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Quando diventi schiavo della bellezza fisica

Alla caccia di un’identità non solo psichica ma anche corporea, gli adolescenti vivono l’esplodere della pubertà in un contesto dominato da un vero e proprio «culto del corpo» e dal «terrorismo della bellezza». Come ricordato nel quadro del terzo capitolo, è impossibile tracciare una fedele linea di demarcazione tra famiglia e società nella ricognizione delle cause prime. Un numero sconsiderato di persone lottano quotidianamente contro sentimenti di vergogna e inquietudine dovuti al proprio aspetto fisico. Il corpo viene percepito come oggetto da perfezionare e da elaborare.

 

Gli uomini sono bersagliati da pubblicità di steroidi, ausili sessuali che promettono prestazioni sbalorditive; le donne sfogliano riviste in cui, pagina dopo pagina, sfilano modelle scheletriche o dove viene proposta una nuova retorica fatta di Botox,[1] diete, nasi rifatti, seni di plastica e cosce sode. I corpi sono in continuo stato di allarme, si è talmente coinvolti in varianti di inquietudine estetica che la preoccupazione è diventata un’abitudine quasi normale e invisibile. Oggi l’individuo è ritenuto responsabile del proprio aspetto fisico e giudicato in base a questo. Una cattiva consuetudine ha avvelenato la fonte stessa della morale civile:

Il tardo capitalismo ci ha catapultati lontano da pratiche corporee vecchie di secoli e imperniate su sopravvivenza, procreazione, ricerca di riparo e soddisfazione della fame. Oggi il parto, la malattia e la vecchiaia, sebbene facciano sempre parte di un normale ciclo vitale, sono diventati eventi soggetti a interruzioni o alterazioni tramite interventi personali che sfruttano i progressi della medicina e della chirurgia estetica. Il corpo è visto come un prodotto.[2]

Dietro una sorda ipocrisia, l’industria dietetica, quella cosmetica e i mass media seducono, fingendo di non vendere illusioni, raggirando gli ingenui consumatori. Tutti credono di poter mantenere un atteggiamento critico nei confronti dei risvolti negativi e contemporaneamente di poterne godere liberamente. Una delle nefaste conseguenze psicologiche di tali convinzioni ha portato a qualificare parti di sé come problematiche e a cercare di correggerle, modificarle e addomesticarle attraverso esercizi, danaro e ossessive attenzioni. L’adolescente si mostra a fortiori ancor più indifeso di fronte a questo continuo attacco. Nell’adolescente, come nello psicotico, il rapporto tra l’individuo e l’ambiente appare quasi totalizzante (come privo di una autentica distinzione tra realtà e fantasie onnipotenti), l’unica possibilità per il terapeuta di condurre il paziente fuori da una simile dipendenza (assoluta) è impersonificare il ruolo di una madre sufficientemente buona. Se si funge da contenitore e si garantisce una base sicura, il giovane paziente potrà affacciarsi alla dimensione esterna (reale), e fare ritorno avendo trovato nutrimento affettivo e cognitivo.

Anche le cause di un malsano rapporto con il corpo e il cibo potrebbero essere identificate nei contatti tra madre e infante nel corso del primo anno di vita. Una madre che abbia saputo manipolare adeguatamente il proprio bambino avrà facilitato in lui l’unione psico-somatica. Una difettosa manipolazione non solo può ostacolare il tono muscolare e la coordinazione, ma anche la capacità del fanciullo di esperire adeguatamente il corpo e la sua percezione di esistere. Oggi sono forse troppe le donne che antepongono l’estetica del loro seno a un allattamento naturale. È difficile ricostruirne le effettive conseguenze, ma è innegabile che far prevalere una simile logica egocentrica possa ritenersi quanto meno pernicioso.

Gli adolescenti fanno parte di una generazione cresciuta con madri preoccupate per l’accettabilità del proprio corpo e con un rapporto contraddittorio, diffidente e spesso ansioso nei confronti dell’alimentazione e dell’aspetto fisico. Hanno imparato presto a affidarsi a regole e regimi piuttosto che stimoli biologici. Pratiche come ingannare l’appetito o digiunare sistematicamente possono produrre ribellioni emotive e biologiche che rischiano di sfociare nell’anoressia o, all’opposto, in un’alimentazione fuori controllo. Da un punto di vista terapeutico queste due patologie alimentari presentano aspetti complementari: l’adolescente anoressica (più spesso che anoressico) sovrastima il proprio peso; la bulimica lo sottostima. Nessuno riesce a vedersi per quello che è, nessuno ha un rapporto facile con l’appetito. Nell’anoressia si è talmente spaventati dal desiderio di nutrirsi da creare una situazione in cui si sperimenta effettivamente la fame: questa è capace paradossalmente di rassicurare, perché ci si convince di poterla dominare, sezionare, ridurre, sino all’annientamento (non solo della fame).

Gli appetiti fisici ed emotivi vengono vissuti come ingombranti e sbagliati, le persone anoressiche inscenano una sorta di «versione alimentare della risposta al “falso corpo”».[3] Un corpo che ha raggiunto una pseudo-autonomia, basata sulla compiacenza e sulla seduzione che sono alla base del «falso Sé».[4] Al contrario di chi  mangia in modo incontrollato trova intollerabile la fame, la sua necessità: mangia compulsivamente per metterla a tacere, quasi prima di percepirla. La magrezza diviene un’ossessione, un mezzo per aderire ai canoni di una bellezza stereotipata. Tutto questo viene spesso promosso ingannevolmente come una questione di salute, dove le motivazioni psicologiche ed emotive sottostanti vengono ignorate. Quello che grandi cartelloni pubblicitari, riviste e trasmissioni televisive promettono (in cambio dell’ubbidienza dei consumatori) è il lasciapassare per il Paese delle meraviglie. La sede di una cultura erotica in cui sfoggiare il proprio fisico e renderlo attraente è presentato come auspicabile, divertente e accessibile a un determinato prezzo. Non ci si può stupire se i corpi reagiscono, se Alice, una bambina che si prepara a diventare adolescente, presta ascolto alle pressioni esterne e non ai suoi moti interiori. L’inadeguatezza ineluttabile è restituita con arte in una celebre filastrocca:

Troppi labbroni, non vanno più! | Troppo quel seno, buttalo giù! | Sbianca la pelle, che sia di luna. | Se non ti abbronzi, non sei nessuna! | L’estate prossima, con il cotone | tornan di moda i fianchi a pallone, | ma per l’inverno, la moda detta, | ci voglion forme da scolaretta. | Piedi piccini, occhi cangianti, | seni minuscoli, anzi, giganti! | Alice assaggia, pilucca, tracanna, | prima è due metri poi è una spanna. | Alice pensa, poi si arrabatta, | niente da fare, è sempre inadatta. | Alice morde, rosicchia, divora, | ma non si arrende, ci prova ancora. | Alice piange, trangugia, digiuna, | è tutte noi, è se stessa, è nessuna.[5]

L’accettazione della propria natura, a dispetto dei falsi idoli, di simulacri che rappresentano soltanto l’assenza di valori, coinvolge l’intera società.

[1]Il Botox è il nome commerciale maggiormente conosciuto della preparazione farmacologica che utilizza quale principio attivo la tossina botulinica: una proteina neurotossica prodotta dal batterio Clostridium botulinum, uno dei più potenti veleni naturali esistenti al mondo.

[2]Orbach, 2009, p. 7.

[3]Orbach, 2009, p. 50.

[4]Winnicott, 1965b, pp. 177-193.

[5]Costa, 2009, pp. 79-80.

Articolo di Giulia Gelsi

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