Self-Portrait Experience di Cristina Nunez – una tecnica di fototerapia

The Self-Portrait-Experience: un’efficace tecnica di fototerapia

 

 

Lorena Rigoli

 

 

The Self-Portrait-Experience è un metodo attualmente insegnato in workshop che si svolgono in molte parti dell’Europa, la cui fondatrice è Cristina Nuñez. Il metodo mediante l’autoritratto permette d’intraprendere un viaggio nella propria interiorità, nelle proprie emozioni, radici e nei propri rapporti al fine di ottenere sempre informazioni nuove su di sé. Cristina Nuñez nata a Figueres, Spagna, nel 1962, quinta di sei sorelle, tossicodipendente da quindici a vent’anni. A diciannove anni, quando ormai era arrivata a toccare il fondo, entrò in comunità in Francia per circa due anni fino a chiudere definitivamente con l’eroina. Tornata a Barcellona, iniziò la psicoterapia e successivamente conobbe un fotografo italiano del quale s’innamorò e si trasferì a Milano. La prima volta che presi in mano una macchina fotografica rivolsi l’obiettivo verso me stessa e scattai un autoritratto: era il 1988. Avevo finalmente riprodotto lo sguardo di mia madre, della mia famiglia. Avevo trovato il modo di ricrearmelo da sola e, in questo modo, di diventare indipendente.[1] Nel 1994 dopo una lunga serie di autoritratti (Fig.1) cominciò a fotografare anche gli altri e il mondo.

Divenne fotografa a tutti gli effetti tanto da vincere il premio per un progetto fotografico delle Fondazione Marangoni con il lavoro Body and Soul[2], una serie di ritratti nudi, e di autoritratti che svelavano il suo desiderio di vedere gli altri con lo stesso sguardo con cui aveva guardato se stessa. Ritengo che affrontare l’obiettivo e scattare possa riportarci immediatamente a quel primo processo di definizione del sé, e nei bambini questo meccanismo è ancora più intenso, dal momento che rievoca un processo più vicino nel tempo.[3]

Cristina Nuñez cominciò a far scattare autoritratti ad amici e conoscenti, convinta che il procedimento potesse essere utile agli altri come lo era stato per lei. Allo stesso tempo iniziò a mettere a punto un vero e proprio metodo: una serie di esercizi di autoritratto, individuali, di coppia e di gruppo, e alcuni criteri di selezione delle opere, per capire il linguaggio dell’inconscio attraverso le immagini. Nel 2006 cominciò ad utilizzare questo metodo in maniera più consapevole e strutturata: The Self-Portrait-Experience è diventato un potente strumento per incentivare la creatività e conseguentemente l’autostima e la conoscenza di sé.

L’autoritratto fotografico, col metodo che propongo, permette a chiunque di portare la propria esperienza nel processo creativo e, talvolta, di produrre una vera e propria “opera d’arte”. A mio avviso, le emozioni sono il materiale grezzo per l’arte, e il contatto profondo con esse durante gli scatti spinge l’inconscio a “parlare” col linguaggio dell’arte. L’opera viene poi prodotta all’insaputa del soggetto, nel momento in cui questi è meno cosciente dello scatto, perché è più immerso nella sua interiorità.[4] Il confronto con l’obiettivo fotografico è un’esperienza singolare, un prolifico dialogo non verbale che il soggetto intrattiene con se stesso.

            Il metodo completo comprende una serie di esercizi di autoritratto divisi in tre parti: Io, Io e l’altro, e Io e il mondo. Nella prima fase si esplorano le proprie emozioni, la plasticità dell’Io; nella seconda, la relazione con l’altro; nella terza, infine, il proprio rapporto con il mondo. Il metodo propone un percorso evolutivo quasi fisiologico: partendo dall’esplorazione e affermazione della propria identità molteplice è possibile occuparsi successivamente del rapporto con l’altro, per lavorare, infine, sul ruolo dell’individuo nella società. Successivamente ci si concentra sulla percezione e sulla scelta di quelle che vengono considerate le “opere d’arte” tra quelle che sono state realizzate. Occorre precisare che esistono due tipi d’immagini: le opere realizzate in studio che in genere hanno una valenza artistica e virtualmente terapeutica più spiccata e le immagini realizzate dai partecipanti per conto loro, fuori dallo studio, che saranno più libere e più personali. Il percorso individuale di percezione e scelta delle opere è diverso di volta in volta. Qualcuno ha detto che io leggo le foto come altri i tarocchi, ma non credo sia esattamente così! Ritengo che una definizione più esatta del mio approccio sia questa: io accompagno la persona a guardare le immagini e a trovarne i punti di forza, seguendo sempre il mio intuito- questo è vero…[5]

            Ogni partecipante sceglie la foto che ritiene contenga i messaggi più importanti, di solito la scelta si restringe a cinque scatti. Il giorno successivo, i partecipanti vengono divisi in gruppo; ogni gruppo lavorerà sulle foto di un altro gruppo: selezionandole assieme, i partecipanti inventeranno una storia a partire dall’immagine che ritengono più importante. Questa modalità permette ai soggetti di entrare in ogni opera, utilizzando la propria sensibilità e la propria fantasia per approfondirla e tradurla. Esistono dei criteri di percezione e scelta delle opere che servono per poter penetrare i molteplici significati dell’immagine e sono la condizione indispensabile per le opere- autoritratto:

–        Molteplicità: quando si sceglie l’opera d’arte, la prima condizione è quella di poterle attribuire una molteplicità di significati possibili. Per verificare questa condizione è possibile osservare i due lati del volto ritratto, cercando di definire le emozioni o i pensieri che si potrebbero manifestare in ogni metà.

–        Io superiore: si dovrebbe selezionare lo scatto che meglio rappresenta l’immagine più disturbante e cercare di scoprire in essa quegli aspetti archetipici che sono parte integrante della persona e che meglio esprimono la grandiosità dell’essere.

–        Senso del tempo: le grandi opere in cui compare un essere umano hanno tutte un particolare rapporto con il tempo. Può esserci sospensione, come se il tempo si arrestasse, sensazione filmica come se l’immagine fosse parte di una sequenza e dunque si collocasse in un lasso di tempo molto più ampio oppure può esserci sospensione, come se la persona raffigurata potesse rimanere così per sempre.

–        Armonia estetico-formale: nell’opera tutti gli elementi devono essere in perfetta armonia tra di loro e devono avere senso.

Ritengo dunque che The Self-Portrait-Experience sia un metodo che stimola un sano movimento viscerale, un metodo potente contro ogni genere di “stagnazione”, in grado di liberare emozioni o bisogni. Un’altra immagine metaforica che mi piace usare è quella della “caverna”. Immagino la nostra identità come una grande caverna. Per raggiungerla, dobbiamo scendere lungo un tunnel stretto e scomodo di terra fredda. Dopo un lungo cammino e qualche graffio, arriviamo a un’apertura enorme, un antro ombroso con tante piccole grotte, acqua che scende, e forma laghetti, altri tunnel. Non ne vediamo la fine: più scopriamo che è grande e complesso.[6]


[1] Ivi, p. 191.

[2] Progetto disponibile al link: http.//www.cristinanunez.it/art/body soul.html

[3] Ivi, p. 192.

[4] Ivi, p. 194.

[5] Ivi, p. 204.

[6] Ivi, p. 195.

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