Il colloquio investigativo-criminologico come forma di comunicazione

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La comunicazione verbale e non verbale è  fondamentale in ogni ambito, diventa addirittura necessaria e “strumento d’indagine” durante un colloquio investigativo. Il colloquio investigativo si caratterizza in maniera particolare rispetto ad altre forme di colloquio tecnico ed ha l’obbiettivo di acquisire informazioni sul coinvolgimento di un reato del soggetto che si sta interrogando ed individuare la possibile presenza di menzogne.                                     Per questo è importante  porre maggiore attenzione alle parole  ma in particolare al comportamento e quindi alla comunicazione non verbale del soggetto. Potremmo dunque  definire il colloquio investigativo come “..una tecnica di comunicazione che si svolge in una situazione istituzionale, che ha come ipotesi il fatto che l’intervistato abbia commesso un reato… e come scopo quello di fornire informazioni sulla dinamica di un reato..”.

Negli ultimi anni, anche in Italia, grazie a movimenti scientifici (convegni, pubblicazioni) e mediatici, si sta maggiormente sviluppando una maggiore collaborazione tra l’ambito psicologico-comunicativo e quello delle attività investigative. I punti di contatto e di condivisione sono diversi: attività formative, processi investigativi, attendibilità della testimonianza, autopsia psicologica, profiling ecc… Il colloquio con fini investigativi significa attivare nella persona che risponde processi relativi alla percezione, alla memoria, alla comunicazione, alla vulnerabilità dell’individuo come sesso o età.

A differenza di Inghilterra o Stati Uniti, in Italia per quanto concerne il colloquio criminologico  di presunti rei, non esistono ancora protocolli e strumenti standard utilizzati dagli operatori di giustizia  ma i tempi appaiono ormai maturi per ragionare sulla possibilità di costruire modelli e procedure di lavoro chiare in questo settore.

Inoltre  il progresso tecnologico e le sempre più sofisticate metodologie che la ricerca mette a disposizione consentono di svolgere attività investigative e di raccolta delle informazioni sempre più in maniera rapida ed efficace.                                                                                                                                                                                                      Nel ambito criminologico-investigativo però la difficoltà prevalente della raccolta di informazioni deriva spesso dalla presenza di volontà e stati psicologici differenti tra interrogante e interrogato; il fatto di avere di fronte una figura autoritaria  porta molti soggetti, soprattutto se hanno qualcosa da nascondere, ad assumere inconsapevolmente uno stato emotivo reattivo che può facilitare ( se di paura) la ricerca di informazioni, oppure ostacolare se presenta uno stato emotivo di indisponibilità.

Risultando quindi essere in gioco dinamiche psico-comportamentali tra i due soggetti:

  • le strategie dell’interrogato, per nascondere la verità fornisce una versione artefatta ed attendibile degli eventi;
  • le strategie dell’interrogante che deve essere in grado di rilevare segni di menzogna e contraddizione.

Vi è un elemento estremamente delicato e spesso trascurato, che riguarda la vittima o reo interrogati: percezione e memoria.

La memorizzazione degli eventi avviene in base a ciò che lo studioso Barlett (1930)definisce “schermata”, conoscenze pregresse o strutture mentali che organizzano le esperienze passate e influenzano la ritenzione di nuove esperienze. Ognuno di noi adatta i propri ricordi , a schemi personali che possono sia distorcere, che accrescere la memorizzazione. L’inattendibilità, soprattutto nei casi di  testimonianze e le “trappole” della memoria , sono tematiche che sono state approfondite dalla docente di psicologia nell’Università del New Jersey, Giuliana Mazzoni, che denuncia come spesso chi conduce un colloquio investigativo sia impreparato e come si forzi il soggetto interrogato a fornire una testimonianza ,sottovalutando la delicatezza e l’importanza del ricordo e dei suoi processi e cioè percezione originaria, immagazzinamento, recupero e verbalizzazione.

Il falso ricordo, la capacità di rilevare discrepanza tra informazione relativo all’evento e quella successiva all’evento, è influenzato da :

  • fattori cognitivi
  • tempo intercorso tra l’evento vissuto e la rievocazione dello stesso
  • tempo di esposizione (codifica): meno è il tempo di esposizione ,minore è la sicurezza e maggiore la vulnerabilità a influenze esterne.
  • coerenza con gli schemi cognitivi del soggetto
  • fattori sociali
  • credibilità della persona che invia il messaggio;
  • potere e livello di attrazione sociale.

Da non sottovalutare è anche la relazione tra emozione e memoria. Già agli inizi del Novecento c’è stato un grande interesse sull’influenza che lo stress o il trauma possano avere sul benessere dell’individuo, in particolare sulla memoria e l’attendibilità della testimonianza. Tale stato genera un’esagerazione delle percezioni, arrivando  ad esperire la sensazione che il tempo passi più lentamente o che tutti  i sensi siano attivi  in modo abnorme; uno stress eccessivo infatti, può comportare uno stato di dissociazione,arrivando cosi a non ricordare più l’evento traumatico (amnesia retrograda o dissociativa) .

Considerando dunque questi aspetti psicologici, è sicuramente difficile stabilire quando una testimonianza o una  confessione sia vera.

E’ comunque possibile individuare  tre tipologie di false confessioni:

  1. Falsa confessione spontanea: Le persone si recano volontariamente a una stazione  di Polizia e dichiarano di essere colpevoli di quel crimine riportato dai media.                                                                                                       Questo tipo di comportamento potrebbe indicare un “desiderio patologico di notorietà”che consiste in un bisogno patologico di diventare soggetti devianti aumentando la considerazione di se stessi o per difficoltà di discernimento tra realtà e fantasia
  2. Falsa confessione costretta-compiacente: avviene quando sulla base dell’interrogatorio della Polizia la persona confessa di aver commesso un crimine pur sapendo che non è vero.
  3. Falsa confessione costretta-interiorizzata: le persone accusate di aver commesso un crimine arrivano  a credere di averlo realmente commesso anche se non ne hanno nessuna sicurezza e ricordo

Molto spesso, in seguito a forte pressioni da parte dell’interrogante , questi soggetti, che solitamente possiedono  un QI molto più basso del normale , sono anche più facilmente suggestionabili, con scarsa stima di se stessi o vittime di droga e/o abuso di alcool ed tutti questi fattori ,li porta a riflettere seriamente sulla loro colpevolezza.

Non sono molti gli studi presenti su questi aspetti purtroppo o quelli che esistono non sono incoraggianti ma si è iniziato a prendere seriamente in considerazione il fenomeno della menzogna, come analizzarla, distinguendo la verità da una verità intenzionalmente distorta (Mazzoni, 2003).

Buoncompagni Giacomo

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