Tutto ciò che devi sapere sul coping: teorie, modelli, psicologia, ricerca

– IL MODELLO TRANSAZIONALE DI LAZARUS

 

Malgrado la mancanza di una teoria concorde sul coping tra i ricercatori, la definizione operativa di Lazarus e collaboratori è quella citata più frequentemente ed è stata generalmente accettata (Rutter, 1981, Tennen Herzberger, 1985).

Secondo Lazarus il coping consiste negli “sforzi cognitivi e comportamentali per gestire specifiche richieste esterne o interne (e conflitti tra di esse) che sono giudicate gravose o superiori alle risorse personali” (Lazarus, 1991). Sono tre gli aspetti chiave presenti in questa definizione:

 

  1. Il coping è legato al contesto piuttosto che essere guidato da caratteristiche stabili di personalità.
  2. Le strategie di coping sono definite dallo sforzo di gestione intenzionale, che rende conto di quasi tutto ciò che un individuo fa nel corso delle proprie transazioni con l’ambiente. Di conseguenza, il coping non deve essere un atto portato a termine con successo ma un tentativo di far fronte al problema: l’attenzione è sul tentativo (che può consistere in atti comportamentali o cognizioni) piuttosto che sulla positività dell’esito.
  3. Il coping è considerato un processo che cambia nel tempo al variare di una particolare situazione. A monte di un’azione di coping vi è una valutazione della situazione e le conseguenze degli sforzi di coping rappresentano una nuova strategia da rivalutare per applicare ancora una volta le risorse di coping.

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La teoria di Lazarus sul coping  è a sua volta basata su due cornici teoriche. La prima,  la teoria fenomenologico-cognitiva, anche denominata teoria transazionale cognitiva (Tennen e Herzberger, 1985) è basata sull’assunto che l’individuo percepisce il mondo in modo unico e le sue percezioni costituiscono il campo fenomenico. L’individuo reagisce all’ambiente a seconda di come lo percepisce. Nella fenomenologia i “dati oggettivi” non esistono ma dalla complessa gamma dei comportamenti umani  è possibile ottenere informazioni che sono attendibili, significative  e teoricamente rilevanti. È possibile registrare in modo sistematico e affidabile, sia le percezioni dell’ambiente da parte dell’individuo, che vanno a costruire il campo fenomenico (il problema), sia le reazioni a quell’ambiente (coping).

Il secondo fondamento teorico del lavoro di Lazarus è il modello di interazione persona-ambiente di Lewin (1936), secondo cui la persona e l’ambiente sono in uno stato dinamico costante di azioni e reazioni: ciò che una persona fa esercita un impatto sull’ambiente che, a sua volta esercita il suo impatto sull’individuo.

Uno dei primi a proporre questa visione è stato Dewey, che già nel 1896 rilevava che uno stimolo  è determinato dalla risposta nelle stessa misura in cui la risposta lo è dallo stimolo (Lazarus et al., 1970). Questo approccio teorico è stato adottato da Lewin e, in anni più recenti da Lazarus.

Lewin è stato considerato il fondatore della tradizione cognitiva (Nisbett e Ross, 1980). Essenzialmente, la formula lewiniana  stabilisce che il comportamento (C) è funzione (f) della persona (P) e dell’ambiente (A), cioè: C = f (P, A). L’importanza dell’interazione persona-ambiente viene sostenuta da Cronbach (1957, 1967), Hunt (1975) e Lewin (1935, 1936), anche se in tempi più recenti è l’ambiente “percepito” ad essere considerato importante. La formula può essere pertanto rappresentata in modo più esteso come C = f (P + S +Sp) dove C sta per coping, S per determinante situazionale e Sp per situazione percepita. In questa formula entrambe le determinanti, situazione e persona, insieme alla percezione e alla valutazione della situazione (spesso basata sull’esperienza), si combinano come componenti critiche che determinano il coping.

La cornice fenomenologico-cognitiva e il modello di interazione persona-ambiente costituiscono la base teorica di gran parte della ricerca sul coping.

Lazarus e Folkman (1984) sostengono che lo stress fa riferimento alla fluida, costantemente mutevole relazione bidirezionale tra la persona e l’ambiente e, in quanto tale, è considerato una componente ordinaria del vivere quotidiano.

Secondo questo modello, lo stress viene considerato non come stimolo né come risposta, ma come un insieme di processi che comportano interazioni e adattamenti, chiamati “transazioni”, tra la persona e l’ambiente. La persona è vista come agente attivo, in grado di influenzare l’impatto degli eventi stressanti (stressors) mediante strategie emotive, cognitive, comportamentali.

Secondo Lazarus, vi è stress quando la persona si rende conto della discrepanza tra le richieste della situazione in cui si trova inserita e le risorse che ha a disposizione per farvi fronte. Non è importante in sé l’ampiezza delle richieste nel determinare l’esperienza di stress, in quanto vi sono delle differenze individuali significative nello stress sperimentato da persone nella stessa situazione, a causa delle differenze nelle abilità di coping.

Lazarus condivide con i terapisti cognitivo-comportamentali l’interesse per gli aspetti intraindividuali del comportamento piuttosto che per quelli interindividuali, o normativi, e infatti, nel suo lavoro, l’enfasi è posta sullo studio di uno stesso individuo nel tempo o in differenti situazioni (Folkman e Lazarus, 1980; Folkman, 1982; Folkman e Lazarus, 1985).

Nella teoria di Lazarus il coping viene paragonato all’ “analisi della varianza” (Lazarus et al., 1974) e le sue componenti vengono definite in termini di fonti di varianza. Si tratta della concomitanza di tre fonti di varianza, ovvero, le disposizioni di personalità, lo stimolo, o la richiesta situazionale, e la molteplicità delle risposte di coping. Gli individui possiedono una varietà di risposte di coping alle quali possono attingere in circostanze differenti. I processi di coping dipendono dal processo cognitivo di valutazione (Lazarus et al., 1970). Anche altri teorici, come Rutter (1981), condividono con Lazarus l’opinione che il coping sia colto al meglio considerandolo come un processo che si estende nel tempo.

Il modello di Lazarus pone l’enfasi sulla valutazione cognitiva come componente intrinseca del processo di coping. Il concetto di valutazione è centrale in questa formulazione teorica poiché è una parte importante del processo di coping e ha potere esplicativo. Essa è ciò che una persona fa per valutare se una particolare situazione è rilevante per il proprio benessere. In ogni singola situazione si ritiene abbiano luogo due forme di valutazione: la valutazione primaria, in cui ci si chiede “Qual è la posta in gioco in termini di danno o beneficio potenziali?”, giudicando quindi quanto la situazione implica danno/perdita, minaccia o sfida, e la valutazione secondaria (i due processi possono anche avvenire simultaneamente con feedback reciproci), in cui solitamente la persona considera cosa può eventualmente fare per affrontare il pericolo, quali risorse può usare per migliorare la probabilità di ottenere un vantaggio. Spesso si formulano domande del tipo: “Cosa si può fare riguardo a questa situazione?” oppure “Quali opzioni o risorse sono disponibili?” (Lazarus et al.,1980; Lazarus e Folkman, 1984; Folkman, Lazarius, Dunkel-Schetter et al., 1986; Folkman, Lazarus, Gruen e DeLongis, 1986).

Le risorse di coping possono essere distinte in cinque categorie:

  • utilitaristiche (status socioeconomico, soldi, servizi disponibili);
  • salute ed energia;
  • le reti sociali (incluse le relazioni interpersonali intime);
  • le credenze generali e specifiche relative all’autostima, all’efficacia personale, al senso di padronanza sulla situazione;
  • le abilità di problem solving (comprese le abilità intellettive, la flessibilità e la complessità cognitiva, l’abilità analitica).

Le valutazioni possono dare inizio ad una serie a catena di attività e di azioni di coping per gestire la situazione.

Se la situazione è suscettibile si cambiamento, vengono impiegate strategie centrate sul problema mentre, laddove la situazione è valutata come non modificabile, è più probabile che vengano utilizzate strategie centrate sull’emozione (Folkman e Lazarus, 1980). Per esempio gli uomini tendono a valutare le “difficoltà” in termini di sfida ed utilizzano strategie centrate sul problema, mentre le donne sono più inclini a valutare le situazioni come minaccianti o dannose e sono più propense ad usare il coping centrato sull’emozione (Ptacek, Smith e Zanas, 1992).

Il fatto che un fattore stressante sia o meno controllabile sembra determinare la modalità di coping. Uno studio condotto da Compas, Malcarne e Fondacaro (1988) ha rilevato che gli stressor scolastici erano ritenuti più controllabili degli stressor interpersonali e che, in genere, per far fronte allo stress scolastico venivano impiegate più strategie centrate sul problema che strategie centrate sull’emozione rispetto a quanto avveniva nel caso di stress interpersonale.

È stato anche rilevato che, quando vi era un basso controllo percepito sul fattore stressante, era maggiore il ricorso al coping centrato sull’emozione, mentre, laddove vi era un alto controllo percepito, vi era un uso maggiore del coping centrato sul problema.

Lazarus sottolinea il ruolo centrale delle cognizioni nelle risposte emozionali, affermando che quando si vivono le situazioni come problemi, è il significato che si dà alla transazione e il fatto di valutare la situazione come minacciosa, dannosa o stimolante che può influire sul tipo di emozione che ne deriva e sulla reazione di coping (Folkman, Lazarus, Pimley e Novacek, 1987). Questo è il significato dell’espressione “percezione della situazione”.

Questo modello assume che il coping sia una funzione delle determinanti situazionali e delle caratteristiche dell’individuo, della percezione della situazione  e delle intenzioni di coping. L’individuo è portatore di un gran numero di caratteristiche biologico-disposizionali, personali, di storia e di clima familiare. Quello che interessa è il modo in cui queste influiscono sulla percezione della situazione. Dopo aver fatto la sua valutazione della situazione, l’individuo stabilisce qual è il probabile impatto dello stress, cioè, se è più probabile che ne derivi “perdita”, “danno”, “minaccia”o “sfida”, e quali sono le risorse (personali o interpersonali) di cui dispone per farvi fronte. L’esito è determinato sia dall’azione che dalla motivazione ad agire. Dopo che la risposta è stata data, l’esito viene rivisto e ri-valutato (valutazione terziaria o rivalutazione)  e può seguire una nuova risposta. Il repertorio di coping di un individuo è suscettibile di sviluppo ulteriore. La natura circolare di questo processo illustra così come ci siano strategie che in futuro possono venire nuovamente utilizzate oppure abbandonate e che sono una conseguenza della propria personale esperienza di coping.

– IL MODELLO INTEGRATO DI MOOS E SCHAEFER

 

La concezione del coping come tratto basato su variabili disposizionali (set di tratti intrapersonali) e sull’assunzione di stabilità nel tempo si è rivelata limitata, di scarso potere predittivo e non supportata da evidenze empiriche e si è passati a definirlo un processo dinamico che cambia nel tempo, basato su una serie di azioni cognitive ed emotive in risposta allo stress sorto in uno specifico contesto.

Attualmente tuttavia vi sono alcuni teorici che sostengono l’importanza della complementarietà dell’approccio disposizionale  e di quello contestuale, il primo in quanto individua gli stili di coping usati in prevalenza dai soggetti al di là delle situazioni particolari, il secondo in quanto si focalizza su come una persona affronta un tipo particolare di evento stressante, sottolineando i cambiamenti nel coping durante quel particolare episodio.

La proposta di Moos e Schaefer (1993; Holahan et al., 1996) è un quadro di riferimento concettuale generale del processo di coping, che enfatizza sia gli aspetti stabili personali, sia i fattori situazionali mutevoli nell’influenzare gli sforzi di coping.

Il sistema ambientale (Panel 1) è composto da eventi di vita stressanti, quali malattia fisica cronica, e da risorse sociali, come il sostegno offerto dai familiari. Il sistema personale (Panel 2) comprende le caratteristiche sociodemografiche dell’individuo e le sue risorse personali, quali la fiducia in se stesso. Questi fattori personali e situazionali relativamente stabili influenzano le crisi e le transizioni della vita che l’individuo si trova ad affrontare (Panel 3), che riflettono i cambiamenti significativi nelle circostanze della vita. A loro volta queste influenze incidono sulla salute e sul benessere (Panel 5) sia direttamente che indirettamente attraverso la valutazione cognitiva e le risposte di coping (Panel 4). Nel modello viene enfatizzato il ruolo centrale di mediazione della valutazione cognitiva  e delle risposte di coping; i feedback reciproci possono verificarsi a ciascuno stadio del processo.

Moos e Schaefer (1993) hanno classificato le strategie di coping sviluppando una concettualizzazione integrata sulla base dei due principali approcci esistenti: uno, basato sul focus del coping, aveva distinto tra orientamento attivo (approach) verso il problema e orientamento di evitamento (avoidance) del problema, l’altro basato sul metodo del coping utilizzato, distingueva se una risposta richiedeva sforzi di tipo cognitivo oppure comportamentale.

Gli studiosi hanno proposto quattro categorie di base del coping (attivo-cognitivo, attivo-comportamentale, evitamento-cognitivo, evitamento-comportamentale), ciascuna delle quali è articolata in sottotipi che compongono il Coping Responses Inventory di Moos (1993).

Il modello concettuale di questi autori analizza il processo di adattamento ossia il funzionamento psicologico adattivo. A questo proposito va sottolineato come le concezioni sul processo dello stress e del coping siano cambiate in modo radicale negli ultimi anni: inizialmente i ricercatori presupponevano un legame tra cambiamenti di vita stressanti e disfunzioni, nonostante i riscontri empirici mostrassero una varianza spiegata del 10% e reazioni individuali agli stressor molto variabili; numerose persone non sviluppano sintomi nonostante l’esposizione a circostanze stressanti e alcuni mostravano addirittura di aver acquisito modalità più mature di gestire gli eventi. Inizialmente queste risposte vennero considerate come “anomalie” dovute a errori di misurazione, ma in seguito si comprese l’importanza di questi risultati.

Le ricerche sullo stress hanno avuto un’evoluzione dalla iniziale enfasi posta sulla vulnerabilità e sui deficit personali all’attenzione crescente alle forze di adattamento e alle capacità di resilience dei soggetti, fino a sottolineare l’azione costruttiva di fronte alle sfide. Si cominciò così a focalizzare le indagini sia sulle situazioni stressanti e su come il soggetto resiste allo stress, sia anche su come l’individuo esce da una situazione di crisi rafforzato, avendo acquisito nuove e più efficaci modalità di coping, con un risultato di crescita personale.

In questa direzione, Holahan et al. (1996) hanno elaborato e testato empiricamente due modelli di funzionamento adattivo basati sul coping. I risultati del primo, centrato sulle resistenze allo stress hanno mostrato che la fiducia in se stessi, una disposizione all’ottimismo e il sostegno familiare agivano direttamente o indirettamente mediante le risposte di coping a proteggere i soggetti dalla depressione. In condizione di basso stress, le risorse influenzano direttamente lo stato di salute psicologica, mentre in condizioni di stress elevato le risorse predicono lo stato di salute indirettamente, mediante il legame con strategie di coping adattive. Risultati analoghi sul ruolo di mediazione del coping sono emersi anche da altri studi: in donne con cancro al seno, il ricorso a strategie attive svolge una funzione di mediazione tra l’ottimismo disposizionale e un miglior adattamento psicologico (Carver et al., 1993).

Il secondo modello prende invece in esame il miglioramento del funzionamento psicologico del soggetto che può scaturire da una situazione di crisi. Mentre negli studi sull’adattamento agli stressor  i ricercatori considerano come indicatori di buon esito l’assenza di psicopatologia e di sintomi fisici, altre ricerche si sono centrate sia sullo sviluppo della resilience del soggetto di fronte a esperienze stressanti, sia sull’acquisizione di nuove abilità di coping, che portano al rafforzamento di risorse personali e sociali.

L’efficacia di strategie particolari di coping dipende da alcuni fattori chiave, quali il contesto temporale e la controllabilità della fonte stressante. Ad esempio, il coping di evitamento può essere adattivo in alcune situazioni: l’evitamento cognitivo (come il non prestare attenzione all’evento) può essere adattivo in situazioni di stress di breve durata, come il dolore. Le strategie di coping attivo sono risultate associate a minor depressione solo quando la fonte dello stress era valutata come modificabile, cioè percepita sotto il proprio controllo. In base al modello di Moos e Schaefer (1993) la valutazione della controllabilità di un evento influenza sia il grado in cui il sostegno sociale incide sul coping sia l’efficacia delle risposte di coping.

Secondo gli autori esiste la possibilità di poter intervenire in qualsiasi momento del percorso indicato dal modello concettuale: la focalizzazione sui processi di coping suggerisce una prospettiva che valorizza i punti di forza di ogni individuo (e non i suoi deficit) e incoraggia le sue potenzialità di resilience e di crescita personale.

 

 

 

-IL MODELLO DELLO STRESS PSICOSOCIALE DI BARBARA DOHRENWEND

 

 

Il modello integrato di Barbara Dohrenwend (1978) è basato sul concetto unificante di stress psicosociale, include una dimensione temporale e consente di focalizzare sia le tematiche centrate sulla persona sia quelle centrate sia quelle centrate sull’ambiente nell’analisi dei comportamenti e della salute mentale. L’analisi si focalizza in particolare sul fatto che le modalità utilizzate da una persona per rispondere ad una situazione di crisi sono funzione dei sistemi di sostegno sociale e dei mediatori psicologici disponibili.

Il processo inizia con il verificarsi di uno o più eventi stressanti e termina con un cambiamento psicologico, positivo o negativo, o con il ripristino della situazione psicologica iniziale. Gli episodi di vita stressanti possono essere causati da eventi ambientali e situazionali, oppure da caratteristiche psicologiche della persona coinvolta nell’evento, conseguentemente gli individui possono contribuire a creare gli eventi che successivamente li porteranno a dei cambiamenti. Le forme di reazione allo stress solitamente sono transitorie e immediate e ciò che ne segue dipende dalla mediazione dei fattori situazionali (quali i sistemi di sostegno sociale, materiale, economico ecc.) e psicologici (quali i valori, le abilità di coping ecc.) che definiscono il contesto in cui questa reazione si verifica.

Nel modello entrambi i mediatori situazionali e psicologici della relazione stress-patologia sono importanti, in quanto interagiscono con le reazioni allo stress in modo complesso per produrre uno dei tre possibili risultati:

  1. a) la persona può crescere e cambiare in senso positivo come risultato della sua capacità di padroneggiare l’esperienza;
  2. b) può ritornare ad uno stato psicologico per lei normale;
  3. c) può sviluppare una forma di psicopatologia, definita dall’autrice come una reazione disfunzionale persistente.

L’interesse per il concetto di stress psicosociale richiede attenzione alle circostanze della vita e alle risorse disponibili al soggetto per affrontare le richieste poste dalla situazione.

Un altro aspetto importante del modello consiste nell’inserire le possibilità d’intervento in diversi punti del processo analizzato: oltre l’intervento terapeutico, necessario quando l’esito finale è psicopatologico, Dohrenwend sostiene che sia possibile intervenire precedentemente alla reazione allo stress, con degli “interventi sulla crisi”: la questione è dove situare questi servizi, se cioè renderli semplicemente disponibili alle persone che ne hanno bisogno oppure fare in modo che essi possano raggiungere le persone nella fase acuta dell’episodio stressante. Lo stress riferito a eventi prevedibili che si incontrano nel ciclo di vita di ogni persona rende ai nostri occhi vistosa la necessità della prevenzione.

Un ruolo importante nel determinare l’esito di una reazione allo stress è dovuto ai mediatori psicologici, quali i valori e abilità di coping dei soggetti: rafforzare la capacità psicologica di una persona di far fonte ai suoi problemi può aiutarla a sviluppare un alto livello di abilità per affrontare e risolvere problemi sociali ed emozionali complessi. Ma l’esito di un evento di vita stressante dipende anche dai mediatori situazionali: quando le risorse di un individuo sono insufficienti per affrontare un problema, occorrono altre risorse. Per alcuni possono essere utili gli aiuti forniti dai vari sistemi di sostegno sociale, quali famiglia e amici; per altri sono necessarie delle risorse collettive, fornite dai servizi pubblici o privati attivati dalla comunità.

Il modello della Dohrenwend ha il merito di focalizzare l’attenzione su una visione olistica dei problemi, mostrando come i problemi umani siano inseriti nel contesto sociale, e come occorra sviluppare teorie che tengano in considerazione “la persona nella situazione”. Tale modello include una dimensione temporale nell’analisi della relazione tra stress e comportamento suggerendo quando, dove e perché certi interventi possono aiutare a ridurre la patologia; inoltre l’inclusione di mediatori situazionali e psicologici indica l’esigenza di andare oltre lo studio di un individuo isolato dal contesto in cui vive; infine una forte enfasi viene posta sulle strategie di prevenzione.

 

 

 

– IL MODELLO SOCIOCONTESTUALE DEL COPING

 

 

Negli ultimi anni è emersa sempre più insistentemente la critica alla concezione individualistica, ampiamente diffusa nei modelli sul coping lungo il ciclo di vita (across the lifespan), secondo cui il coper è una persona che individualmente valuta e affronta gli eventi stressanti. La critica sottolinea il fatto che gli individui in realtà sperimentano gli stressor all’interno di un contesto sociale e possono far fronte allo stress in collaborazione con altri individui.

Berg et al. (1998) hanno proposto un modello sociocontestuale del coping con l’obiettivo di descrivere il processo attraverso cui gli individui in connessione con altri anticipano e affrontano i problemi di vita quotidiani. Gli autori si sono interrogati in particolare sul ruolo attribuito al contesto e all’intervento di altre persone. Essi hanno rilevato che spesso, anche quando si riconosce che gli individui coinvolgono “altri” nel processo di soluzione dei problemi nella vita quotidiana, tale coinvolgimento assume la forma generica di sostegno sociale, una strategia che, nella letteratura sul problem solving, viene definita “dipendenza passiva da altri”.

Gli altri intervengono in diversi modi e momenti del processo di coping: ad esempio è stato ampiamente dimostrato che gli altri costituiscono una fonte di stress rilevante (Seiffge-Krenke, 1995). Inoltre gli altri possono essere coinvolti nel processo di coping sia come fonte di informazione, consiglio, sostegno, sia come modelli di funzionamento o malfunzionamento, sia come collaboratori impegnati in sforzi di coping reciproci o compensatori.

Questo modello parte dal concetto di spazio di vita attivato (Lewin 1951), che si riferisce alla transazione tra un individuo e il contesto. I modi in cui il soggetto può interagire con gli altri nel valutare e affrontare i problemi quotidiani sono diversi: gli autori discutono quattro possibili configurazioni di interazioni tra soggetti, altre persone e contesto sociale. La valutazione del problema (appraisal) può infatti essere individuale solitaria, individuale parallela, relazionale indiretta, relazionale condivisa.

Nel primo caso un soggetto valuta una situazione basandosi esclusivamente su quegli aspetti del suo contesto che sono all’interno del proprio spazio di vita attivato. Nella seconda configurazione, individuale parallela, i soggetti vedono la situazione in modi completamente diversi e cercano ciascuno una soluzione personale. La terza configurazione, relazionale indiretta, presenta una situazione in cui la valutazione dello stress di un soggetto influenza gli altri partecipanti all’interazione. Infine, la configurazione relazionale condivisa presenta la situazione in cui i membri della diade o di una unità sociale più ampia condividono la stessa valutazione dell’evento come stressante per sé e per gli altri e cercano insieme una soluzione.

Queste diverse configurazioni possono verificarsi in molteplici punti del processo di coping. I soggetti possono anticipare i problemi prima che avvengano (Aspinwall, Taylor, 1997), possono rivalutarli quando si verificano, possono ridefinire la valutazione dopo che il problema si è verificato. Viene in tal modo sottolineata nel modello l’importanza dell’aspetto temporale.

Anche le strategie di coping sono influenzate dalle diverse configurazioni di valutazione dello stress, e quindi variano dal livello puramente individuale agli sforzi altamente collaborativi. Le strategie individuali includono sia gli sforzi attivi, centrati sul problema di affrontare le richieste esterne, che gli sforzi più introspettivi  di ristrutturare cognitivamente il problema.

Eckenrode (1991) sostiene che le persone che usano strategie più efficaci, mediante azioni di problem solving e rivalutazione cognitiva, ottengono maggiormente sostegno sociale rispetto a coloro che hanno scarse abilità di coping.

Le strategie di problem solving comportano un maggior uso del coinvolgimento degli altri e comprendono la negoziazione, la risoluzione comune del problema, la divisione dei compiti, l’influenza e il controllo, la compensazione dei deficit altrui e i dialoghi interattivi che rafforzano gli sforzi di coping. Queste strategie richiedono un livello elevato di interdipendenza, in quanto i membri coinvolti costruiscono insieme le idee e lavorano per una soluzione comune: occorre quindi analizzare le strategie di coping ad un livello diverso da quello individuale.

Un altro contributo del modello sociocontestuale è la focalizzazione sulla natura dinamica delle relazioni sociali e dei processi di coping. Già Folkman e Lazarus (1985) avevano sottolineato gli aspetti dinamici degli stressor, che possono portare ad una modificazione della valutazione nel tempo. Berg et al. (1998) aggiungono che anche le interazioni sociali che avvengono durante la valutazione del coping sono dinamiche. Le relazioni sociali emergono attraverso interazioni mutevoli che sono co-costruite dai membri di una unità sociale. I cambiamenti possono verificarsi a livello del contesto stressante attuale, ad esempio includendo altri individui nell’unità sociale o modificando il livello di valutazione, da solitario a relazionale, nel corso dell’episodio stressante analizzato nel tempo. Questo processo microevolutivo può essere valutato longitudinalmente dai partecipanti all’interno di una unità sociale usando diverse metodologie, quali interviste, diari o questionari. Analizzare l’andamento dell’evento stressante mediante misurazioni della valutazione, rivalutazione e sforzi di coping consente di avere informazioni su diversi aspetti:

  1. a) come i membri di una unità sociale affrontano il processo di coping in diversi momenti temporali;
  2. b) come il livello di valutazione può modificarsi nel tempo;
  3. c) come il coping successivo è modificato dalle valutazioni precedenti.

Vieni quindi sottolineata l’esigenza di ri-orientare le ricerche sullo stress e il coping, al fine di esaminare lungo tutto il ciclo di vita il processo mediante il quale gli individui e gli altri  nel loro contesto sociale anticipano e affrontano i problemi di vita quotidiani.

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