Samoa: Come la cultura influenza la personalità degli adolescenti. Una ricerca-viaggio straordinaria

Articolo di Susy D’Onofrio

L’adolescenza in Samoa. Come la cultura influenza la personalità degli adolescenti

 

 

 

La ricerca eseguita da Margaret Mead agli inizi del novecento ha offerto la possibilità di rilevare i fattori legati alla costituzione della personalità di adolescenti appartenenti a una cultura primitiva. Conoscere come va costituendosi una simile personalità ha permesso di mettere in dubbio l’idea che il periodo adolescenziale fosse un periodo caratterizzato da forti crisi interiori e che tali crisi fossero comuni a tutti gli adolescenti del mondo. Verrà illustrato, in maniera ridotta, il risultato di tale ricerca riassunta nel testo “Coming of age in Samoa” del 1928.

 

 

  1. La ricerca

 

Agli inizi del novecento, secondo quanto illustra la Mead nel suo libro, in America si registrava un aumento del disagio adolescenziale. Sempre più ragazzi sembravano scostarsi dagli ideali e dalle tradizioni del passato. Probabilmente tali cambiamenti trovavano radici nei cambiamenti socio-cultuali del momento: l’arrivo di molti immigrati, il pullulare di un crescente numero di sette religiose, le variabili condizioni economiche. Le teorie psicologiche del tempo consideravano l’adolescenza un periodo critico e difficile, un periodo durante il quale si facevano strada forti conflitti interiori e con la società. Margaret Mead criticò tali affermazioni, considerandole riduttive. Tali considerazioni non erano altro che il frutto di osservazioni attuate tra gli adolescenti della società americana. Grazie al materiale raccolto dagli antropologi, si faceva sempre più strada l’idea che la cultura assumesse un ruolo importante nella vita degli individui. Per cui, caratteristiche tipiche di un popolo non necessariamente erano presenti presso un’altra popolazione.

Da un simile sfondo socio-culturale prese avvio la ricerca della Mead. Margaret Mead si chiese se l’adolescenza fosse un periodo di crisi di natura o non fosse altro che conseguenza di una determinata formazione culturale. Come vedremo più avanti, nelle ragazze samoane non era presente alcun tragico conflitto interiore.

 

Si trattava di uno studio focalizzato sul periodo di vita adolescenziale della donna samoana. In esso venivano analizzati tanto il contesto sociale quanto il processo educativo che, presso questa società dei Mari del Sud, concorrevano alla formazione della personalità della donna durante quello che in America veniva considerato come un periodo estremamente critico e decisivo per il successo o meno col quale avveniva l’adattamento di un individuo ai valori riconosciuti come positivi della sua società (Fabietti 2001, 145).

 

Poiché sarebbe stato impossibile costruire un ambiente di ricerca artificiale, come per altri esperimenti in laboratorio, la Mead ritenne opportuno utilizzare come metodo di studio quello dell’antropologo, andando a studiare i comportamenti, i modi di pensare e le organizzazioni sociali di una civiltà diversa da quella americana e da quella occidentale in generale. Ecco perché la scelta dell’isola di Samoa, un’isola dei mari del Sud abitata da una popolazione polinesiana.

 

Le quattro isole della Samoa che furono acquistate dagli Stati Uniti nel 1899 comprendono circa ottomila abitanti. Da circa un secolo essi sono convertiti al cristianesimo, e aderiscono alla «Chiesa di Tahiti», derivazione della Società Missionaria di Londra (Mead 1954, V-VI).

 

Le osservazioni fatte dalla Mead riguardavano un gruppo di 68 ragazze tra i 9 e i 20 anni che vivevano in tre villaggi vicini (Luma, Siufaga e Fitiuta) dell’isola di Tau nell’arcipelago Manu’a delle isole Samoa. Per nove mesi Margaret Mead visse a contatto continuo con i seicento abitanti di questi tre villaggi.

 

Parlando la loro lingua, mangiando il loro cibo, sedendo scalza e con le gambe incrociate sulle pietruzze del pavimento, feci del mio meglio per ridurre al minimo la differenza tra noi e per imparare a conoscere e capire tutte le fanciulle di tre piccoli villaggi sulla costa della piccola isola Tau, nell’Arcipelago di Manu’a (Mead 1954, 8).

 

Fu eseguito un tipo di studio a sezione trasversale su 28 bambine non ancora giunte alla pubertà, 14 giovinette prossime alla pubertà (nel giro di un anno e mezzo circa), 25 ragazze che avevano superato la pubertà. Le bambine molto piccole e le giovani spose furono oggetto di osservazioni meno dettagliate. La descrizione dell’ambiente in generale fu ottenuta grazie a interviste poste a informatori scelti. Inoltre, fu studiato ciascun villaggio in maniera approfondita per poter meglio collocare la storia di ciascuna fanciulla. Le bambine furono sottoposte a test d’intelligenza strutturati ad hoc e in lingua samoana (nomi di colori opposti, sostituzioni, interpretazioni di figure ecc..). Infine un questionario inerente alle capacità di ciascuna ragazza, ai lavori ai quali erano sottoposte e le varie conoscenze acquisite offriva ulteriori informazioni. Le ragazze che frequentavano il collegio dei missionari fornì, in un certo modo, un gruppo di controllo.

 

 

  1. La ragazza samoana

 

In Samoa la nascita del primo figlio avviene presso il villaggio di origine della futura madre. Solo quando nasce un bambino di alto rango vi è gran festa. Dalla nascita alla pubertà i bambini non hanno alcuna importanza nella società samoana. Sono allattati fino all’età di circa 2-3 anni e sono accuditi da bambine poco più grandi. Fino all’età di 4 anni l’educazione di un bambino si limita agli usi e alle esigenze della casa.  Ciascuna famiglia ha un matai, che è colui che si preoccupa e prende decisioni importanti per tutta la famiglia, che non sempre è limitata a quella biologica. Al matai sono previsti privilegi e reverenze. La moglie del matai acquista l’alto rango grazie al marito. Nella famiglia vi sono poi tutti coloro che appartengono al matai, sia in via diretta che indiretta. A ciascuno è affidato un compito preciso in base al sesso e all’età. Le bambine di circa 5-6 anni si prendono cura dei bambini più piccoli e rispondono delle loro disobbedienze. Per evitarsi delle punizioni, tendono a condurre i piccoli dove i grandi non possono udire i loro lamenti. Le bambine di questa età hanno acquisito piccole abilità e si occupano dei lavori domestici; per cui, fin da piccole, le bambine samoane vengono disciplinate e rese responsabili.

 

I bimbi sono allattati fino ai 2 anni e per questo periodo vengono nutriti ogni volta che si presenta il suono del pianto, fino ai 5 anni vengono educati in modo molto semplice fra le mura domestiche, ma non dalla madre bensì da una ragazzina o da una sorella maggiore[1].

 

Intanto le bambine imparano a giocare in gruppo, a cantare e a intrecciare collane. Intorno ai sette anni le bambine cominciano a riunirsi in gruppi di coetanee. Viene rispettato rigorosamente il principio che porta a frequentare coetanee dello stesso sesso. Provano vergogna per i giovani di sesso opposto, fossero questi anche parenti.

 

Parenti di sesso opposto devono osservare un codice di etichetta molto rigido in tutti i rapporti e giunti all’età della ragione, nove o dieci anni in questo caso, non possono più toccarsi, né sedersi vicino, né mangiare insieme, né parlarsi familiarmente, né toccare alcun argomento scabroso in presenza l’uno dell’altro.

Non possono stare insieme in nessuna casa (…). Non possono passeggiare insieme, scambiarsi oggetti d’uso, ballare nello stesso posto, né partecipare insieme ad alcuna delle piccole attività di gruppo. Questa severa distanza deve essere tenuta con tutti gli individui del sesso opposto che siano entro cinque anni di età inferiore o superiore, o con i quali esista un rapporto di parentela per sangue o per matrimonio. (Mead 1954, 37).

 

Inoltre, le attività in cui maschi e femmine sono impegnati sono così diverse da non permettere particolari occasioni di frequentazione. I gruppi sono costituiti da parenti e da bambine del vicinato, ma i rapporti che dureranno anche dopo la pubertà saranno limitati a pochi parenti dello stesso sesso. A quest’età non esiste alcun rapporto di amicizia profonda.

Il passaggio dalla fanciullezza all’adolescenza non è segnato da alcuna cerimonia o da alcun evento particolare. La ragazza che si trova ad avere le sue prime mestruazioni le considererà un episodio naturale. Questo è dovuto soprattutto al fatto che fin da piccoli, i samoani sono coinvolti, o per meglio dire, non è vietato loro, assistere a eventi legati alla nascita, alla morte e al sesso. Inoltre, l’atteggiamento adottato dagli adulti davanti a situazioni simili, atteggiamento che considera tutto ciò normale, influenza l’atteggiamento delle più giovani.

Col passaggio alla pubertà le ragazze saranno sollevate dal peso di accudire i bambini. Saranno soppiantate dalle più piccole della famiglia.

 

Appena le ragazze sono abbastanza forti da portare carichi pesanti, conviene alla famiglia di passare la responsabilità dei bambini alle fanciulle più giovani e così le adolescenti sono dispensate dalla funzione di bambinaie. (…) il periodo peggiore della loro vita è passato; mai più dovranno ubbidire così incessantemente ai cenni degli adulti, mai più saranno così tiranneggiate da piccoli prepotenti di due anni (Mead 1954, 23).

 

Lavorare nelle piantagioni, portare provviste al villaggio, pescare sugli scogli, sono le nuove attività che devono svolgere le giovani samoane. Inoltre le saranno affidate altre mansioni legate alla cucina e imparerà a tessere da una donna anziana.

Abbandonerà il gruppo di coetanee per legarsi a una o due ragazze del parentado, anche se una nuova residenza le allontanerà. Entrerà a far parte dell’Aulaluma, un’organizzazione di ragazze, donne non sposate, divorziate o vedove e mogli di uomini non titolati che si riunisce raramente in occasione di una ricorrenza festiva o per qualche lavoro pubblico. Non vi sono differenze di ruoli o di incombenze tra le ragazze, le donne nubili e le donne sposate con uomini di basso rango. Solo la fanciulla eletta dai capi come taupo, principessa, sarà tenuta a una serie di doveri, ma sarà oggetto anche di privilegi e godrà di un certo prestigio. Prestigio riconosciuto non solo nel proprio villaggio. Ora l’adolescente, privata delle limitazioni che il badare ai piccoli le erano imposte, e superato quel periodo di vergogna nei confronti dei coetanei di sesso opposto, può permettersi di allontanarsi da casa e cominciare a vivere le prime esperienze sessuali.

 

Ma la ragazza diciassettenne non desidera di sposarsi; non ancora. E’ più bello vivere così, senza responsabilità e con una grande varietà di esperienze e di emozioni. Questo è il miglior periodo della sua vita. (…). Le lunghe spedizioni in cerca di pesce, di cibo e di materiale da tessere offrono molte occasioni per dolci convegni. (…). E il matrimonio è l’inevitabile, da differire più che si può (Mead 1954, 31).

 

Fra i 15 e i 20 anni i samoani vivono il periodo più spensierato della loro vita e tentano di posporre il matrimonio, focalizzando le loro giornate sull’affinamento delle loro abilità lavorative (agricoltura, caccia, artigianato) e sulla ricerca di nuovi incontri (la frase Laititi A’U usata di frequente in quel periodo indica che la ragazza è ancora troppo giovane per impegnarsi)[2].

 

 

 

 

 

  1. Nascita, morte e sesso

 

La nascita e la morte sono eventi che nella cultura samoana rappresentano ciò che c’è di normale nella vita. Fin da piccoli, ai samoani non è negata la possibilità di essere presenti durante un parto, un aborto o la sezione di cadaveri.

 

Tutte queste bambine avevano visto come si nasce e come si muore; avevano visto molti morti, avevano assistito ad aborti e ficcato il loro musino sotto le braccia delle vecchie che stavano lavandosi e facendo commenti sul feto non sviluppato. Non c’è l’abitudine di mandar via i bambini della famiglia in quelle circostanze. (…). Un’esperienza appena un poco più blanda, come carica emotiva, era l’operazione, spesso praticata in pubblico, di sezionare un cadavere per cercare la causa della morte (Mead 1954, 108-109).

 

Sembra che l’atteggiamento assunto dagli adulti in queste occasioni influenzi i più piccoli nel loro modo di percepire la nascita e la morte.

 

Tuttavia sembra che non abbiano cattivi effetti sulla formazione emotiva dei bambini. È possibile che ciò sia giustificato dal fatto che gli adulti mostrano di considerare questi avvenimenti come orribili, ma perfettamente naturali e non eccezionali, e come parte legittima dell’esperienza del fanciullo (Mead 1954, 109).

 

Anche in materia di sesso, i samoani sono informati già da piccoli. Questi assistono, di nascosto, a quegli incontri serali che le coppie sono solite fare riservatamente. Infatti, ogni espressione di affetto è proibita in pubblico. Inoltre i bambini conoscono bene la natura del corpo umano, essendo usanza l’andar in giro nudi durante la fanciullezza e poco vestiti in età adulta, nonché l’uso dei bagni in mare e l’utilizzo delle spiagge come gabinetti. Una così precoce conoscenza del corpo umano e del sesso non fa si che avvengano in maniera altrettanto precoce rapporti eterosessuali. Fino all’adolescenza può essere di uso frequente la masturbazione o temporanei rapporti omosessuali (vissuti come un gioco in sostituzione dei successivi rapporti eterosessuali). Probabilmente tale ritardo è dettato dalla forte demarcazione maschio-femmina presente nel periodo pre-adolescenziale. L’atteggiamento dei genitori verso le varie storie di sesso delle proprie figlie è caratterizzato da una tenera indulgenza, laddove non sfocino in un marcato numero di concessioni sessuali tali da riservare alla fanciulla una cattiva reputazione. I giovani apprendono cose di sesso non dai propri genitori, che preferiscono non farne argomento delle loro conversazioni, ma da giovani adulti. Le ragazze, solitamente, consumano i loro primi rapporti sessuali con uomini più grandi, essendo essi più esperti. Sola la taupo è tenuta alla verginità fino al matrimonio, un matrimonio combinato. È sorvegliata perché non sia tentata e si lasci andare a rapporti pre-matrimoniali. Ne andrebbe di mezzo l’onore di tutto il villaggio. Una ragazza samoana giunge al matrimonio, solitamente, il più tardi possibile e grazie alla corte spietata del soa, amico e ambasciatore, dell’aspirante marito.

 

Oltre al matrimonio vero e proprio, vi sono due tipi di relazioni sessuali riconosciute, in certo modo, dalla comunità: l’amore tra giovani non sposati (compresi i vedovi) di età quasi uguale, (che può portare al matrimonio, o può costituire una distrazione passeggera) e l’adulterio.

Fra i non sposati, vi sono tre forme di relazione: il ritrovo clandestino «sotto le palme»; la fuga resa pubblica, avaga, e il corteggiamento ufficiale, in cui il giovane «siede davanti alla ragazza». Vi è poi in margine, una curiosa forma di ratto subdolo, detto moetotolo, cioè l’insinuarsi nel sonno, al quale ricorrono i giovani che non hanno fortuna presso le ragazze (Mead 1954, 73-75).

 

Il ritrovo clandestino «sotto le palme» è tipico delle coppie di basso rango, mentre la fuga è caratteristica delle giovani coppie le cui famiglie si oppongono al matrimonio e delle fanciulle di rango più alto. Le figlie dei capi sono sorvegliate e a loro sono negati gli incontri clandestini notturni.  Col matrimonio, una normale donna samoana non è tenuta a una vita sessuale esclusiva col proprio marito e viceversa, e il divorzio è all’ordine del giorno. Profondi legami di fedeltà non sono contemplati nella civiltà samoana.

 

L’amore romantico, come si riscontra nella nostra civiltà, strettamente unito all’idea di monogamia, di esclusivismo e di fedeltà assoluta, non esiste in Samoa. (…) il divorzio è una cosa molto semplice e senza formalità: il coniuge che non è in casa propria torna presso la sua famiglia e la relazione «cessa di esistere». Si tratta di una monogamia molto fragile, spesso incrinata, più spesso ancora rotta del tutto. (…) una piccola lite e la donna se ne va a casa della sua famiglia; se il marito non tiene a riconciliarsi, ognuno dei due cerca un altro compagno (Mead 1954, 86-87).

I samoani contano la durata della fedeltà in amore, a giorni, o tutt’al più a settimane, e sono propensi ad accogliere con sarcasmi i racconti di amori che durano tutta la vita (Ivi, 126).

 

Situazioni leggermente diverse vivevano le fanciulle che trascorrevano gran parte della giornata presso la casa del pastore. Queste ragazze, a contatto con la cultura occidentale, risultavano più istruite e ambiziose delle loro coetanee che invece vivevano il villaggio con le sue usanze. Nonostante i missionari predicassero la castità, tali ragazze tendevano solo a tardare i loro primi rapporti sessuali pre-matrimoniali. L’inefficacia della predicazione dei missionari era data dal fatto che questi erano i primi ad essere indulgenti verso le trasgressioni delle loro assistite e perché queste ragazze continuavano comunque a fare vita comunitaria presso il loro villaggio.

 

 

  1. Le giovani samoane e le giovani americane a confronto

 

In Samoa, quindi, la vita viene concepita in maniera leggera e superficiale. È un paese in cui nessuna azione è particolarmente grave per chi la compie; nessuno soffre per proprie convinzioni o si dimena per un particolare scopo. I disaccordi tra due uomini dello stesso villaggio si risolvono semplicemente con il trasferimento di uno al villaggio vicino. Non esistono divinità irose e castiganti che turbano il normale corso dei giorni.

 

A Samoa tutto il percorso della vita viene accettato in termini naturali, non esiste né una rigidità dogmatica né una istituzionale, secondo Mead in questa cultura non esistono scelte così disastrose quali quelle che si ponevano dinnanzi ad un giovane occidentale che sentiva che il servizio di dio richiedeva la rinuncia definitiva al mondo[3].

 

A differenza della ragazza americana posta davanti alla necessità di prendere saggiamente delle importanti decisioni che ne varranno per il futuro, la ragazza samoana non vive la pressione di dover fare delle scelte importanti.

Le relazioni personali come amore, odio, gelosia, sono vissute in maniera leggera a Samoa, perché la bambina, già dai primi mesi di vita, passa indifferentemente tra le braccia di più donne. Ciò induce i samoani a non attaccarsi mai a una sola persona e a non riporre speranze in amici e parenti.

La bambina americana vive e cresce in un contesto più limitato costituito dalla sua famiglia biologica, molto spesso poco numerosa. Vive un rapporto privilegiato con i propri genitori verso i quali, giunta all’adolescenza, vivrà una conflittualità dettata da un lato da un desiderio di separazione e differenziazione e dall’altro da una difficoltà a distaccarsi.

 

A Samoa, quindi, fra genitori e figli non esiste un legame esclusivo e specifico, tutti sono oggetto di cure affettuose che poi riversano a loro volta; i fratelli maggiori non vedono i nuovi figli come motivo di conflitto, ma come sollievo in quanto in breve tempo diventeranno a loro volta dei badanti lasciando libero il giovane dai suoi impegni. A Samoa si impara presto a non ragionare in termini di individualità, ma di gruppo[4].

 

A Samoa, i conflitti tra figlio e genitore sono risolvibili col trasferimento del figlio presso dei parenti che se ne prenderanno cura. Il trasferimento presso un’altra residenza non è vissuta in maniera tragica dal genitore, ma come una possibilità di vita del figlio. Tali decisioni, inoltre, non sono considerate irreversibili. Scegliere per la ragazza samoana diviene un atto molto semplice, considerando che non le si presentano alternative di vita. Le giovani americane si trovano a interfacciarsi con diversi modelli di vita, variegati gruppi portatori di propri ideali e il desiderio dei genitori di seguire un percorso già scelto per loro.

 

La mancanza di drammaticità nelle decisioni delle adolescenti samoane è da attribuirsi al carattere di quella civiltà che scoraggia i forti sentimenti; ma la spiegazione della mancanza di conflitti va cercata principalmente nella differenza fra una civiltà primitiva semplice e omogenea, che cambia così lentamente da apparire immobile ad ogni generazione, e una civiltà variopinta, mutevole, eterogenea (Mead 1954, 167).

 

Lo stesso vale per le questioni sessuali: alle ragazze americane si presentano varie soluzioni che vanno dalla castità a un’attività sessuale libera. Per la ragazza samoana il sesso è un atto naturale e piacevole. Inoltre, se per le prime è difficile che i genitori tollerino un comportamento sessuale libero, per le seconde sarà normale che i genitori non si immischino nelle casuali avventure amorose delle proprie figlie.

Tra i samoani vi è un’assenza di nevrosi, a differenza dei molti casi di nevrosi in America. Probabilmente tale situazione è dovuta al fatto che in Samoa non vi sono situazioni difficili, scelte contrastanti, situazioni di forti competizioni. Tra i samoani è aborrita la precocità e si offre ai più lenti la possibilità di recuperare. Coloro che apprendono più velocemente trovano libero sfogo nella danza, dove l’individualità ne fa da padrona.

Infine, alle bambine samoane non è negato di prendere parte alla vita della famiglia e della comunità già in tenera età. Assolvono compiti specifici alla loro età e godono del gioco nel tempo libero. Assistono ad avvenimenti legati alla nascita, alla morte e al sesso. Invece, alle bambine americane è vietato accedere in così tenere età a questioni considerate “dei grandi”. I compiti che saranno affidati loro solo in età più adulta, sono emulati nei loro giochi e tutto ciò che riguarda sesso, nascita e morte è da loro ignorata perché a loro negata di conoscere.

 

 

  1. Conclusioni

 

Con questo studio, la Mead mostrò le grandi differenze presenti nei metodi educativi utilizzati dai samoani e dagli americani e il grado di socializzazione da essi prodotto.

 

Questo studio mostrava come l’adolescenza in una società «primitiva», cioè secondo la Mead in una società «semplice ed omogenea», fosse una fase della vita dell’individuo meno esposta a traumi di quanto non fosse nella società occidentale e nella società americana in particolare. All’origine di questa differenza, ella sosteneva, stavano due fattori importanti: la mancanza di «messaggi» concorrenziali e produttivistici inviati dalla cultura all’individuo, e il carattere sostanzialmente «monodimensionale», ossia privo di alternative rilevanti, nelle scelte che si parano dinanzi al giovane giunto all’età dell’adolescenza (Fabietti 2001, 145).

 

La Mead ha dimostrato che il periodo difficile adolescenziale, non è prerogativa di tutte le ragazze di tutti i popoli ma è imputabile all’ambiente sociale in cui le adolescenti sono inserite.

 

L’adolescenza non è necessariamente un periodo di tensione e di turbamento, ma che diviene tale in conseguenza delle condizioni della civiltà (…). Le principali cause delle difficoltà dei nostri adolescenti sono la presenza di principi in conflitto e la convinzione che ogni individuo dovrebbe fare la propria scelta, unita alla sensazione che questa scelta è cosa molto importante (Mead 1954, 189).

 

Un altro antropologo, Derek Freeman, si recò a Samoa per verificare le tesi della Mead. La sua conclusione fu che l’adolescenza a Samoa non è cosi felice. Tuttavia la ricerca della Mead riscosse un certo fascino. Ne parlò entusiasta anche l’antropologo Franz Boas:

 

«noi siamo grati a Miss Mead di aver intrapreso di identificarsi così completamente colla goiventù di Samoa da darci un quadro tanto lucido e chiaro delle gioie e delle difficoltà che incontra l’individuo giovane in una cultura così interamente diversa dalla nostra» (Mead 1954, V)

 

Studi della psicologia del ciclo di vita hanno parzialmente ridimensionato il mito della crisi adolescenziale che per alcuni è stata definita “una malattia fisiologica dello sviluppo”. Molti giovani vivono infatti l’adolescenza non come un brutto periodo ma come un’età relativamente serena. Probabilmente allora, la crisi adolescenziale ove si manifesti in maniera eclatante, può essere attribuibile a difficoltà relazionali e personali già presenti nell’infanzia.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Conclusioni

 

Di fronte al dialogo continuo tra l’organismo e l’ambiente e all’intrecciarsi costante del patrimonio biologico col patrimonio sociale, una sorta di «principio di indeterminazione» raccomanda l’abbandono di dicotomie del tipo: eredità-ambiente, natura-cultura, innato-appreso, e con essi il superamento di un repertorio teorico concettuale logorato e inequivocabilmente compromesso con concezioni del funzionamento psichico preformistiche ed essenzialistiche. (Caprara 1999, 515)

 

La dicotomia cultura e biologia, poste a mo’ di interrogativo nel titolo del primo capitolo, sottolinea come il costrutto di personalità sia complesso, tanto da dover ricercare oltre le singole spiegazioni di carattere innatiste o di carattere sociale.

 

In ogni condotta vi sono elementi ascrivibili ad un patrimonio innato ed elementi ascrivibili invece ad un patrimonio appreso. E’ evidente che il comportamento non sorge dal nulla, come è evidente che l’azione dell’esperienza si innesta su un qualche cosa che da essa viene sollecitato, potenziato, modellato. (Crespi 2002, 6)

 

Una spiegazione ai comportamenti affini tra più persone appartenenti a uno stesso popolo, ha trovato negli studi e nelle ricerche avanzate dagli antropologi della personalità, materiale per poter ipotizzare dei “tipi di personalità” specifici di una popolazione. L’idea che individui di una stessa società possano avere una personalità simile, sembra indirizzare la domanda iniziale verso una risposta di tipo culturale: la cultura influisce sulla personalità degli individui, tanto da determinarne aspetti comuni.

 

Lla presentazione della ricerca della Mead sulle giovani samoane, non fa altro che avallare l’ipotesi che la cultura influisca enormemente sulla formazione delle ragazze, offrendo a quelle dell’isola di Samoa opportunità di vivere serenamente la propria adolescenza, senza alcuna problematica crisi di crescita, a differenza delle ragazze americane.

Volendo fare una sintesi di questo lavoro, potremmo affermare che la cultura ha una forte rilevanza sulla formazione della personalità dei singoli individui, e quindi di intere popolazioni. L’eredità biologica fa sì che ciascun individuo espliciti aspetti peculiari, propri di sé, nonostante non dissimili troppo dagli altri appartenenti a una medesima comunità.

 

[1] http://www.scienzepostmoderne.org/DiversiAutori/MeadMargaret/IsoladiTau.html

[2] http://www.scienzepostmoderne.org/DiversiAutori/MeadMargaret/IsoladiTau.html

[3] http://www.scienzepostmoderne.org/DiversiAutori/MeadMargaret/IsoladiTau.html

[4] ibidem

 

Scrivi a Igor Vitale