Come definire gli obiettivi e vivere meglio
Articolo di Valentina Malinverni
La modernizzazione seguita alla crisi petrolifera dell’inizio degli anni Sessanta del secolo scorso, la forte concorrenza e la ristrutturazione delle organizzazioni esacerbarono i problemi dell’impiego: abolizione dei posti di lavoro, creazione di altri impieghi più qualificati. Le strategie delle imprese e la ricerca sfrenata dell’efficacia economica costrinsero la funzione del personale ad allargare il proprio campo d’azione: agire come gestore di risorse, assumere la responsabilità della comunicazione interna e sviluppare iniziative conoscitive per fornire ai vertici dell’azienda consulenze strategiche. Questi cambiamenti indicano che gli orientamenti della funzione delle risorse umane sono andati aprendosi a una maggiore autonomia e a una migliore integrazione con le strategie dell’impresa, nel senso di aver messo al servizio delle imprese e delle risorse umane efficacia e qualità. La direzione delle risorse umane andò così assumendo due tipi di autonomia:
- Un’autonomia specialistica, derivante dalla propria collocazione organizzativa separata e differenziata rispetto alla funzione amministrativa e alla line;
- Un’autonomia politica, secondo cui i responsabili del personale hanno potere diretto sulle politiche delle risorse. Dai primi anni ottanta, a seguito di numerosi lavori di ricerca sulla gestione delle risorse umane, si è assistito a una chiarificazione dei concetti che stanno alla base della cosiddetta Gestione Delle Risorse
Umane. Secondo tali precisazioni, l’organizzazione è un insieme razionale, aperto al proprio ambiente e dinamico, al cui interno la gestione delle R.U ha assunto una nuova logica d’azione. Per gestire il personale, bisogna, da una parte, mettere in atto delle procedure coerenti con l’organizzazione stessa, dall’altra, praticare una segmentazione secondo le differenti categorie dei dipendenti. L’apparizione stessa del termine è legata al periodo in cui si è creduto che la garanzia di un buon sviluppo dell’impresa fosse dovuto a regole coerenti, chiaramente sperimentate e veramente innestate sui processi di presa delle decisioni.
Negli Stati Uniti, la Direzione per obiettivi (DPO o Management by Objectives, MBO), creata da Peter Drucker5, è l’illustrazione chiara di questo approccio. Esso costituisce
Un processo sistematico mediante il quale capi e collaboratori identificano ciclicamente aree di responsabilità, i conseguenti obiettivi gestionali, le risorse disponibili o reperibili, gli indicatori di misura, il grado di avanzamento delle attività nel tempo e il raggiungimento finale dei risultati attesi; il tutto stimolato da meccanismi premianti stabiliti preventivamente. L’intento è quello di spostare il controllo da parte della gerarchia dalla supervisione delle attività svolte ai risultati finali conseguiti e di stimolare l’autocontrollo e l’assunzione di responsabilità individuali.6
L’uomo non è cambiato dopo Taylor; è sempre motivato dalla remunerazione e dal lavoro ben fatto. Ma se a tutto ciò si aggiunge una buona ed efficace comunicazione si ottiene un insieme di persone gestibili in maniera globale. Si può prendere come esempio l’elaborazione dei progetti di formazione che, invece di essere legati agli schemi adatti a tutti e a ciascuno, hanno incominciato ad associare la domanda di formazione alla strategia e, nello stesso tempo, a dare un senso all’iniziativa e alle spese. Parallelamente a questa nuova razionalità, sono andate sviluppandosi anche pratiche di segmentazione. Se l’impresa deve adattarsi incessantemente al suo ambiente esterno, bisogna che essa impari a farlo anche dall’interno. Dunque non è possibile gestire nello stesso modo i quadri e i non quadri, i giovani e i meno giovani, i commerciali e gli amministrativi. Una gestione differenziata del personale è il riflesso di una concezione aperta dell’organizzazione, vicina ai suoi membri, come pure attenta al mercato e alla concorrenza. Nel realizzare la direzione per obiettivi, la direzione delle risorse umane deve tener presente vari aspetti:
- La definizione degli obiettivi critici dell’attività concreta da svolgere per realizzarli;
- La precisazione dei risultati sia quantitativi che qualitativi e dei relativi criteri di misurazione e valutazione;
- La modalità e come gli obiettivi propri dei ruoli individuali contribuiscono agli obiettivi dell’organizzazione;
- La relazione tra il conseguimento degli obiettivi e sistemi di compenso economico;
- Le esigenze e le modalità adeguate per l’introduzione e lo sviluppo di una direzione per obiettivi.
Ma il responsabile della gestione delle risorse umane potrà realizzare la Direzione per obiettivi se l’organizzazione nel suo complesso glielo consentirà. E’ lo spirito dell’organizzazione che determina se egli lo farà, che motiva e sollecita le riserve di dedizione e di sforzo di un uomo che è intenzionato a dare il meglio di sé. In pratica, si può imporre ai lavoratori il Management by Objectives oppure si può discutere e negoziare con loro gli obiettivi e i piani nell’ambito di una direzione aziendale che utilizza uno stile partecipativo7. Il vantaggio lampante di questo metodo è che i responsabili delle R.U. e i lavoratori sanno in anticipo ciò che ci si aspetta da loro; lo svantaggio consiste, invece, nel fatto che spesso gli esiti previsti non risultano completamente sotto il controllo dei lavoratori.
La direzione per obiettivi è stata adottata da molte imprese. Essa ha rappresentato un sistema di gestione volto a collegare gli obiettivi organizzativi con le prestazioni individuali dei lavoratori. Richiede un’approfondita specificazione degli obiettivi, la partecipazione dei singoli dirigenti nel delineare in comune accordo tali obiettivi, la precisazione dei criteri condivisi di giudizio sulle prestazioni, la verifica dei risultati ottenuti. Questo metodo implica anche che i dipendenti non dovrebbero ricevere istruzioni troppo dettagliate e rigide su come svolgere il loro lavoro; sarebbe infatti sufficiente il loro consenso su una serie di compiti e sui risultati da conseguire. Entro i limiti dell’accordo comune e delle politiche aziendali condivise, i lavoratori dovrebbero avere la libertà di scegliere i modi con cui raggiungere gli obiettivi previsti. Dunque, per essere efficace, la direzione per obiettivi e il manager delle risorse umane prevedono uno stile manageriale partecipativo che metta in secondo piano le tradizionali modalità di comando e di controllo; in questo modo si possono migliorare le motivazioni dei lavoratori attraverso un collegamento più stretto della prestazione lavorativa al sistema premiante e all’avanzamento di carriera mediante il riconoscimento del contributo individuale al conseguimento degli scopi dell’organizzazione. I limiti principali di questo metodo sono:
- Si concentra sugli individui piuttosto che sui team;
- Nell’imporre gli obiettivi ai lavoratori può compiere degli abusi;
Può trovare difficoltà nel definire, in termini di obiettivi, alcuni lavori, soprattutto per quelli per i quali è più complesso stabilire criteri per la prestazione, come per esempio nel counselling;
A partire da metà degli anni’90 del secolo scorso, l’idea di valorizzare il potenziale umano e di incrementare lo sviluppo è andato sempre più sviluppandosi nel mondo industriale. La business idea ha assunto in sé la human resource idea. Il punto di partenza è stata la convinzione che nelle organizzazioni esistono giacimenti di risorse interne largamente sottosviluppate. Si è discusso pertanto, sul concetto dinamico del potenziale umano, sulla necessità di riconoscere che i dipendenti sanno assumere la responsabilità di nuove attività, sorgente di vantaggi economicamente concorrenziali. Il potenziale umano, variabile strategica primaria, comprende sia le risorse fisiche, tecnologiche, finanziarie e umane che un dipendente può mobilitare, ma anche la capacità come i saperi, le conoscenze, l’acquisizione delle competenze, l’abilità di metterla in opera, le iniziative volte a realizzare dei compiti più complessi atti a promuovere la presa di responsabilità, la partecipazione attiva ad azioni di commercializzazione, di informazione. Le vere sorgenti concorrenziali comprendono dunque le competenze e la qualificazione, caratteristiche che sono difficilmente trasferibili all’esterno del contesto in cui si sono formate. Non è sufficiente riuscire a gestire bene il personale, bisogna saper mobilitare le sue energie e svilupparne il coinvolgimento. Allora l’espressione stessa gestione delle risorse umane, ha assunto un significato preciso e ha acquisito un certo successo, andando ad aggiungersi ad altre nozioni quali la cultura, i valori, i progetti, la vision. Così essa è andata dotandosi di un nuovo elemento: lo sviluppo sociale e logico del progetto, comprendente la formazione al management, il progetto d’impresa, lo sviluppo delle pratiche partecipative, la nuova logica delle competenze nelle organizzazioni. Il tema del cambiamento diviene prioritario, centrale, cosa che dimostra che la concezione dell’organizzazione come sistema aperto è accettata senza discussioni. La funzione del personale è focalizzata sulle pratiche strategiche, direzionali, e operative ed è integrata nei massimi livelli decisionali dell’impresa. Essa partecipa al processo di programmazione aziendale, si colloca in una posizione proattiva e di anticipazione finalizzata a rimuovere vincoli e a sviluppare opportunità tanto per l’azienda quanto per i dipendenti.
Lo scopo dell’intervento della GRU conduce ad un processo creativo di transfert delle conoscenze, atto a rendere i dipendenti sempre più capaci di ideare, di acquisire e di trasferire le conoscenze mediante le norme organizzative. Il potere dei quadri superiori dipende principalmente dalle loro conoscenze e competenze, come pure dalla loro capacità di riflettere sul valore delle proprie attività professionali. Si tratta di un’attività d’introspezione, generalmente poco sviluppata nelle organizzazioni, la quale può essere appresa e dei comportamenti che conducono le persone a interrogarsi sulle azioni che esse hanno sul rendimento economico e sociale dell’impresa. Lo sviluppo dell’introspezione contribuisce ad accrescere la visibilità dell’organizzazione.
Negli Stati Uniti il movimento denominato KNOWLEDGE management sta sempre più sviluppando l’idea che i lavoratori altamente qualificati (knowledge workers) devono essere considerati elementi fondamentali dell’organizzazione. Anche in Europa, si parla sempre più di una nuova produttività dovuta ai saperi e alle conoscenze. Sulla base di queste nuove linee, il lavoro si arricchisce sempre di nuovi aspetti e i responsabili delle risorse umane cercano di introdurre modifiche per gestire il management dei saperi e per sviluppare le capacità di ideazione dei salariati dell’impresa, per il fatto che sono consapevoli che tali capacità si sviluppano a partire dalle esperienze professionali quotidiane e si manifestano nella proposta di principi d’azione efficaci e adatti a essere realizzati quando si verifica un dato avvenimento. Questi atti di gestione concettuali possono costituire considerevoli leve d’intervento, perché provengono dalle conoscenze acquisite, verificate e realizzate regolarmente dai lavoratori. In questa logica di diffusione delle conoscenze nelle organizzazioni appare fondamentale che i dipendenti usufruiscano sia di conoscenze tacite ed esplicite.
Le prime si acquisiscono mediante apprendimenti informali e la socializzazione degli individui nei gruppi; possono essere oggetto di formalizzazione che permetterà di oggettivarle e diffonderle. Le conoscenze esplicite, invece, possono essere interiorizzate dai dipendenti che le condivideranno in seno al loro gruppo di appartenenza.
Le nuove iniziative introdotte dalla GRU promuovono la soluzione dei problemi nel gruppo a partire dall’equipe di lavoro; si parla in questo caso di comunità di apprendimento, in cui le persone si sentono reciprocamente coinvolte nel condividere e sperimentare una cultura dell’apprendimento e dove si cerca di lavorare valorizzando la condivisione delle conoscenze acquisite.
Lo scopo di questo approccio di management dei saperi è di coinvolgere ogni persona affinché possa esprimere le proprie percezioni relativamente alla propria attività di lavoro, alle proprie conoscenze o ancora alla propria posizione nell’impresa. Appare quindi essenziale che l’attore prenda coscienza dei problemi e delle sfide che incontra. Insomma l’evoluzione della concezione della GRU partecipa all’evoluzione e alla ristrutturazione delle organizzazioni. Lo sviluppo organizzativo si articola intorno ai seguenti punti: i principi organizzativi devono fondarsi sull’autonomia e sulla responsabilità delle equipe di lavoro, l’arricchimento del lavoro umano va attuato mediante il ricorso ad iniziative di formazione, di nuove conoscenze e di maggiore polivalenza, lo sviluppo della strategia deve portare a mettere a punto regole sociali e strumenti di gestione delle competenze; vanno valorizzati maggiormente i dispositivi di comunicazione e di miglioramento della qualità del dialogo professionale mediante incontri di valutazione.
Scrivi a Igor Vitale