata andata a segno dopo un lungo scambio, lui si lasciò scappare: “Ma cosa urli! I fatti ci vogliono!” Rimasi davvero colpito, direi quasi infastidito perché tutto ciò mi sembrava davvero inopportuno e fuori luogo. Venni poi a sapere che quel padre era un ex pallavolista di alto livello e che quella ragazza, sua figlia, era una giovanissima promessa del volley locale. Mi interrogai su questa particolare relazione tra genitori-figli. Mi chiesi fino a che punto sia sano ed accettabile un atteggiamento parentale di spinta verso il miglioramento e il successo dei propri figli e quando questi comportamenti diventano patogeni e dannosi. Mi venne inevitabilmente in mente anche la storia di André Agassi raccontata nella sua celebre autobiografia, dove le sue sofferenze rappresentano una chiara testimonianza di ciò di cui sto per parlare.

Il contesto familiare è forse l’elemento più importante per la formazione della personalità di un individuo. Per quanto riguarda l’attività sportiva, ma potremmo dire per tutte le attività che intrinsecamente contengono il concetto performance (come anche la scuola o l’attività musicale) la famiglia è anzitutto il primo agente di socializzazione. I genitori sono coloro che favoriscono l’accesso dei propri figli verso diverse attività sociali. In un quadro di normalità, tramite anche il sostegno finanziario e logistico, i genitori introducono i propri figli in alcuni ambienti sociali per una questione di crescita personale, di socializzazione, di confronto tra sé e gli altri. In particolare l’esperienza dello sport contribuisce positivamente allo uno sviluppo fisico, affettivo e intellettuale del bambino e del ragazzo. I genitori in tutto questo hanno un ruolo fondamentale in quanto, specialmente durante l’infanzia, la relazione con i propri figli ha carattere di dipendenza. E’ dunque essenziale che un genitore si impegni nell’obiettivo di generare le condizioni per far si che i propri figli possano tendere alla propria realizzazione. Quasi sempre i genitori sono all’origine dell’avvio di una determinata attività sportiva esercitata dai figli. Questo avviene maggiormente da parte di coloro che, con carattere di predilezione, sono stati già atleti in quel determinato sport.  Tuttavia gli studiosi hanno constatato che l’influenza parentale nei confronti dei propri figli durante la pratica sportiva può essere benefica, ma anche altrettanto nefasta.

Uno degli studi più importanti sulle tappe evolutive del bambino nell’attività sportiva è stato  condotto da Bloom. Attraverso il metodo delle interviste, egli ha inquadrato l’evoluzione in tre tappe essenziali: “The Romantic Stage”, nel quale i bambini vengono semplicemente avvicinati al gioco dello sport. “The Technical Stage”, nel quale i essi vengono valutati come talentuosi e spinti a seguire insegnati ed allenatori professionisti e “The Mature Stage”, nel quale si allenano sempre più in maniera assidua ed inquadrata, con un sostegno importante da parte dei genitori.

A scanso di equivoci portiamo in evidenza il fatto che alcuni studiosi come Brustad ed Ericsson, hanno sottolineato come i genitori che manifestano ripetutamente ai figli il fatto di essere dotati di un talento, può accrescere molto più fiducia in se stessi, una maggiore motivazione, nonché una più alta perseveranza e determinazione. Sostanzialmente stiamo dicendo che la percezione che i genitori hanno dei propri figli rispetto ad alcune loro caratteristiche influenza in maniera diretta su ciò che questi ultimi penseranno delle proprie capacità e competenze. Ecco perché l’atteggiamento genitoriale assume una particolare importanza e delicatezza.

Sappiamo che, in generale, la pressione è una caratteristica intrinseca di qualsiasi contesto competitivo, ma in questo caso si presenta come oggetto di una specifica interazione tra l’ambiente familiare (la domanda proveniente dai genitori) e alcune caratteristiche proprie dell’individuo. Il prodotto di questa interazione fornirà il margine di tolleranza dell’individuo rispetto alla pressione stessa. Possiamo dunque affermare che il giovane atleta dovrà rispondere alle sue proprie aspettative, ma anche a quelle idealizzate e desiderate dal suo entourage. I soggetti sottoposti a pressioni inadeguate o sproporzionate possono pagare dei prezzi alti nel loro sviluppo psico-affettivo e sociale. Nonostante la presenza di un talento dato da aspetti fisici, tecnici e mentali, nessun bambino è senza difetti e difficoltà. Per questo esiste sempre il rischio che i genitori restino delusi. Ovviamente molto dipende da quanto sono alte le aspettative genitoriali. Esistono genitori che sovra-investono su quella determinata attività, comportandosi da padri nervosi e fanatici, divenendo di fatto insoddisfacibili ed estremamente critici di fronte alle performance eseguite.

Uno dei maggiori studiosi dell’infanzia, Alice Miller ha trattato il tema racchiudendolo in una semplice frase: il dramma del bambino dotato (The drama of the gifted child) che diverrà poi una pubblicazione di grande successo. Secondo l’autrice, spesso i bambini sono il più appropriato “oggetto” della gratificazione narcisistica dei genitori e evidenzia numerosi casi nei quali a dispetto di eccellenti performances, questi giovani atleti non hanno un sano sviluppo del vero sé. Il problema centrale è che l’amore dei genitori rischia di diventare condizionato o, nella più parte dei casi, di essere percepito come condizionato ai risultati, rischiando di mettere a dura prova la proprie e vera autenticità. Dal lato del genitore è come se i figli venissero vissuti come un loro prolungamento narcisistico. In altre parole, è come se il genitore vivesse dei successi dei propri figli cercando un riconoscimento da parte degli altri di sé stesso, esattamente come se quei successi fossero propri.  E’ bene precisare che spesso ciò che rende nociva quella pressione per il giovane atleta è la sua percezione soggettiva e fantasmatica rispetto al volere dei genitori. Probabilmente nella maggior parte dei casi l’amore dei genitori resta comunque incondizionato, ma tale è la pressione e l’investimento da parte loro, che i bambino e il ragazzo rischierà di viverlo come condizionato alle proprie performance. Numerosi sono i casi analizzati che riflettono ciò che abbiamo descritto, così come numerose sono le psicopatologie ed i disturbi conseguenti in età adolescenziale ed adulta, dati dal questo disequilibrato rapporto tra genitori e figli. Questi atteggiamenti genitoriali patogeni sono state classificate da Ian R. Toffler in quella che viene definita come la “Sindrome del successo per procura” (The Achievement by Proxy Spectrum). Essa viene definita come una volontà estrema di successo nei confronti dei propri figli, che supera largamente la normale ambizione che un genitore può avere, e che proprio per la sua dimensione enorme essa ha una potenzialità distruttrice sulla salute mentale degli stessi. Quando esistono le condizioni per parlare di questa sindrome sembra proprio che l’amore del genitore sia davvero condizionato al successo. Ma quali sono i limiti oltre i quali l’atteggiamento genitoriale diventa abusivo? Anzitutto è il contesto che pone le basi per lo sviluppo di un tale processo. Questo contesto dove un bambino o adolescente iscritto ad uno sport da un adulto prevede un rischio di sfruttamento delle capacità del bambino in relazione alle ambizioni e ai desideri non soddisfatti dell’adulto. Posta questa condizione di base, esistono tre specifici elementi del processo. Un percorso che porta a perdere di vista progressivamente i bisogni del proprio figlio attraverso comportamenti patogeni. Questi elementi sono: il sacrificio o pseudo-altruismo, la strumentalizzazione e il maltrattamento. Nel primo caso, si verifica una concentrazione della famiglia intorno all’attività competitiva del figlio volta alla costruzione del successo. Inevitabilmente si registra un progressivo isolamento sociale in favore degli allenamenti e si ha la convinzione che si voglia e si possa fare qualsiasi cosa per il bene dei figli. Nel secondo caso, si ha una percezione unidimensionale e materializzata dei propri figli in relazione al suo talento, alla sua disciplina ed ai suoi risultati. E’ in questo secondo passaggio che si verifica il condizionamento amoroso alle performances ed al successo. Nel terzo caso, quella del maltrattamento, i genitori usano una violenza psicologica fatta di critiche, umiliazioni, tormento, il peso della responsabilità. Può esistere anche un abuso fisico, caratterizzato ad esempio da allenamenti eccessivi o forzati anche in caso di malattia, oppure attraverso l’utilizzo di farmaci e doping. Spesso a questa sindrome ne viene associata un’altra tipica dei genitori ex-atleti. Si tratta della Sindrome dello Sportivo frustrato, ovvero di quel genitore che cerca di realizzare le proprie ambizioni fallite e di superare le proprie incapacità attraverso determinati atteggiamenti sui propri figli. Il caso del padre di André Agassi così come viene raccontato e descritto sembra calzare perfettamente in questo ruolo.

Ma il concetto di proiezione è altrettanto importante per considerare quelle che sono conseguenze di tali atteggiamenti. I bambini subiscono il comportamento dei genitori e si modellano introiettando le varie proiezioni genitoriali. Si tratta di una relazione assai particolare che Laplanche definisce come “seduzione reciproca generalizzata”. La proiezione talvolta è così forte da non lasciare spazio allo sviluppo e all’autonomia del bambino, che risulta incastonato in una problematica sado-masochista disumanizzante. Il bambino, poi adolescente ed adulto, rischierà di non sapere più quello che è un suo desiderio da quella che è una risposta inconscia ai desideri dei genitori. Sembra che a questo stadio la sua natura vera natura sia negata, ed una natura fittizia riflette tragicamente delle proiezioni genitoriali. Oltre a mettere in seria difficoltà quella che è l’autostima di un individuo, il rischio più alto in questi casi per quanto concerne la funziona di atleta è quella di burn out.  Alcune conseguenze deleterie per i figli sono una vulnerabilità o uno sviluppo di disturbi d’ansia o depressivi, il rischio di doping, i disturbi del comportamento alimentare.

Michel classifica in tre diverse tipologie i disturbi che potrebbero manifestarsi a seguito della Sindrome di Successo per Procura: identitari, emozionali e fisici. A livello identitario può esistere un’incertezza ed erronea percezione dei propri desideri, come una ricerca costante del fare e della performance piuttosto che dell’essere. Una probabile autostima debole, incentiverà questa spinta costante, perché la riuscita può certamente aiutare il soggetto. Il fatto che l’amore venga vissuto come condizionato, sfocia inevitabilmente in una serie di credenze e convinzioni da parte del soggetto, per la quali le relazioni affettive sono condizionate ai risultati. Queste credenze spesso comportano delle conseguenze come disturbi di ansia, del comportamento alimentare, del sonno e dell’umore legati a situazioni competitive. Il dover sottostare ed il doversi adattare alle aspettative genitoriali, potrà provocare nel bambino un sentimento di inferiorità che potrebbe a sua volta contribuire allo sviluppo di una personalità atrofizzata. Tale personalità  avrà sintomi quali una forte insicurezza, un profondo sentimento di insoddisfazione e di vuoto. Dobbiamo anche evidenziare il fatto che esiste fortemente il rischio di sviluppare una personalità perfezionista a carattere patologico a seguito dei rigidi atteggiamenti del genitori durante l’infanzia ed adolescenza. Sul piano emozionale, possiamo sottolineare una principale caratteristica di instabilità. La necessità di una netta chiusura emozionale imposta nella disciplina, potrà sfociare in una sfera emozionale tendenzialmente molto investita e disregolata di fronte alla stessa performance. Sul piano fisico, o meglio detto corporale, il fisico viene vissuto come strumento per la performance, dove gli esercizi, il regime alimentare ed i pensieri rispetto al proprio corpo diventano ossessivi. Per questo si parla anche di disturbi del comportamento alimentare. Sottolineiamo infine che i primi sintomi di disregolazione emotiva si manifestano in età adolescenziale come veri e propri segni di rottura che possono portare al burnout e all’abbandono della pratica in toto.

ROBERTO1di Roberto Spinelli

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