Come Capire Chi Mente

 

«Chi cerca di mascherare le bugie deve sapere come si manifestano le emozioni nel linguaggio, nella voce, nella mimica e nei gesti, deve conoscere le tracce che possono restare malgrado gli sforzi per dissimulare i sentimenti e che cosa tradisce la falsità di emozioni simulate.» (Ekman, 2011 p.67)

Accorgersi che un soggetto sta mentendo non è cosa semplice, esistono troppe fonti che bisognerebbe essere in grado di analizzare: parole, tono di voce, pause, espressioni, gesti, posizione, respirazione, sudore, etc. Le difficoltà nascono dal fatto che tutte queste fonti possono manifestare la menzogna contemporeanamente o quasi, cosicchè l’osservatore inesperto, soffermando la propia attenzione su una, non colga l’indizio dall’altra. Nel 1971 lo psicologo statunitense Albert Mehrabian condusse uno studio di notevole importanza in merito ai diversi aspetti della comunicazione di un messaggio. La ricerca mise in evidenza l’esistenza di tre componenti alla base di qualunque atto comunicativo: il linguaggio del corpo, la voce e le parole.

In base ai dati emersi Mehrabian formulò il cosiddetto modello del “55, 38, 7%”, secondo il quale:

  • Il 55% del messaggio comunicativo è dedotto mediante il linguaggio del corpo (gesti, mimica facciale, posture);
  • Il 38% è dedotto dagli aspetti para-verbali (tono, ritmo, timbro della voce);
  • Il 7% è dedotto dalle parole pronunciate, cioè dal contenuto verbale.

Da questa tripartizione si può evincere che le prime impressioni che si formano nel soggetto che ascolta e osserva sono determinate principalmente dal modo in cui il soggetto che comunica si presenta e dal modo in cui enuncia le informazioni, anziché dal contenuto verbale.

L’analisi della comunicazione non verbale, pertanto, può rappresentare un valido mezzo per cogliere il messaggio reale e nascosto che in taluni casi non viene esplicitato, in quanto è difficile immaginare che si possa controllare efficacemente tutta la gamma di aspetti comportamentali che potrebbero tradire il menzognero.

Occorre, tuttavia, sottolineare che il modello del “55, 38, 7%” non intende negare l’importanza delle parole, anzi Mehrabian è riuscito a mettere in evidenza il fatto che se il 55% della comunicazione risulta in contrasto con il restante 45% (comunicazione verbale + comunicazione para-verbale), il messaggio trasmesso verrà considerato ambiguo e poco credibile. Nonostante la notevole discrepanza nelle percentuali sopra indicate, è possibile trovare in letteratura un numero di ricerche, esiguo ma non per questo di minore rilevanza, focalizzate sullo studio di possibili indizi verbali di menzogna.

Come Riconoscere la Menzogna con la Comunicazione Verbale

Gli studi dell’aspetto verbale in relazione alla menzogna hanno cominciato a svilupparsi solo intorno agli anni ’70, rivelandosi potenzialmente importanti nell’ambito forense soprattutto nei casi in cui l’unica prova disponibile consisteva nelle affermazioni in conflitto del querelante e dell’accusato (Porter & Yuille, 1996). In alcuni di questi studi emerse una sistematica difformità tra esposizioni sincere e menzognere di vittime o testimoni di crimini, sia bambini che adulti (Steller & Koehnken, 1989).

Le ricerche su tali indizi diedero inoltre la possibilità di realizzare strumenti per la valutazione e l’analisi del contenuto verbale di dichiarazioni. Tra i più conosciuti e utilizzati, anche in campo forense, troviamo lo Statement Validity Assessment (SVA), analizzato nel dettaglio nel prossimo paragrafo. Altro strumento noto e usato è il Reality Monitoring, realizzato da Johnson e Raye (1981) il quale assume che i ricordi di eventi realmente vissuti possano essere distinti dai ricordi di eventi immaginati. Secondo i due autori infatti i ricordi che si riferiscono a percezioni reali includono più informazioni contestuali di tipo spazio-temporale e maggiori dettagli di tipo sensoriale, invece i ricordi che derivano da qualcosa di immaginato contengono solo informazioni subbiettive ed egocentriche. Studiando la differenza qualitativa dei ricordi è anche emerso come i soggetti nel rievocare eventi o immagini che derivano da suggerimenti post-evento, dovuti per esempio a domande suggestive, rispetto alle memorie reali, utilizzino un minor numero di parole e meno espressioni di tipo dubbio non menzionando processi cognitivi (Schooler, Garhard & Loftus, 1986).

Alonso-Quecuty (1992) ritenne inoltre fattibile una comparazione tra rievocazioni suggerite ed immaginate e rievocazioni non suggerite e realtà; in uno studio rivolto a questo scopo creò infatti un parallelismo tra ricordi immaginati e menzogna da un lato e ricordi di fatti realmente percepiti e verità dall’altro.
Gli indizi verbali di menzogna maggiormente presi in considerazione e studiati nella letteratura sono le parole e la voce.

Le parole sono l’aspetto della comunicazione a cui le persone prestano più attenzione per scovare la menzogna, perché sono il modo più ricco e differenziato di comunicare, capaci di trasmettere messaggi più numerosi e incomparabilmente più rapidi rispetto alla mimica, alla voce o ai movimenti del corpo (Ekman, 2011). Il menzognero, a conoscenza di ciò, esercita una forte censura su quello che dice cercando di occultare con cura i messaggi che non vuole inviare.

Molto spesso però questo “nascondere il messaggio” fallisce e i soggetti per semplice disattenzione sono traditi dalle parole stesse. Anche il mentitore più abile e scaltro può essere tradito, ad esempio, da quelli che Freud definisce lapsus. L’ideatore della psicanalisi indica come gli errori che capitano nella vita di tutti i giorni non siano sbagli accidentali, ma eventi significativi che rivelano conflitti psicologici interni. Il lapsus esprime quindi a suo avviso qualcosa che il soggetto non desiderava dire, e diventa per questo un modo di tradire se stessi. Freud (1916) scriveva che «la soppressione dell’intenzione di dire qualcosa è la condizione indispensabile per la comparsa di un lapsus linguae».

Questo non sta a significare in maniera deterministica che ogni lapsus sia prova di menzogna: è l’analisi del contesto che aiuta a capire se l’errore rivela un’ipotetica bugia o no.
Un altro modo in cui il menzognero può tradirsi con le sue stesse parole sono le tirate declamatorie (Ekman, 2011). In questo caso l’errore diventa vistoso e ridondante, il soggetto si lascia trasportare dall’emozione e dalla foga e solo quando è troppo tardi si rende conto delle conseguenze di ciò che sta rivelando. In questo caso è la pressione di un’emozione incontenibile a indurre il bugiardo a tradirsi.
Studiosi e ricercatori come Cody (1984), Stiff e Miller (1986) hanno concentrato la loro attenzione sull’identificazione delle peculiarità più generali riscontrabili nelle narrazioni menzognere. Gli esiti dei loro studi possono essere così riassunti:

  • il correlato verbale più ricorrente nella menzogna è costituito dal numero di parole utilizzate nelle dichiarazioni: le narrazioni false sono tipicamente più brevi di quelle veritiere;
  • la dichiarazione falsa mostra maggiormente un contenuto generico contenendo pochi riferimenti a persone, luoghi e tempistiche degli eventi;
  • utilizza principalmente termini generalizzati come “tutto”, “ogni”, “nessuno”, “niente”, etc;
  • contiene un numero inferiore di riferimenti alla propria persona, alle proprie esperienze o interessi;
  • è lessicalmente più ricca a causa di una maggior senso di cautela come suggerito da Carpenter (1981).

Tra gli indizi della voce che invece fanno sospettare di più di un inganno, le pause nel discorso assumono grande rilevanza. Quando le pause si dimostrano troppo lunghe e frequenti e quando vi è un lungo periodo di latenza, soprattutto in risposta a una domanda, possono nascere sospetti sulla credibilità del soggetto (Loriedo & Picardi, 2000). Questo perché esse si presume che si verifichino per due ragioni: o chi mente può non aver elaborato con precisione la versione dichiarata, ad esempio, se il soggetto non si aspettava di dover mentire, o anche soltanto non aveva previsto una certa domanda, può esitare o confondersi, o può, nonostante la bugia sia ben prearata, avere un alto livello di apprensione all’idea che il suo atto moralmente discutibile possa essere scoperto. Altri indizi per quanto riguarda la voce possono essere: gli errori, come l’intromissione nel discorso di non parole, le ripetizioni e le parole ripetute a metà.

L’inganno può trapelare anche dal suono che emette la voce.

Il tono di voce è in grado di rivelare le emozioni che una persona prova. Il segno vocale di emozione più documentato è l’acutezza: in circa il 70% delle persone esaminate, la voce diventa più acuta in situazioni di turbamento (Ekman, 2011). Si presume che questo avvenga soprattutto quando l’emozione alla base dell’agitazione del soggetto sia la rabbia o la paura. Inoltre alcune ricerche sembrano indicare un calo nel tono di voce quando il soggetto prova tristezza o dispiacere (Sherer, 1982). Le alterazioni della voce prodotte dalle emozioni non sono facili da nascondere infatti sovente se la bugia riguarda in particolare emozioni provate sul momento, ci sono buone speranze, che da esse trapeli la verità.

Partendo da alcuni presupposti e teorie sopra citate, Testa e colleghi (2003) hanno condotto una ricerca empirica volta a ricavare i possibili indizi verbali di menzogna. Lo studio è «una ricerca di tipo esplorativo che identifica, attraverso un’analisi qualitativa del materiale verbale, parametri o indizi che possano aiutarci a comprendere se un individuo è sincero o no quando esprime dei giudizi o dei pareri.» (Testa et al., 2003)

Il campione di questa ricerca è costituito da 20 soggetti a cui è stato chiesto di partecipare ad un esperimento che aveva lo scopo di valutare la loro “capacità argomentativa” nell’esposizione di pareri. La procedura per ottenere il materiale verbale su cui lavorare prevedeva che uno sperimentatore chiedesse a ciascun soggetto di parlare, fornendo le adeguate motivazioni, del film che negli ultimi tempi gli era piaciuto di più e del film che gli era piaciuto di meno. Una volta videoregistrata questa esposizione e trascritta, lo stesso soggetto veniva invitato a parlare degli stessi due film facendo credere allo sperimentatore che il film che in realtà gli era piaciuto non gli fosse piaciuto, e viceversa, che il film che non gli era affatto piaciuto fosse in realtà il suo film preferito. Anche questa seconda dichiarazione venne videoregistrata e trascritta. Entrambe le trascrizioni vennero successivamente inserite in un software, l’ATLAS ti. versione 4.1, in grado di analizzare qualitativamente dei testi. Alcuni dei parametri analizzati in tale studio provenivano già dalla letteratura sopra citata, mentre altri erano del tutto nuovi rispetto a quelli già studiati.

Indicatori Verbali di Menzogna

Dai risultati ottenuti sono emerse differenze interessanti tra il materiale verbale riguardante i pareri menzogneri e il materiale verbale contente i pareri sinceri.

Nella situazione di esposizione di un parere sincero si osservò che:

  • I soggetti utilizzarono il pronome personale di prima persona singolare mio/mia (parametro già confermato come indice di sincerità dalla Statement Analysis);
  • le esposizioni di pareri sinceri furono anche caratterizzate dalla presenza di motivazioni che facevano riferimento alla sfera emotiva e personale del soggetto e caratterizzate da particolari riferimenti alle emozioni e sensazioni provate al momento della visione del film.
  • Il tutto veniva espresso in media con il 40% di parole in più rispetto alle versioni menzognere, ed impiegandoci un tempo maggiore.

Per quanto concerne invece le versioni menzognere, in cui viene espresso il parere sullo stesso film, ma in disaccordo con il proprio modo di sentire, si osservò che i soggetti, a differenza delle versioni sincere:

  • fornirono motivazioni di tipo generico
  • poco specifiche e vaghe
  • e le formularono sotto forma di pareri senza elementi fattuali.

Visti i singolari risultati di questo studio, sarebbe auspicabile in futuro avere l’occasione di arricchire questo genere di ricerca, in quanto sviluppi sugli indizi verbali della menzogna potrebbero diventare un importante strumento di valutazione della credibilità in ambito giuridico-forense; già alcune nuove tecniche per l’analisi quantitativa della voce umana promettono grossi progressi a breve termine.

di Denise Isabella

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