Normativa in materia di violenza sulle donne
Articolo di Giuseppina Seppini
Nel mese di ottobre 2013, per rispondere anche ad un processo di enfatizzazione da parte dei mass media, rispetto ad una recrudescenza dell’esercizio della violenza dell’uomo sulla donna divenuta una vera e propria emergenza sociale, mediante un procedimento di decretazione d’urgenza, sono state introdotte nel nostro ordinamento, misure sia preventive sia repressive, con il fine di arginare e contrastare ogni forma di violenza diretta verso il genere femminile. La normativa approvata risultava essere finalizzata alla realizzazione di procedimenti sanzionatori rispetto a tre differenti tipologie di reato: stalking, maltrattamenti e violenza sessuale.
Già nel 1993 l’Organizzazione delle Nazioni Unite (O.N.U.) con la Dichiarazione sull’Eliminazione della violenza contro le donne, definiva la stessa, come una forma gravissima di violazione dei diritti umani, in riferimento a tutti gli atti violenti compiuti per l’appartenenza al sesso femminile, in grado di determinare sofferenze di tipo fisico, sessuale e psicologiche, ivi comprese le condizioni di minaccia di tali atti, la costrizione e alla privazione della libertà.
Nel 2001 la “Convenzione sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica”, conosciuta come “Convenzione di Instanbul”, ratificata in Italia nel 2013 ed entrata in vigore nel 2014, ha fatto si che il Consiglio d’Europa, riconoscesse la violenza contro le donne, in quanto manifestazione dei rapporti di forza tra i sessi, che determinano e hanno determinato storicamente, la prevalenza del dominio maschile sul genere femminile, con rapporti di sudditanza psicologica, discriminazione e impedimento alla reale emancipazione della donna.
Nel 2012 la Special Rapporteur delle Nazioni Unite Rashida Manjoo, impegnata nel contrasto alla violenza sulle donne, sosteneva che per l’Italia, la violenza di genere rappresentasse un problema particolarmente significativo, invitando il nostro Governo ad indentificare strategie finalizzate alla riduzione e al contrasto del fenomeno, suggerendo interventi mirati alla modifica di quell’habitus culturale in cui alberga spesso un atteggiamento giustificazionista e tollerante, nei confronti dei comportamenti violenti perpetrati dall’uomo e indirizzati alla donna, soprattutto se questi si realizzano all’interno di un rapporto di coppia.
In Italia è solo dal 1975, che è stata abolita l’autorità maritale, che prevedeva anche la liceità da parte dello stesso coniuge di porre in essere comportamenti finalizzati all’utilizzo di “mezzi di correzione e disciplina”, nei confronti della moglie (art. 144 c.c.). Mentre solo nel 1981 viene abrogato l’art. 587 dal c.p., inerente “l’omicidio e lesione personale per cause d’onore). Inoltre fino al 1996, i reati di violenza carnale e di libidine violenta, erano interpretati in quanto “delitti contro la moralità pubblica ed il buon costume” (artt. 519 e 520), trovando successivamente abrogazione e nuova disciplina con gli artt. 609[1] bis c.p. e seguenti, ascrivendoli quindi ai reati contro la persona.
Anche il reato di maltrattamenti nei confronti di familiari e conviventi, art. 572 c.p.[2], ha subito nel tempo delle modifiche sostanziali: oggi è punito con la reclusione da due a sei anni ed è prevista anche una condizione aggravante[3], se le condotte violente avvengono in presenza o in danno di soggetto minore o in danno di donna in stato di gravidanza. Per questo tipo di reato inoltre, è possibile l’applicazione della misura cautelare all’offender, di allontanamento dalla casa familiare (art. 282 bis c.p.p.), nonché del divieto di avvicinamento ai luoghi abitualmente frequentati dalla vittima.
Nel 2009 invece, con il D.L. n.11, convertito con modifiche nella L. n. 38/2009 e successivamente modificato con L. 119/2013, si introduce il reato di atti persecutori, attualmente punito con la reclusione dai sei mesi ai cinque anni.
È previsto inoltre l’obbligo per le Forze dell’ordine, per le Istituzioni pubbliche e per i Presidi Sanitari che ricevono notizia di reato dalla vittima, di fornire a quest’ultima tutte le informazioni sui Centri Antiviolenza esistenti e di metterla in contatto, qualora ne esprima la volontà, con una di esse.
Ancora l’art. 583 bis c.p., inserito dalla L. 7/2006, punisce con la reclusione da quattro a dodici anni le mutilazioni degli organi genitali femminili, se non espressamente previste da esigenze terapeutiche.
La Convenzione di Instanbul prevede altresì, il reato di “matrimonio forzato”, introducendolo ex novo in riferimento all’atto intenzionale orientato a costringere un adulto o un bambino a contrarre matrimonio.
La normativa italiana prevede anche, il rilascio di uno speciale permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale per le persone straniere vittime di violenza domestica, con l’obbligo da parte delle forze dell’ordine di accertare situazioni di abuso o violenza o per effetto delle dichiarazioni rese nel corso di indagini preliminari o processo, permesso quindi disciplinato dall’art. 18 bis del D.L. n. 286/1996, inserito nell’art. 4 del D.L. n. 93/2013, convertito con modifiche nella L. 119/2013.
Inoltre secondo dati I.S.T.A.T., nel 2014 sono state 6 milioni e 788 mila le donne che nel corso della loro vita sono state vittima di violenza sessuale e fisica, con un’età compresa nel 31% dei casi tra i 16 ed i 70 anni, perpetrata da coniugi, partner, ex coniugi (tavola n.1).
Sempre secondo dati I.S.T.A.T., l’aggressore spesso è una persona conosciuta parente, conoscente, amico o amico di famiglia, collega di lavoro (cfr. tabella n.2) e solo nel 13,2% si tratta di sconosciuto.
La normativa inerente la violenza di genere, rappresenta uno strumento di notevole importanza, in primis perché si è resa e si rende evidenza ad un problema sostanziale della nostra società complesso e multiforme, che rappresenta quasi una tragica quotidianità, in secundis, perché consente l’elaborazione di strategie di intervento di contrasto e lotta a questa forma di violenza a differenti livelli, favorendo il lavoro di rete tra differenti figure professionali.
[1] Al n. 5 quater dell’art. 609 è prevista l’aggravante di commissione della pena da sei ai dodici anni, nel caso in cui “il colpevole sia il coniuge, anche separato o divorziato, ovvero colui che alla stessa è o è stato legato da relazione affettiva, anche senza convivenza”.
[2] Il riferimento iniziale è al Codice Rocco del 1930.
[3] Art. 61 n. 11 quinquies c.p., previsto dal D.L. n. 93/2013 e convertito con modifiche nella L. 119/2013).
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