Come curare l’Alzheimer

 

Elencati quelli che sono i trattamenti farmacologici, è possibile ora descrivere gli interventi psicosociali, definibili come strategie finalizzate a ridurre l’impatto del processo di deterioramento sul livello di autosufficienza. Questi interventi si articolano in tre passaggi:

  • il recupero;
  • il mantenimento;
  • l’ottimizzazione delle abilità residue;

E’ chiaro quindi che ogni individuo avrà delle peculiari abilità che potrebbero anche cambiare nel corso della malattia ed è pertanto necessario che i vari interventi evolvano con esse.

Tra gli interventi psicosociali che si pongono come obiettivo quello della riabilitazione cognitiva, il più diffuso  è la Reality Orientation Therapy (ROT), introdotta da Taulbee e Folsom nel 1966 come intervento di riabilitazione cognitiva in soggetti affetti da traumi cerebrali; nello specifico, era nata con l’obiettivo di riabilitare i veterani della guerra del Vietnam che avevano riportato severi disturbi del comportamento (Taulbee & Folsom, 1966). Successivamente ha trovato spazio nella cura dei soggetti anziani affetti da demenza, riscontrando un notevole successo; questo successo è dato in parte dal fatto che la ROT è una tecnica molto semplice da attuare, economica e che non richiede personale altamente specializzato.

Sono distinguibili due tipi di ROT, una ROT informale ed una formale; la prima consiste in un processo di stimolazione continuo, nell’arco delle 24 ore durante la quale tutti gli operatori e i familiari comunicano informazioni al paziente informazioni corrette sull’orientamento personale, spaziale e temporale utilizzando il contatto abituale giornaliero e non momenti precostituiti. In particolare si chiede al soggetto dove si trova, come si chiama, che giorno è oggi; quando il paziente risponde con frasi insensate, si passa alle domande essenziali, facendo notare, con tatto gli errori commessi. E’ fondamentale non creare un clima ansiogeno ma rassicurante.

La ROT formale invece, consiste in sedute giornaliere di 45 minuti, condotte in gruppi di 4-6 persone, omogenee per grado di deterioramento, durante le quali un operatore impiega una metodologia di stimolazione standardizzata, finalizzata ad orientare il paziente rispetto alla propria vita personale, all’ambiente ed allo spazio. Durante queste sedute, l’operatore (medici geriatri, ass. sociali, educatori, operatori sanitari, ecc.) utilizza tecniche di stimolazione cognitiva avvalendosi di materiale come lavagna, cartelloni, fotografie, orologi, calendari, schede stimolo, ecc.

Gli obbiettivi fondamentali della ROT sono:

  • Stimolazione della memoria
  • Dell’attenzione
  • Delle capacità linguistiche
  • Allenamento dell’orientamento spazio-temporale

La ROT è efficace in quei pazienti con un deterioramento cognitivo lieve-moderato che non presentano particolari deficit sensoriali. E’ preferibile inserire nel programma ROT pazienti che abbiamo ottenuto alla somministrazione dell’MMSE (Mini Mental State Examination) un punteggio non inferiore a 15/30. Un altro fattore discriminante per l’inserimento del paziente nel gruppo ROT è la presenza di problemi comportamentali disturbanti per il soggetto stesso e per gli altri. In genere non possono essere ammessi ai gruppi quelle persone che presentano disturbi comportamentali tali da pregiudicare la partecipazione e la collaborazione. Si escludono dai gruppi ROT in particolare i pazienti con frequenti crisi d’agitazione psico motoria, aggressività fisica e verbale, irritabilità, esaltazione e wandering[1]. Tali gruppi devono, in ogni caso, essere formati, selezionando anziani omogenei per livello cognitivo.

La prima seduta ROT inizia solitamente con una fase di introduzione: il terapista dopo aver predisposto le sedie in circolo aiuta i pazienti ad accomodarsi cercando di riservare i posti adiacenti a soggetti caratterialmente compatibili e tolleranti verso gli altri. Anche l’operatore si dispone nel cerchio ed iniziano le presentazioni.

Il terapista si presenta per nome, spiega in linea di massima cosa si andrà a fare durante la seduta. Subito dopo, introduce al gruppo ciascuno dei pazienti partecipanti, presentandolo per nome e cercando d’assegnare ad ognuno un tratto distintivo della persona al fine di agevolare il riconoscimento. Ad es.” questo è il Signor Giulio ed ha un maglione verde, ecc”. Al termine delle presentazioni, il terapista invita nuovamente i pazienti ad esporre il proprio nome uno per volta , anche l’operatore si presenta di nuovo. Subito dopo chiede a ciascun partecipante di riferire il nome del vicino di posto. In seguito si chiede ad un anziano alla volta di riferire, in modo casuale, il nome di un altro anziano nel cerchio. Tale fase serve da “ rompighiaccio” per la creazione di un clima di fiducia e familiare che diviene un vero e proprio senso di appartenenza al gruppo.

Le successive sedute di ROT  si compongono di diverse fasi: prima di tutto l’operatore sonda in via preliminare il grado di orientamento temporale di ciascun paziente, chiedendo informazioni circa il giorno della settimana, del mese, dell’anno, la stagione e l’ora in corso. Il terapista provvederà poi a dare le indicazioni circa i punti meno chiari.

Si procede poi con l’orientamento spaziale: informazioni riguardo al luogo in cui si sta svolgendo la seduta, il tipo di struttura in cui ci si trova in quel momento, il piano, la città o il paese, la regione e la nazione.

Si passa infine all’ulteriore riconoscimento e all’evocazione dei nomi di ciascun partecipante, chiedendo di riferire l’anno di nascita ed anche l’età.

In questa fase si lavora soprattutto sull’orientamento spaziale temporale e sulla memoria dei nomi.

La terza fase è quella del racconto: si cerca di suscitare interesse nei pazienti per raccontare storie di esperienze ed avvenimenti personali del passato e si tenta di coinvolgere tutti i partecipanti. L’operatore invita un paziente ad iniziare la propria narrazione mentre gli altri partecipanti vengono stimolati sia a prestare attenzione che a ricordare. A racconto terminato si chiede ai pazienti di esporre il nome del personaggio principale, il rapporto che ha con il soggetto che racconta, i nomi dei personaggi secondari ed i legami che questi hanno con l’anziano che ha narrato. In questa fase è possibile ispirarsi anche a particolari eventi storici o proverbi del giorni, sui quali si può intavolare una discussione, stimolando anche il ricordo del “com’era una volta”.

In questa fase s’intende lavorare sulla memoria, sulla fluenza e sulla comprensione del linguaggio verbale.

Ogni seduta termina con una raccolta di commenti e sensazioni dei partecipanti, domandando loro come si sono sentite e se avranno piacere a partecipare ad un altro incontro. Infine, dopo aver ringraziato per la partecipazione si conceda il gruppo dando appuntamento alla seduta successiva, ricordando luogo, giorno e ora.

[1]  Il Wandering è un sintomo comportamentale diffuso nei pazienti affetti da demenza ed è stato definito come un movimento senza scopo da alcuni e come una deambulazione solo apparentemente non orientata ad uno scopo ma in realtà non causale da altri. (http://www.alzheimer-aima.it/malato/girovagare.htm).

di Ilaria Giardini

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