L’uomo che confessò 600 omicidi per finta…

Non è possibile stimare con certezza l’incidenza delle false confessioni, tuttavia, negli Stati Uniti, si ipotizza un range che va da 35 a 600 condanne all’anno basate su false confessioni (Kassin, 1997).

Gli psicologi distinguono tre diverse tipologie di false confessioni:

  • la falsa confessione spontanea
  • la falsa confessione costretta compiacente
  • la falsa confessione costretta-interiorizzata (Kassin, 1997).

Le false confessioni spontanee avvengono senza che vi sia pressione da parte della polizia. Più comunemente, le persone si recano di loro
spontanea volontà a un posto di polizia e dichiarano di essere colpevoli di quel crimine. La falsa confessione spontanea può avvenire per svariati motivi.

Una delle ragioni potrebbe essere un «desiderio morboso di notorietà», che consiste in un bisogno patologico di diventare persone
devianti e di aumentare in questo modo la considerazione di se stessi, anche se ciò comporta la possibilità di andare in prigione (Caso e Vrij, 2009).

Un famoso sedicente serial killer, di nome Henry Lee Lucas, rivelatosi poi innocente, confessò oltre 600 omicidi nei primi anni ’80.
Quando gli fu chiesto come mai avesse confessato tutti quegli omicidi, il signor Lucas rispose che prima che venisse arrestato, non aveva amici, che nessuna persona gli dava retta o parlava con lui, ma dopo aver confessato di aver commesso gli omicidi, tutto era cambiato, ora aveva molti amici, e si godeva il suo momento di notorietà (Gudjonsson, 1999b).

La falsa confessione costretta-compiacente avviene quando, sulla base dell’interrogatorio della polizia, la persona sospettata confessa di aver fatto delle cose sapendo che non è vero. Questa tipologia di confessione scaturisce dalle pressioni della polizia e dal tipo di strategie usate durante l’interrogatorio.

Il risultato è che la persona è portata a ritenere che i vantaggi della confessione siano maggiori dei costi, e che confessare sia
l’unico modo per liberarsi dell’interrogatorio della polizia che viene considerato stressante e intollerabile. Diversamente, le persone possono confessare sulla base dei vantaggi che la polizia promette o per poter conseguire ipotetici benefici. (Caso e Vrij, 2009)

La falsa confessione costretta-interiorizzata avviene quando le persone arrivano a credere, durante l’interrogatorio di polizia, di aver commesso il crimine del quale sono accusati, anche se non ne hanno alcun ricordo (Ibidem). Un esempio emblematico riguarda il caso di

Tom Sawyer, una persona socialmente ansiosa e alcolista che era arrivata a credere di aver commesso un assassinio che in realtà non aveva commesso (Ofshe, 1989). Una falsa confessione interiorizzata non implica che la persona si convinca di aver commesso il reato. Ciò che in realtà accade è che le persone a un certo punto si convincono che è più probabile che essi siano colpevoli che innocenti (Ofshe e Leo ,1997a; 1997b).

Queste persone di solito non hanno il ricordo del crimine, ma le tattiche messe in pratica dalla Polizia diminuiscono la fiducia della loro memoria e le portano a riflettere seriamente sulla possibilità che siano state proprio loro a commettere quel reato.

Il modo migliore per riuscire a distinguere una falsa confessione da una vera consiste nel verificare due aspetti: conoscenze specifiche e
conoscenze impossibili (Wagenaar, van Koppen e Crombag, 1993).

Le conoscenze specifiche sono quelle che solamente la persona colpevole di quel reato può conoscere (per esempio, il luogo dove è sepolto il cadavere). Le conoscenze impossibili sono invece prove che fornisce il sospettato che alla fine dimostrano che egli non può aver commesso quel crimine.

La confessione di Henry Lee Lucas, per esempio, non poteva essere attendibile, poiché il giorno dell’omicidio egli si trovava lontano
1.300 miglia dalla scena del delitto. Lo psicologo che aveva effettuato una valutazione psicologica di Lucas considerò che l’errore principale fatto dalla polizia fosse stato l’aver accettato in modo acritico, senza nessun’altra evidenza scientifica, la sua confessione (Gudjonsson, 1999b).

Articolo di Rossella Cataleta

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