Come Riconoscere il Trauma nell’Abbandono e superarlo Efficacemente

L’abbandono rappresenta un esperienza traumatica all’origine di molta sofferenza anche in bambini appena nati. Non è vero, dunque, che il bambino abbandonato dopo la nascita, se preso in carico da un’altra persona, sia più agevolato nel dimenticare un passato breve ma tragico.

Nel feto è presente una sorta di memoria in cui sono registrate le dimensioni psichiche, cognitive, affettive che vengono conservate e che si distribuiscono nella corporeità del nascituro. C’è un sentimento di continuità esistenziale che lega il vissuto polisensoriale intrauterino, con l’inizio della vita al di fuori del grembo materno. Tale relazione farà da base allo sviluppo futuro del piccolo.

Il distacco precoce del bambino dalle figure genitoriali, si riflette sul suo successivo sviluppo, con conseguenze traumatiche, in modo particolare quando egli attende invano il ripristino della relazione.

Nella situazione di abbandono la relazione tra madre accudente e bambino viene a mancare, quindi sensazioni ed emozioni, a cui il piccolo non è capace di dare un significato, si configurano in uno spazio senza nome, senza possibilità di pensiero e rappresentazione. Tutto ciò lascia una traccia indelebile, che rimane inscritta nel suo corpo, in quanto all’inizio il neonato funziona prevalentemente a livello corporeo, per cui i contenuti non pensabili risultano incomprensibili e non c’è possibilità di elaborazione.

Quando l’essere umano viene concepito e poi lasciato dai genitori biologici, non cresce più nel suo contesto naturale (quello in cui è venuto al mondo) sperimentando la perdita di un ambiente familiare e di sostegno. Dunque, c’è un interruzione della continuità biologica essenziale per la sopravvivenza. Il contesto diventa minaccioso ed estraneo, e il neonato è costretto a provvedere da sé alle mancanze dell’ambiente, assumendo atteggiamenti difensivi.

Per Anna Freud (Freud A., 1965) centrale è il funzionamento dell’Io come responsabile della condizione psichica del bambino; l’esperienza traumatica è data da una sensazione di impotenza dell’Io in seguito ad un accumulo di energia che lo disorganizza e lo annulla. Il trauma si configura come il risultato del superamento delle barriere protettive interne ed esterne. Un ruolo centrale è assunto dall’età del bambino al momento dell’arrivo degli stimoli perturbanti, che vengono tollerati a seconda della maturazione degli apparati psichici e delle funzioni dell’Io.

In condizioni normali è la madre che funge da Io ausiliario per proteggere il bambino; se questo non avviene il bambino si trova nel corso dello sviluppo sommerso da sovraeccitamenti che tendono a danneggiarlo, il suo sistema difensivo entra in crisi e si genera il trauma.

Secondo Anna Freud gli eventi esterni non sono in traumatici, ma lo diventano nel momento in cui affiorano delle angosce arcaiche, in particolare quelle di annientamento e abbandono. Quando l’angoscia di abbandono è presente e si materializza con l’atto dell’abbandono da parte della madre, il bambino sperimenta vere e proprie fantasie distruttive.

Anche da studi condotti da Masud Khan (Khan, 1963), così come per Winnicott, è emersa l’importanza della funzione materna come sostegno, presenza continua e attenta, e come scudo protettivo da intense stimolazioni interne ed esterne. Queste se iniziano a sedimentarsi e non vengono contenute dalla madre, danno origine al trauma cumulativo, che intacca i processi di integrazione psiche-soma e di maturazione dell’Io infantile. Il trauma cumulativo prende in considerazione gli eventi psicofisici che si verificano nella fase pre-verbale del rapporto madre-bambino, un periodo in cui il bambino è più sensibile alla stimolazione ambientale.

L’abbandono dunque assume connotazioni devastanti specie se si verifica nelle prime fasi della vita, contrariamente a quanto molto spesso ritengono i genitori che si accostano all’adozione, che considerano meno traumatico un abbandono avvenuto poco dopo la nascita che non in un epoca successiva.

È possibile evidenziare tre diverse tipologie di abbandono: l’abbandono conseguente ad una grave inadeguatezza; l’abbandono come agito; l’abbandono come rinuncia.

Nel primo caso viene descritta un incapacità genitoriale della madre naturale data da problematiche quali ad esempio tossicodipendenze, alcolismo, patologie psichiatriche, che conduce all’allontanamento dei figli da parte dell’autorità giudiziaria. Questo si verifica in seguito ad un indagine in cui si rileva una grave trascuratezza, non risanabile neanche attraverso l’aiuto dei servizi sociali.

Il secondo caso prende in esame una madre tormentata, angosciata e con forti sentimenti di inadeguatezza derivanti da relazioni personali problematiche con i membri significativi della famiglia di origine e successivamente con il partner. Verso quest’ultimo indirizza tutte le proprie attenzioni ed energie, al punto tale da ritrovarsi nell’incapacità di offrire uno spazio mentale sufficiente al figlio.

Nel terzo esempio è descritta la situazione di una madre che decide di non riconoscere il figlio al momento della nascita.

L’abbandono di un figlio comporta sofferenza non solo per il bambino, ma anche per il genitore, che cerca spesso di fuggire dal ricordo, evitandolo o mascherandolo dietro pensieri più piacevoli e meno drammatici.

di Federica Visconti

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