le fasi del cambiamento in psicologia

Le 5 fasi del cambiamento in Psicologia

Articolo di Olga Pagano

Le teorie degli stadi o processuali (stage theories) cercano di fornire un quadro più dinamico del processo attraverso cui le persone decidono di agire, assumendo che tale processo implichi il passaggio attraverso una serie di diverse fasi.

Le variabili che influenzano le transizioni tra le diverse fasi non sono necessariamente predittive della fase finale di esecuzione del comportamento.

Uno dei modelli più noti è il modello transteoretico di Di Clemente e Prochaska, che si focalizza sul processo diviso in 5 fasi, mediante il quale una persona decide di agire. Si ritiene che la capacità di modificare un comportamento sia in funzione dello stadio raggiunto:

  • FASE PRECONTEMPLATIVA: i soggetti non sono consapevoli o interessati alle conseguenze del proprio comportamento nocivo e quindi non esprimono alcun interesse a cambiare nell’immediato futuro;
  • FASE CONTEMPLATIVA: dichiarano di aver pensato di cambiare il comportamento, ma senza assumersi impegni precisi;
  • FASE PREPARATORIA: indica l’intenzione di agire nel futuro prossimo e la presenza di tentativi di cambiare il proprio comportamento;
  • FASE DELL’AZIONE: caratterizzata da processi di liberazione, di rivalutazione di sé, attraverso cui l’individuo si convince di essere capace di cambiare e si impegna a modificare il comportamento per un certo periodo;
  • FASE DEL MANTENIMENTO: quando l’azione si mantiene per un tempo superiore. La progressione da uno stadio all’altro è raramente lineare, spesso capita di tornare indietro, ma questo è positivo perché spinge l’individuo ad apprendere nuove strategie.

Questo modello è stato usato in numerosi ambiti (trattamento di disturbi alcol-correlati, disassuefazione dal fumo).

 

Il passaggio da una fase all’altra è facilitato da dieci processi che vengono divisi in:

  • attività esperienziali (importanti nel passaggio dalla prima alla seconda fase)
  • attività comportamentali.

Un altro modello è il processo di adozione di precauzioni, usato soprattutto per la spiegazione dell’uso di precauzioni nei confronti dell’ HIV/AIDS.

Divide l’adozione di precauzioni in 7 stadi:

  1. le persone non sono consapevoli del problema di salute
  2. hanno appreso qualcosa ma non sono ancora impegnate a pensare a fondo al problema
  3. le persone riflettono a fondo al problema
  4. possono decidere di non agire (in questo caso il processo si ferma qui)
  5. possono formare un’intenzione di agire
  6. inizio dell’azione
  7. mantenimento del comportamento nel tempo.

L’acquisizione di conoscenze su un problema o la conoscenza di qualcuno che ha avuto problemi di salute predice l’eventualità di passare dallo stadio 1 al 2. La percezione di vulnerabilità personale predice l’eventualità che le persone decidano di adottare precauzioni e passare quindi allo stadio 3.

Tuttavia si ipotizza che l’azione si realizzi (stadio 5) quando le credenze sulla gravità, sulla vulnerabilità e l’efficacia raggiungono una soglia particolare. Il passaggio dall’intenzione all’azione (stadio 6) è influenzato dalla presenza di ostacoli e vincoli situazionali.

Un ulteriore modello è l’approccio al processo dell’azione rilevante per la salute, elaborato allo scopo di specificare lo status causale delle credenze nell’efficacia personale rispetto alle altre variabili relative alla salute con una attenzione particolare alla relazione fra intenzioni comportamenti e azioni affettive.

La nozione di base è che il mantenimento dei comportamenti salutari vanno concettualizzati come un processo che consiste in due fasi:

  • fase motivazionale, nella quale le persone scelgono una azione da adottare e si formano una intenzione. Questa fase è influenzata da tre tipi di valutazioni a livello cognitivo:
    – percezione del rischio
    – aspettative circa il risultato
    – percezione dell’efficacia personale
  • fase volitiva o dell’azione, riguarda le variabili che incidono sulla intensità dello sforzo e la sua persistenza. Include tre livelli: cognitivo (formazione di piani d’azione e controllo sull’azione),
    comportamentale (azione), situazionale (barriere e risorse esterne).

Centrale in questo modello è il concetto di self-efficacy, che incide non solo sul processo decisionale, ma anche sull’inizio e sul mantenimento dell’azione.

Una volta iniziata l’azione, occorre controllarla cognitivamente di fronte ad altre motivazioni alternative che possono ostacolarla. La percezione di efficacia personale influenza le intenzioni e le abitudini sia nell’adozione di pratiche salutari, sia nella modificazioni di comportamenti nocivi.

Tutti questi modelli condividono due aspetti:

  • sono dinamici ed enfatizzano una dimensione temporale articolata in diverse fasi;
  • implicano l’esistenza di cognizioni specifiche per ogni fase. A partire dalle critiche mosse ai modelli precedenti, alcuni autori propongono di creare dei modelli integrati che possano colmare le lacune. Le proposte che sono emerse intendono creare modelli in grado di:
  • precisare gli aspetti dinamici già indagati nei modelli processuali, ponendo maggiore attenzione alle variabili che spiegano il passaggio intenzione/comportamento; – tenere conto degli aspetti motivazionali;
  • sottolineare l’importanza delle variabili emozionali.
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