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Le cause delle perversioni sessuali

Pochi disturbi psichiatrici sono accompagnati da considerazioni moralistiche come lo sono le parafilie. Determinare la devianza di un individuo nell’area della sessualità implica stabilire chiare norme per il comportamento sessuale. L’evoluzione della definizione di attività sessuale perversa rivela quanto la nosologia psichiatrica rifletta la società che la esprime. Nel contesto di una cultura che considerava la normalità sessuale in termini relativamente ristretti, Freud (1905) ha definito l’attività sessuale come perversa secondo diversi criteri:

  1. è focalizzata su regioni del corpo non genitali;
  2. invece di coesistere con l’abituale pratica di rapporti genitali con un partner dell’altro sesso, soppianta e sostituisce tale pratica;
  3. tende ad essere la pratica sessuale esclusiva dell’individuo.

Freud ha inoltre osservato che tracce di perversione potevano essere trovate virtualmente in ogni persona il cui inconscio fosse soggetto all’esplorazione psicoanalitica. Dal primo scritto di Freud, gli atteggiamenti culturali relativi alla sessualità sono radicalmente cambiati. Divenendo la sessualità un’area di legittima indagine scientifica, è emerso che le coppie “normali” hanno una varietà di comportamenti sessuali. I rapporti orali-genitali, per esempio, sono stati ampiamente accettati come comportamento sessuale sano. L’omosessualità e la penetrazione anale sono state, analogamente, rimosse dalla lista delle attività perverse. Un atteggiamento più tollerante nei confronti delle perversioni sessuali ha pertanto accompagnato i progressi della psicoanalisi. McDougall[1] ha messo in evidenza che fantasie perverse si riscontrano regolarmente in tutto il comportamento sessuale adulto, ma tendono a causare pochi problemi in quanto non vengono esperite come compulsive. Egli ha sottolineato come i clinici debbano essere empatici con i loro pazienti, che sentono tali richieste sessuali come necessarie alla sopravvivenza emotiva. Il termine perversione dovrebbe quindi essere riservato ai casi in cui un individuo impone desideri personali a un partner che si mostra riluttante a essere coinvolto in un simile scenario sessuale, oppure seduce una persona non responsabile, come un bambino o un adulto mentalmente handicappato[2]. Stoller[3] ha invocato una definizione più ristretta di perversione sessuale. Riferendosi alla perversione come alla “forma erotica dell’odio”, ha asserito che la crudeltà e il desiderio di umiliare e di degradare il partner sessuale, e anche se stessi, è la determinante cruciale per classificare un comportamento come perverso. Secondo questa prospettiva, l’intenzione dell’individuo è una variabile critica nel definire la perversione. Riconoscendo che nel normale eccitamento sessuale vi è un tocco di ostilità e desiderio di umiliare, Stoller ha concluso che l’intimità è un fattore critico di differenziazione. Un individuo è perverso solo quando l’atto erotico viene utilizzato per evitare una relazione a lungo termine, emotivamente intima, con un’altra persona; al contrario, il comportamento sessuale non è perverso quando è al servizio della costruzione di una relazione intima e stabile. È importante ricordare, come già specificato, che la definizione delle parafilie del DSM-5[4], nel tentativo di evitare di esprimere una posizione giudicante, opera una distinzione tra parafilie e disturbi parafilici. Tale distinzione riconosce che forme di comportamento sessuale insolite, non convenzionali, non devono essere necessariamente oggetto di attenzione clinica: una diagnosi di disturbo parafilico andrebbe posta soltanto quando una parafilia diventa causa di disagio significativo o arreca danno a sé stessi o agli altri[5].

 

1.1.1        Eziologia delle Parafilie

L’eziologia delle parafilie rimane in gran parte un mistero. Fattori psicologici giocano ovviamente un ruolo cruciale nel determinare la scelta della parafilia e il significato sottostante agli atti sessuali. Bisogna sottolineare che i modelli psicodinamici possono chiarire il significato di una parafilia senza necessariamente stabilirne un’eziologia definitiva[6]. La visione classica delle perversioni è profondamente legata alla teoria pulsionale. Freud (1905) riteneva che questi disturbi illustrassero come l’istinto e l’oggetto siano separati l’uno dall’altro: “La pulsione sessuale probabilmente è in un primo tempo indipendente dal proprio oggetto”. Inoltre, egli ha definito la perversione contrapponendola in parte alla nevrosi. Nella seconda condizione, i sintomi nevrotici rappresentano una trasformazione di fantasie perverse rimosse. Nelle perversioni, invece, le fantasie diventano coscienti e vengono espresse direttamente come piacevoli attività egosintoniche. Freud ha quindi descritto la nevrosi come il “negativo” della perversione: i sintomi nevrotici erano fantasie perverse desessualizzate. Nella visione classica le perversioni possono essere fissazioni o regressioni a forme di sessualità infantile che persistono nella vita adulta[7]. Un atto perverso diviene una procedura fissata e ritualizzata, la sola strada per il raggiungimento dell’orgasmo genitale. Nella visione classica[8] il fattore decisivo che impedisce il raggiungimento dell’orgasmo attraverso il rapporto genitale convenzionale è l’angoscia di castrazione; le perversioni assolvono pertanto la funzione di negare la castrazione. Nel suo lavoro clinico, Freud (1905) ha osservato che qualunque perversione “attiva” era sempre accompagnata da una controparte “passiva”. Secondo questa formulazione il sadico avrebbe un nucleo masochista, mentre il voyeur soffrirebbe di inconsci desideri esibizionistici. Ricercatori psicoanalisti più recenti hanno concluso che la sola teoria pulsionale è insufficiente a spiegare molte delle fantasie e dei comportamenti che si osservano nella pratica clinica, e che gli aspetti relazionali delle parafilie sono cruciali per una comprensione più completa[9]. Secondo Stoller[10] l’essenza della perversione è la conversione “di un trauma infantile in un trionfo adulto”. I pazienti sono spinti dalle loro fantasie di vendicare umilianti traumi infantili causati dai genitori. Il loro metodo di vendetta è quello di disumanizzare e umiliare il partner durante la fantasia o l’atto perverso. Bergner[11] ha notato come in individui sessualmente compulsivi gli scenari preferiti abbiano tipicamente origine da esperienze infantili di degradazione. In questi individui le fantasie sessualmente eccitanti hanno lo scopo di superare tale degradazione portando a una redenzione personale. Sfortunatamente, le loro fantasie prevedono scenari improponibili, con cui le reazioni reali non possono reggere il confronto; il desiderio di trascendere la degradazione non viene quindi mai realizzato.

L’attività sessuale parafilica può anche essere una fuga dalla relazionalità oggettuale[12]. Molte persone con parafilie si sono separate e individualizzate in maniera incompleta dalle loro rappresentazioni intrapsichiche della madre. L’espressione sessuale può essere l’unica area nella quale riescono ad affermare la loro indipendenza. Mentre per Stoller[13] le parafilie sono espressioni del desiderio di umiliare, Mitchell[14] le ha intese come una sfida alla prepotente influenza della figura materna interna. Joyce McDougall[15] ha suggerito che il comportamento sessuale evolve da una complicata matrice di identificazioni e controidentificazioni con i genitori. Ciascun bambino è coinvolto in un dramma psicologico inconscio che ha origine dai desideri e conflitti erotici inconsci dei genitori. La natura obbligatoria di qualunque neosessualità è quindi programmata da copioni parentali interiorizzati dal bambino. Nella visione della McDougall, il comportamento sessuale deviante può servire in parte per proteggere gli oggetti introiettati dall’aggressività del paziente attraverso l’acting out del dramma inconscio “scritto” dai genitori. Kohut[16] ha fornito una prospettiva basata sulla psicologia del Sé del funzionamento delle parafilie. Nella sua visione, l’attività parafilica coinvolge un tentativo disperato di ristabilire l’integrità e la coesione del Sé in assenza di risposte empatiche da oggetto-Sé da parte degli altri. L’attività o fantasia sessuale può aiutare il paziente a sentirsi vivo e integro quando è minacciato dall’abbandono o dalla separazione. Un simile comportamento nel corso di una psicoterapia o di un’analisi può pertanto essere una reazione all’assenza di empatia del terapeuta, che porta a una temporanea distruzione della matrice Sé/oggetto-Sé instaurata tra paziente e terapeuta[17]. Sebbene non sia una psicologia del Sé, anche la McDougall ha identificato quale nucleo centrale di molta dell’attività parafilica una profonda paura di perdita dell’identità o del senso di sé. Certe pratiche o oggetti sessuali diventano come una droga che il paziente usa per “curare” un senso di morte interna e una paura di disintegrazione del Sé. In questi pazienti la McDougall ha osservato un processo di interiorizzazione difettoso, che durante l’infanzia ha impedito il ricorso a oggetti transizionali nel loro tentativo di separarsi da figure materne. Secondo Goldberg[18] la sessualizzazione rappresenta un tentativo di riparare un difetto strutturale del Sé correlato a un’incapacità di gestire e provare stati emozionali dolorosi. Egli ha inoltre associato la perversione a una scissione verticale all’interno della personalità tra una parte dell’”io reale” e una parte ripudiata che è considerata quella che inizia e porta avanti i comportamenti sessualizzati. Autori come Mitchell, McDougall, Kohut e Goldberg hanno preparato il terreno per una più profonda comprensione delle parafilie, che si colloca più nel campo delle rappresentazioni del Sé e dell’oggetto che in quello della sessualità pura. Secondo Ogden[19] questi pazienti utilizzano un modo sessualizzato di porsi in relazione con gli altri per cercare di evitare un’esperienza di morte psicologica. Parsons[20] ha osservato che tale comportamento deriva da un’incapacità di tollerare la “diversità” degli altri. Il paziente propone uno scenario perverso per difendersi dalla percezione di un’altra persona come entità complessa, reale e differente da sé. La parafilia comporta un modo di mettersi in rapporto che non prevede un vero senso di connessione con l’altro, ma usa il potere di sedurlo, dominarlo o sfruttarlo in assenza di un reale riconoscimento del Sé e dell’altro in una relazione intima. Molti di questi pazienti hanno avuto nell’infanzia esperienze in cui percepivano l’intimità come pericolosa o distruttiva, e passano il resto della loro vita cercando di evitarla. Secondo la visione clinica tradizionale le perversioni sono rare nelle donne. Questo punto di vista è cambiato negli ultimi anni come risultato della ricerca empirica e dell’osservazione clinica, che hanno dimostrato come fantasie parafiliche siano di fatto comuni nelle donne. Le ragioni delle preferenze individuali per determinare fantasie o azioni rispetto ad altre rimangono oscure. Inoltre, diverse parafilie spesso coesistono in una stessa persona. Sebbene la visione tradizionale delle perversioni preveda che il perverso sia fissato in un certo tipo di scenario sessuale, uno studio su 561 uomini che cercavano assistenza a causa di parafilia ha rilevato che meno del 30% dei soggetti aveva confinato il comportamento deviante all’interno di una sola parafilia[21]. Alcuni possono inoltre passare nel tempo da una forma di parafilia a un’altra. In individui con parafilia può essere presente un ampio spettro di diagnosi psichiatriche e livelli di organizzazione di personalità. Parafilie sono state osservate, per esempio, in pazienti psicotici, in pazienti con disturbi di personalità e in pazienti relativamente sani o nevrotici. Una sessualità perversa polimorfa si riscontra frequentemente in individui con un’organizzazione borderline di personalità[22]. Parafilie che comportano un’aperta crudeltà nei confronti di altri sono spesso presenti nei pazienti con disturbo antisociale di personalità. Pertanto, la comprensione psicodinamica di un paziente coinvolto in un’attività sessuale non convenzionale implica una comprensione esauriente delle modalità con cui tale attività interagisce con la sottostante struttura caratterologica.

Per esempio, pazienti che hanno un’organizzazione nevrotica possono utilizzare un’attività parafilica per facilitare la potenza genitale, mentre pazienti vicini al versante psicotico possono usare la medesima attività per difendersi da un senso di dissoluzione del Sé[23],[24].

[1] McDougall, J. (1986). Identifications, neoneeds and neosexuality. In International Journal of Psychoanalysis, 67, 19-31.

[2] McDougall, J. (1995), Eros. Le deviazioni del desiderio. Tr. It. Raffaello Cortina, Milano, 1997.

[3] Stoller R.J. (1985), Observing the Erotic Imagination. Yale University Press, New Haven.

[4] American Psychiatric Association (2013), Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM-5), Raffaello Cortina Editore, Milano 2014.

[5] Glen O. Gabbard, Psichiatria Psicodinamica, Quinta edizione basata sul DSM-5, Raffaello Cortina Editore, 2015.

[6] Pearson, E.S. (1986), “Paraphilias and gender identity disorders”. In Cavenar, J.O. JR (a cura di), Psychiatry, vol.1: The Personality Disorders and Neuroses. Lippincott, Philadelphia.

[7] Sachs, H. (1986), “The genesis of perversion”. In Psycoanalytic Quarterly, 55, 477-488.

[8] Fenichel, O. (1945), Trattato di psicoanalisi delle nevrosi e delle psicosi. Tr. It. Astrolabio, Roma 1951.

[9] Mitchell, S.A. (1988), Relational Concepts in Psychoanalysis: An Integration. Harvard University Press, Cambridge.

[10] Stoller R.J. (1985), Observing the Erotic Imagination. Yale University Press, New Haven.

[11] Bergner, R.M. (2002), Sexual compulsion as an attempted recovery from degradation: theory and therapy. In Journal of Sex & Marital Therapy, 28, 373-387.

[12] Mitchell, S.A. (1988), Relational Concepts in Psychoanalysis: An Integration. Harvard University Press, Cambridge.

[13] Stoller R.J. (1985), Observing the Erotic Imagination. Yale University Press, New Haven.

[14] Mitchell, S.A. (1988), Relational Concepts in Psychoanalysis: An Integration. Harvard University Press, Cambridge.

[15] McDougall, J. (1986). Identifications, neoneeds and neosexuality. In International Journal of Psychoanalysis, 67, 19-31.

[16] Kohut, H. (1977), La guarigione del Sé. Tr. It. Boringhieri, Torino 1980.

[17] Miller, J. P. (1985), “How Kohut actually worked”. In Progress in Self-Psychology, 1, 13-30.

[18] Goldberg, A. (1995), The problem of Perversion: The View of Self Psychology. Yale University Press, New Haven.

[19] Odgen, T.H. (1996), The perverse subject of analysis. In Journal of American Psychoanalytic Association, 34, 1121-1146.

[20] Parsons, M. (2000), Sexuality and perversion 100 years on: discovering what Freud discovered. In International Journal of Psychoanalysis, 81, 37-51.

[21] Abel, G.G., Becker, J.D., Cunningham-Rathnr, J. et al. (1988), “Multiple paraphilic diagnoses among sex offenders”. In Bulletin of the American Academy of Psychiatry and the Law, 16, 153-168.

[22] Kernberg, O.F. (1975), Sindromi marginali e narcisismo patologico. Tr. It. Boringhieri, Torino 1978.

[23] Pearson, E.S. (1986), “Paraphilias and gender identity disorders”. In Cavenar, J.O. JR (a cura di), Psychiatry, vol.1: The Personality Disorders and Neuroses. Lippincott, Philadelphia.

[24] Glen O. Gabbard, Psichiatria Psicodinamica, Quinta edizione basata sul DSM-5, Raffaello Cortina Editore, 2015.

di Ilaria Ulgharaita

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