Euristica della disponibilità in Psicologia

Una euristica tra le più note è certamente l’euristica della disponibilità (Tversky e Kahneman, 1974), si tratta di un’euristica che ha un valore anche per quanto concerne le valutazioni del rischio. Di fatto, nella stima di un rischio, raramente si può far riferimento a dati oggettivi, come i dati ufficiali e le statistiche, molto più spesso dunque si rende necessaria un’operazione di stima dei rischi tramite l’uso di un’euristica.

L’euristica della disponibilità prende il nome dalla disponibilità del dato in memoria, nella maggioranza dei casi dunque le persone fanno riferimento a dati in memoria per stimare l’incidenza di un rischio. Quindi, più un evento emerge facilmente dalla memoria, più probabilmente le persone lo stimeranno come frequente, probabile. Ovviamente, la memoria non rappresenta una stima accurata dell’incidenza di un fenomeno, in quanto l’immagazzinamento dei dati dipende da molti fattori. Un evento particolarmente impattante, traumatico come può essere un disastro ambientale o un incidente può di fatto influenzare la memoria e impattarne sulla sua valutazione e percezione.

Le emozioni possono influenzare la memorizzazione di un dato, impattando sul modo in cui il soggetto. La persona, valutando gli eventi più disponibili come più frequenti, distorce di fatto il rischio percepito di un fenomeno. In questo senso giocano un ruolo determinante i media, i quali espongono con frequenza maggiore o minore determinati comportamenti, eventi e relativi rischi. Il numero di volte e il modo in cui la popolazione viene esposta alla conoscenza di un rischio (ad es., guerra, terrorismo, rischi inerenti alla salute) di fatto impatta sulla disponibilità di tali eventi in memoria, inducendo a sovrastimarne i relativi danni e la relativa diffusione. Ciò determina uno scostamento notevole tra rischio soggettivo ed oggettivo.

Inoltre, occorre aggiungere che il modo in cui tali stimoli vengano proposti può essere determinante sull’immagazzinamento del dato. Lo stesso rischio può, infatti, essere descritto in maniera cognitiva o emotiva.

Uno studio di Sinaceur, Heath e Cole (2005) ha dimostrato che le etichette emotive sono più facilmente memorizzabili dalla popolazione e, quindi, maggiormente impattanti sulla stima del rischio. Questo studio ha valutato l’impatto sul comportamento delle testate di giornali in riferimento alla encefalopatia spongiforme bovina. In particolare, sono state confrontate le testate che utilizzavano termini tecnico-scientifici (come appunto BSE, encefalopatia spongiforme bovina etc.), con termini di natura emozionali come “mucca pazza”. Dallo studio è emerso che nel caso di utilizzo di termini tecnico scientifici vi era un minore senso di allarme, mentre nel caso di uso di termini emozionali vi era un maggiore senso di allarme, testimoniato da una netta riduzione del consumo di carne. Le etichette scientifiche dunque inducono maggiormente le persone a valutare il rischio sulla base dei dati, mentre etichette emozionali – molto più utilizzate – inducono maggiormente le persone a comportarsi sulla base di reazioni emozionali.

di Tsvetelina Nikolova Tsenova

 

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