Psicopatologia di Hitler
HITLER COME CASO CLINICO DI NECROFILIA
Il termine “necrofilia”, amore per i morti, è stato applicato generalmente soltanto a due tipi di fenomeni: la necrofilia sessuale, il desiderio maschile di avere rapporti sessuali con un cadavere femminile, e la necrofilia non-sessuale, il desiderio di toccare cadaveri, di starvi vicino, di guardarli o di smembrarli. In senso caratterologico la necrofilia può essere descritta come l’attrazione per ciò che è morto, putrido, malato; voler trasformare quello che è vivo in qualcosa di non-vivo; di distruggere per il piacere di distruggere; l’interesse esclusivo per tutto quanto è puramente meccanico.
Il carattere necrofilo si manifesta anche nella convinzione che la forza e la violenza siano l’unica soluzione di un problema o di un conflitto, pertanto, il potere di trasformare un uomo in cadavere. La persona necrofila è caratterizzata da una particolare attrazione per i cattivi odori, la forma più frequente, cioè la repressione del desiderio, che porta alla formazione reattiva di voler cancellare una puzza che in realtà non esiste. Ugualmente lo è l’eccessivo amore per la pulizia del carattere anale. Questo interesse particolare dà frequentemente ai necrofili l’apparenza di “annusatori”.
Con questa descrizione, Erich Fromm, in “Anatomia della distruttività umana”, attribuisce ad Hitler tutte le caratteristiche del carattere necrofilo.
Secondo Hitler, gli Ebrei avvelenavano il sangue e l’anima ariani. Ma come spiegare questa affermazione così crudelmente espressa? Per Hitler la sifilide era fra le più importanti questioni vitali della nazione. In Mein kampf scrisse: “Parallelamente alla pestilenza morale e politica del nostro popolo si verificava uno spaventoso avvelenamento del suo corpo fisico; la sifilide infatti cominciò a diffondersi sempre più, specialmente nelle città, mentre la turbecolosi ammassava il suo raccolto di morti in quasi tutto il paese.” (A. Hitler, Bologna 1970.)[1] Ma nè la tubercolosi nè la sifilide costituivano una minaccia di quelle proporzioni. La sua era una tipica fantasia necrofila: il timore del lerciume, del veleno, del pericolo di esserne contaminati. E’ una espressione dell’atteggiamento necrofilo che percepisce il mondo esterno come sporco e velenoso. Molto probabilmente il motivo basilare del suo odio verso gli Ebrei era radicato in questo complesso: gli Ebrei sono forestieri; i forestieri sono velenosi (come la sifilide); perciò i forestieri devono essere sradicati.
Più sentiva vacillare la vittoria, più Hitler il distruttore si rivelava. Già il 27 gennaio 1942, un anno prima di Stalingrado, Hitler era convinto che se la Germania non era pronta ad affrontare la dura lotta per la salvezza allora l’alternativa era il completo anichilimento del Paese . Quando la sconfitta fu inevitabile, ordinò che venisse avviato il minacciato piano di distruzione della Germania: devastazione del suolo, delle case, fabbriche e opere d’arte. E quando i Russi si avvicinarono al bunker di Hitler, venne il momento del gran finale. Con lui morirono il suo cane e la sua amante Eva Braun, che era andata al rifugio disobbedendo ai suoi ordini, per essergli vicina. Le azioni di Hitler, il massacro di diversi milioni di Ebrei, Russi, Polacchi, fino all’ordine finale di distruggere tutti i tedeschi, non possono essere spiegate con motivazioni strategiche, ma sono il prodotto della passione di uomo profondamente necrofilo. Egli odiava tutta l’umanità e la vita stessa.
Caratteristiche di questo orientamento necrofilo sono certe battute ripetute frequentemente. Mentre Hitler osservava una dieta vegetariana, ai suoi ospiti veniva servito un pasto regolare. Se a tavola c’era del brodo di carne di sicuro avrebbe parlato di “tè di cadavere”. I gamberi provocavano inevitabilmente la storiella della nonna morta che i familiari gettavano nel ruscello per attirare questi animaletti. Un altro dei tratti necrofili di Hitler era la noia. Le sue conversazioni a tavola sono fra le più drastiche manifestazioni della sua mancanza di vivacità.
Se la distruttività di Hitler può essere individuata attraverso le sue manifestazioni principali, non fu riconosciuta da milioni di tedeschi e statisti e uomini politici di tutto il mondo. Al contrario egli fu considerato un grande patriota, motivato dall’amore per il proprio paese: il salvatore che avrebbe liberato la Germania dal trattato di Versailles e dal disastro economico; il grande costruttore che avrebbe messo in piedi una nuova, prospera Germania. Com’è possibile che la Germania e il mondo non abbiano visto il grande distruttore dietro la maschera del costruttore? Le ragioni sono numerose. Hitler era un attore e un mentitore consumato. Proclamava di desiderare la pace e, dopo ogni nuovo successo, dichiarava che quella era la sua ultima pretesa, trasmettendo tale convinzione sia con le parole sia con la voce estremamente controllata. Ma ingannava soltanto i suoi futuri nemici.
Probabilmente Hitler non mentiva consciamente quando si esprimeva così. Semplicemente assumeva il vecchio ruolo di artista e scrittore, non avendo mai riconosciuto il suo fallimento in entrambi i campi. Ma le sue dichiarazioni avevano una funzione molto importante, connessa al nucleo della sua struttura caratteriale: la repressione della consapevolezza della sua distruttività. In primo luogo, con razionalizzazioni; razionalizzò ogni distruzione da lui ordinata come funzionale per la sopravvivenza, alla crescita e allo splendore della nazione tedesca: come difesa contro i nemici che volevano distruggere la Germania (Ebrei, Russi, Americani e infini gli Inglesi ). Egli agiva nel nome della legge biologica della sopravvivenza. In altre parole quando Hitler dava il suo ordine di distruzione, era consapevole soltanto del suo “dovere” e delle sue nobili intenzioni, che richiedevano atti distruttivi. Ma lui reprimeva la consapevolezza del suo desiderio di distruzione. Così evitava di affrontare le sue vere motivazioni.
Una forma ancora più efficace di repressione sono le formazioni reattive: un modo clinicamente appurato di affrontare desideri repressi. Una persona nega la loro esistenza sviluppando tratti che ne sono esattamente l’opposto. Il vegetarianismo di Hitler ne è un esempio. Non sempre esso ha questa funzione, ma fu così nel caso in questione, come è indicato dalla coincidenza che Hitler smise di mangiare carne dopo il suicidio della nipote Geli Raubal.
I suoi generali non riuscirono mai a convincerlo a visitare il fronte. Questo comportamento non era motivato dalla mancanza di coraggio fisico, ma questa reazione fobica alla vista dei cadaveri è una reazione difensiva contro la consapevolezza della propria distruttività. Finchè si limitava a dare e firmare ordini, parlava e scriveva soltanto, non spargeva sangue finchè evitava di vedere cadaveri reali, e si proteggeva dalla consapevolezza affettiva della propria passione distruttiva.
Questa reazione fobica difensiva è lo stesso meccanismo che troviamo alla base della pulizia piuttosto ossessiva di Hitler. Sia nella forma meno attenuata di Hitler, sia nelle forme più gravi di una ossessione a lavarsi, ha generalmente la funzione di lavare via lo sporco, il sangue simbolicamente aggrumato intorno le proprie mani, per reprimere la consapevolezza; conscia è soltanto l’esigenza di essere puliti. Il rifuto nel vedere i cadaveri è assimilabile a questa ossessione; entrambe contribuiscono a negare la distruttività.
Verso la fine della sua vita, quando sentì che si avvicinava la sconfitta definitiva, Hitler non fu più in grado di reprimere la propria distruttività. Un esempio drastico è la sua reazione alla vista dei cadaveri di coloro che capeggiarono la fallita rivolta dei generali nel 1944. Quest’ uomo che non riusciva a sopportare la vista dei cadaveri diede ordine di farsi proiettare il film girato durante la tortura e l’esecuzione dei generali, i cui cadaveri, rinchiusi nella uniforme di detenuti, furono appesi a ganci di macellaio; mise addirittura sulla propria scrivania una foto di questa scena. Ora doveva tradurre in realtà la precedente minaccia di distruggere la Germania in caso di sconfitta; e non fu per merito suo che la Germania fu risparmiata.
ALTRI ASPETTI DELLA PERSONALITA’ DI HITLER
Altri tratti caratteriali strettamente connessi l’uno all’altro erano il suo narcisismo, il suo atteggiamento introverso, la sua mancanza di sentimenti come amore, calore o compassione.
In questo quadro, il narcisismo è il tratto più facilmente individuabile. Hitler mostra tutti i sintomi classici di una persona estremamente narcisistica: gli interessano solo se stesso, i suoi desideri, i suoi pensieri, le sue speranze; parlava ininterrottamente delle sue idee, del suo passato, dei suoi piani. Il mondo lo interessa solamente come oggetto dei suoi intrighi e dei sui desideri: gli altri contano solo nella misura in cui gli servono o possono essere usati; egli sa sempre tutto meglio di chiunque altro. Questa sicurezza delle proprie idee e dei propri progetti è una caratteristica tipica del narcisismo intenso.
Connessa al suo narcisismo è l’assoluta mancanza di interesse per chiunque o qualsiasi cosa non gli fosse funzionale, e la sua gelida distanza da tutto. Al suo assoluto narcisismo corrispondeva una quasi assoluta mancanza d’ amore, tenerezza o empatia per chiunque. In tutta la sua storia, non c’è un individuo che possa essere definito suo amico; Kubizek e Speer si avvicinarono a questa descrizione più di altri ma certo non potevano passare per “amici”; Kubizek, che aveva la sua stessa età, gli serviva da pubblico, ammiratore e compagno; ma Hitler non fu mai franco con lui. Il rapporto con Speer era diverso; probabilmente rappresentava per Hitler l’immagine di se stesso come architetto. Hitler non ebbe mai degli amici; egli fu sempre e per tutta la vita, un solitario introverso.
[1] Erick Fromm, Anatomia della distruttività umana.
di Claudia Carnevali
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