tecniche del linguaggio terapeutico psicologia

Le tecniche del linguaggio terapeutico spiegate in dettaglio

Le considerazioni teoriche fin qui passate in rassegna valgono a dimostrare dunque i diversi gradi di complessità insiti nel linguaggio, ragion per cui questo, quantomeno nella relazione di aiuto, non è sufficiente da solo (cioè nella modalità pura) a dare una definizione corretta ed esauriente di ciò che intende descrivere, figurarsi in quali angustie incappi il cliente che vuole parlare di sé o il counselor quando lo deve interpretare.

 

La mia ipotesi è stata allora quella di considerare la possibilità di lavorare con il cliente anche attraverso metodologie alternative, che possano favorire entrambi, nei termini di una narrazione trasversale o metaforica del sé rappresentata da una storia esterna. La storia “esterna” ha in realtà una funzione ben precisa: essa sembrerebbe “a prima vista” non riguardare il cliente, nel senso che – come si vedrà – sarà poi il cliente medesimo, dapprima inconsapevolmente e poi in maniera via via più consapevole, a rendere quella storia la propria. L’assunto pertanto su cui ho lavorato è quello in base al quale una metodologia di questo tipo possa  facilitare, per trasposizione, la visualizzazione dei modelli e degli schemi di comportamento agiti spontaneamente  dal cliente e le sue fantasie sul mondo che lo circonda (in termini per esempio di pessimismo o ottimismo), senza che ci siano, almeno nel primo momento, elementi consapevoli di sovrapposizione tra la storia personale e quella esterna, tali da condizionare le scelte da agire nella trama della storia proposta.

Una metodologia così pensata pertanto – e della quale parlerò in maniera più dettagliata nel prossimo paragrafo – potrebbe risultare utile nei seguenti casi:

 

  • Quanto le parole risultino incapaci di comunicare i nostri “miti “interiori: sia perché molto banalmente il nostro cliente non possiede un vocabolario ampio che ne soddisfi la descrizione, sia perché questi contenuti rimangono inconsci, o il complesso non venga ammesso;
  • Quanto quando il cliente dimostri un’insopprimibile “inclinazione” a rivolgere il suo sguardo all’introspettivo, dipingendo a suo modo se stesso e la propria vita: che si tratti di personalità narcisistiche, o della tendenza del cliente a stringere l’obiettivo narrativo solo a pochi fatti circoscritti, la “storia esterna” può rappresentare uno strumento utile per uscire dall’impasse narrativa del cliente;
  • Quando ci sia la consapevolezza che ci siano più cose nella vita di un uomo di quante ne ammettano le nostre teorie su di essa (cit)[1]: Poiché le teorie psicologiche della personalità e del suo sviluppo sono così fortemente dominate dalla visione “traumatica” degli anni infantili, la messa a fuco dei nostri ricordi e il linguaggio con cui raccontiamo la nostra storia sono a priori contaminati dalle tossine di tali teorie. È possibile invece che la nostra vita non sia determinata tanto dalla nostra infanzia, quanto dal modo in cui abbiamo imparato a immaginarla;
  • Qualora il counselor sia poco esperto: se la nostra esperienza non è ancora così poderosa da renderci abili nel ravvisare le distorsioni generalizzazioni o cancellazioni nella narrazione del cliente, quanto lapsus e complessi, o quando il counselor stesso si trova davanti ad una problematica che è del cliente ma che ravvisa appartenergli. In quest’ultimo caso, una metodologia trasversale è consigliabile in modo da evitare al counselor di impelagarsi in una situazione che potrebbe compromettere l’andamento della relazione a causa della difficoltà della gestione del caso, magari per un mancato distacco emotivo. Naturalmente, ravvisata questa casistica, al counselor spetta lavorare sul complesso avvertito;
  • Nei contesti di counseling di gruppo, attraverso la co-costruzione di storie: nei contesti cioè in cui si pone come obiettivo l’acquisizione di competenze quali la collaborazione e la solidarietà, attraverso la realizzazione di prodotti corali condivisi;
  • Con adolescenti riottosi al parlare di sé o in tutti quei contesti in cui la narrazione non è facilitata;
  • Nei contesti in cui non si può ricorrere alla scrittura creativa;
  • Per il docente nei contesti scolastici: oggigiorno pare ravvisarsi utile una gestione del gruppo classe attraverso le metodologie di cui si avvale il counseling. Che il docente lavori con l’intera classe, o che si rapporti al singolo alunno, può attingere a molti strumenti per realizzare una relazione positiva e funzionale tanto in termini di crescita che di apprendimento. Nel dettaglio, le competenze richieste al docente-counselor sono meglio esplicate nel paragrafo ad egli dedicato.
  • In contesti in cui si avverte “il vuoto” inteso come mancanza di senso o di risorse, mancata progettualità.
  • In contesti in cui si intenda formare o favorire la scrittura creativa come mezzo per allenare all’immaginazione e alla fantasia (nonché al senso): il potere della scrittura creativa consiste sia nella sua potenzialità catartica, che nell’allenare l’immaginario, trovare nuovi sensi, nuovi obiettivi e significati da attribuire a sé ed al mondo, nuove modalità di soluzione ai problemi.

 

 

 

 

 

2.5 La metodologia

 

Si tratta di fornire una storia, pensata nei termini di un racconto di fantasia, in cui le esperienze del/della protagonista, si svolgono per fasi successive, in moduli tali da risultare intercambiabili, omissibili e/o modificabili da parte del cliente.

La storia, formulata secondo la struttura archetipica della fiaba, si compone dei pilastri consueti alle narrazioni folkloriche in cui tanta parte di psicoanalisi ha intravisto il potere catartico della fiaba: eroe/eroina alla ricerca del proprio principium individuationis, prove da superare, riconoscimento ed utilizzo delle risorse interne /esterne (per es. ambientali)

L’assunto di fondo è che sia possibile intravedere, in base ai meccanismi di comportamento che il cliente agisce tramite il/la protagonista, quali che siano i suoi probabili meccanismi di funzionamento, attraverso l’interpretazione/cooperativa attiva counselor-cliente, delle scelte adoperate (dal cliente) e dei motivi che sussume alla base delle stesse.

Un altro modello similare, prevede altresì, e probabilmente dopo che ci sia stato un certo numero di sedute, di simulare un racconto che rievochi per tutti se non per certi versi la biografia raccontata dal cliente e porlo nella possibilità di operare alcune scelte a più livelli:

  1. Scelta dell’avatar: il/la cliente possono scegliere l’avatar che ritengono per sé più appropriato per la riuscita della storia, la quale naturalmente ha come obiettivo la rimozione del blocco o la risoluzione della problematica che il cliente porta in seduta. La scelta dell’avatar, tende a fornire delle preziosissime informazioni: su come il cliente si vede/percepisce, come immagina se stesso vincente (cioè come immagina che dovrebbe essere in termini di qualità, per poter venire a capo del suo nodo gordiano) e tutte le fantasie ancor più preziose che possano venir fuori dall’uso di questo stratagemma.

Le possibilità di scelta suggerite per l’avatar solo relative a: sesso, età, specie (se umana o animale), e “vaso di Pandora”, ovvero l’eventualità che il cliente possa costruire da sé il proprio personaggio, dando libero sfogo alla sua fantasia, cosa della quale annoteremmo ogni dettaglio.

  1. Scelta del vestiario: anche la scelta del vestiario dell’avatar prescelto può essere motivo di spunti suggestivi per chiarire alcuni meccanismi. Per esempio può significare che tipo di sostegno metaforico o semplicemente che habitus in senso lato, soddisferebbe o incoraggerebbe il cliente nel raggiungimento dell’obiettivo proposto nel racconto (che è poi del cliente) fino al tipo di habitus che in quel determinato momento egli si riconosce: le possibilità di scelta suggerite per il vestiario sono: pratico/sportivo o cerimonioso, di attacco o di difesa, e “vaso di pandora” qualora il cliente senta la necessità di particolareggiare il vestiario dell’avatar.
  2. Scelta del corredo: come per le scelte precedenti, anche la scelta di persone o cose di cui il cliente/personaggio/eroe decida di munirsi in vista dell’obiettivo, può essere significativa.

Le possibilità di scelta suggerite rispetto al corredo (inteso come mezzi facilitanti) possono consistere in: armi, animali, poteri, denari, persone, “vaso di Pandora”.

È comunque produttivo, considerando che la storia si costruisce e rimodula di volta in volta con il cliente, che questi possa avanzare la necessità di modificare, in corso d’opera uno qualcuno o tutti i modelli, dall’avatar e le sue caratteristiche, dall’habitus fino al corredo, ogni volta che lo ritenga plausibile, per esempio man mano che egli ritiene che il personaggio si sia evoluto /o involuto) rispetto alla meta.

Di seguito viene riportata una storia da me strutturata e modulabile, secondo i parametri descritti.

[1] James Hillman, Il codice dell’anima, Adelphi, Milano, 2012, p. 1

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