Come i sintomi si trasmettono di generazione in generazione secondo Freud

La trasmissione dei sintomi attraverso le generazioni

“C’è, tra me e il mondo,
una nebbia che impedisce che io veda le cose come veramente sono –
come sono per gli altri
.”

F. Pessoa, Una sola moltitudine (1987, p.68)

La filiazione è il rapporto di parentela e dipendenza che intercorre tra genitori e figli. L’individuo è un entità biologica, psicosociale e il suo comportamento deriva sia da sé stesso che dalle regole del sistema familiare (Nagy, 1988).  Il figlio soggetto dell’eredità delirante il più delle volte è quello dello stesso sesso e con cui il genitore intrattiene una relazione privilegiata con i pro e i contro che questo concerne. Il delirio provoca nella psiche del bambino, confusione tra vita e  la morte, generata dal fatto che la nascita di un bambino e quindi “la vita” è portatrice di morte e follia che minaccia il genitore. La confusione riguarda anche le interpretazioni causali della sofferenza, che esercitano terrorismo e devastano a causa della dimensione proiettiva (Enriquez, 1993). Tale disordine è rintracciabile anche sul piano del legame filiale in termini di simbolico e filiazione omosessuale a causa della tendenza a valorizzare lo stesso. In un ambiente nevrotico normale il bambino riesce a modificare, reinterpretare disidealizzando il genitore, mettendo in gioco l’aggressività ma anche il riconoscimento di debito (Enriquez, 1993). Al contrario il figlio dello psicotico, dovrà compiere una rottura radicale dalle identificazioni genitoriali, operando una cancellazione, una mutilazione, un rigetto, utilizzando il diniego al servizio della pulsione di morte del genitore (nel senso di mettere a morte delle rappresentazioni) per fronteggiare la pulsione di morte del genitore, espressione della sua teoria delirante. La distruzione acquista valenza positiva: “distruggere il pensiero dell’altro per pensare se stessi”, l’importante è fermarsi in tempo. Tale distruzione ha però un effetto mutilante per se stessi e per il futuro desiderio di procreazione, che mette in rapporto il soggetto al proprio desiderio di sapere (Enriquez, 1993).

 

Perché una psicosi si scateni (déclassement) si smantelli, si slatentizzi sono necessarie due condizioni: il soggetto dev’essere strutturalmente leso e narcisisticamente nella propria costituzione originale che ha radici antiche. Questa lesione non è sufficiente per lo scatenamento della psicosi. Questa lesione viene definita forclusione e di per sé non scatena la psicosi. Questo buco è rammendato da compensazioni, ossia originarie identificazioni rigide di tipo speculare, legami di coppia particolarmente intensi, che tengono chiusa la lesione (Recalcati, 2013). La psicosi si scatena quando si disfa il rammendo quando il soggetto incontra sul suo percorso esistenziale un padre, un elemento che non appartiene alla coppia ma che si introduce separando la coppia, separando il soggetto dal suo appoggio anaclitico (caso di Shreder). “Un terzo” può essere anche la nascita di un figlio, che spacca l’unità immaginaria della coppia. Congiuntura di scatenamento della psicosi è lo sfaldamento di un legame immaginario a partire dall’irruzione traumatica di un padre inteso come terzo (Recalcati, 2013).

Nel 1955 e il 1956 durante il seminario “le psicosi” Lacan tratta il tema della “voce”. La voce intesa come registro di significati che si esprime attraverso “il nome del padre”. Il fenomeno che più mette in luce la psicosi e il modo in cui essa si struttura è l’allucinazione verbale. La voce è intesa come un evento appartenente al campo del reale. Lacan sostiene che ciò che è rifiutato nell’ordine del simbolico risorga nel reale, operando un corto circuito fra il fenomeno dell’allucinazione e la modalità di negazione (freudiana) che prende il nome di forclusione (Lacan, 1955). Quest’ultimo sostiene che il soggetto nel rapporto con l’altro è un buco nel simbolico, sempre in difetto. L’ordine del linguaggio è privo di senso e violento. Ciò porta il soggetto nella posizione d’oggetto post-simbolico. La psicosi diviene il luogo indicibile all’interno della struttura simbolica in cui desiderio del soggetto si realizza sotto forma di scarto e d’oggetto parziale (Lacan, 1955).

La psicosi occupa un posto tra il registro del simbolico e il registro del reale.

«Se c’è qualcosa che deve distinguere il punto di vista dell’analista, questo qualcosa è forse il chiedersi, a proposito di un’allucinazione verbale, se il soggetto sente poco, o molto, o se la cosa è molto forte, o se esplode, o se è proprio con l’orecchio che lui sente, o se è dall’interno, o se è dal cuore, o dal ventre?» (Freud, 1924,p.11-15).

La questione in gioco nella psicosi verbale è quella dell’accesso primordiale dell’essere umano alla sua realtà, un reale che non presenta i caratteri coadattivi della nozione di “mondo-ambiente” (Umwelt) propria degli animali (Lacan, 1955).  Mancando dell’abito istintuale che lo porrebbe in un rapporto immediato con la natura, l’uomo è pre-determinato dalla “presa” che su di lui effettua il linguaggio. Ciò che lo caratterizza come ente è proprio l’apertura di senso posta in essere attraverso la mediazione linguistica (Rasini, Mimesis, Milano, 2010). Il registro del reale ha luogo attraverso la simbolizzazione originaria, in cui la realtà è contrassegnata dall’annullamento simbolico. Lacan (1955) utilizza la metafora del giorno e la notte, il giorno ha la connotazione simbolica della presenza del vocale e la notte dell’assenza (Lacan, 1955). Nella psicosi verbale il vocale emerge nel reale, non restando “oggetto sotteso al campo simbolico con il ruolo di garante di quella dialettica presenza e assenza che caratterizza il registro simbolico (Lacan, 1955). Nella psicosi il vocale si distacca dal simbolico intrudendo nel reale e arrestando il soggetto intorno all’insistenza a-dialettica della domanda “Che cosa sono? Sono?”. “La cosa” modo in cui Lacan definisce l’oggetto del godimento che rappresenta la causa del desiderio è un oggetto fittizio per cui la realtà è sottesa a tale desiderio e quindi è allucinata. In quest’ottica la voce assume una funzione importante, perché attraverso essa scorre il flusso di significati dal campo dell’Altro. L’interesse di Lacan si concentra sull’articolazione del desiderio del soggetto e come tale desiderio nel campo dell’ Altro possa venir meno, caratterizzando la psicosi. «Che cos’è il fenomeno psicotico? È l’emergenza nella realtà di un significato enorme che sembra nulla – e questo, in quanto non può ricollegarsi a nulla, poiché non è mai entrato nel sistema della simbolizzazione – ma che può, in certe condizioni, minacciare tutto l’edificio […] È chiaro che ciò che appare, appare nel registro del significato, e un significato che non viene da nessuna parte, e che non rinvia a nulla, ma un significato essenziale, che riguarda il soggetto» (Lacan, 1955, p.101-102). Quest’accordo tra l’essere del soggetto e l’altro è assicurato dal significante “Padre”.  Come detto in precedenza la psicosi si scatena quando si disfa il rammendo quando il soggetto incontra sul suo percorso esistenziale un padre, un elemento che non appartiene alla coppia ma che si introduce separando la coppia, separando il soggetto dal suo appoggio anaclitico (Lacan, 1955). Questo elemento terzo può corrispondere alla nascita del figlio poiché la continuità storica del genitore psicotico subisce una catastrofica frattura ed uno sconvolgimento libidico oltre che identificatorio alla nascita di un figlio dello stesso sesso. «L’incontro con la paternità si realizza nell’espressione proiettiva di un desiderio di morte nei riguardi del bambino e nell’emergere di una minaccia di morte per il padre che emana una potenza paterna primitiva, che interdisce ogni successione genitoriale» (Enriquez, 1993, p.109). Una situazione traumatizzante come l’incontro con la psicosi genitoriale, impone al bambino una violenza ed una sofferenza che esigono uno sforzo d’interpretazione non sempre facile da sostenere (Enriquez, 1993). I malati mentali fanno un torto irreparabile ai loro figli. Molta sofferenza psichica origina dalla trasmissione interpsichica e si connette “all’introiezione non libera e non intenzionale”, spesso subita passivamente e forzosamente, di messaggi pulsionali grezzi e primitivi e di ordini ipnotici inconsci per nulla favorevoli alla salute mentale e all’evoluzione della persona (Ferenczi, 1909). Il trauma colpisce la strutturazione dell’Io ferendolo narcisisticamente, ma il fattore davvero traumatico per Ferenczi (1909) è il diniego genitoriale, creando un danno affettivo e cognitivo “nell’amore di sé e nella fiducia in se stessi”, causando “mortificazione narcisistica” (Ferenczi, 1909). La fase acuta in cui il genitore sragiona , comporta effetti patogeni minori rispetto ai contatti continui e ai legami affettivi che si stabiliscono secondariamente. Questi legami generano identificazioni ed una confusione delle lingue che segue la creazione di scenari fantasmatici. Le parole del genitore delirante veicolano in modo latente i temi deliranti (Ferenczi, 1909). Il genitore psicotico delirante evoca nel bambino confusioni spaventose che si cristallizzano, poiché intrude nella sua mente imponendogli delle rappresentazioni aberranti  conseguenti ai pensieri deliranti genitoriali che il bambino non è in grado di giudicare. È necessario comprendere quale sia il ruolo ricoperto dal bambino in queste storie e i suoi sentimenti. Il bambino tratta ciò che è d’un altro come se gli appartenesse divenendo colui che ha reso folle il genitore e questo ruolo che lo situa in uno stato di confusione, grava su di lui attraverso il senso di colpa che lo porterà a sacrificare la propria vita fisica e mentale per espiare tale peccato (Enriquez, 1993). Tale condizione può anche suscitare un’inconscia megalomania, che porta il figlio a ricercare potere mascherandolo con la sottomissione, impiegando il proprio narcisismo nel masochismo che affonda le sue radici nel senso  di colpa. Il bambino vive il lutto e l’angoscia non rappresentabili non significabili in quanto intuizioni. Tutti questi messaggi che assalgono il figlio e per cui lui non possiede nessun codice per decodificarli si configurano come significati enigmatici, lo obbligano a formarsi delle teorie per significare i rapporti genitoriali, la differenza tra i sessi, la nascita, e la morte (Enriquez, 1993). Più i genitori sono persecutori, malvagi e folli più il figlio li idealizza in forma negativa, più si tramuta in un neonato sapiente per proteggersi dalle loro proiezioni.

«Nella costituzione di quella prima produzione psichica che è il romanzo familiare, si associano e si condensano tre operazioni mentali: il giudizio, l’attività fantasmatica e la pulsione di sapere. Il romanzo familiare può essere visto come il modello della creazione romanzesca e testimonia i benefici di una certa illusione, quella che ricorre al teatro per esprimere i miti eterni che mascherano, per meglio farla risaltare, la verità nascosta» (de Mijolla, 1985, p.112). La pulsione di sapere è una deduzione è una sublimazione dell’appropriazione, che troverà appagamento nel pensiero sadico. La pulsione di sapere può divenire oggetto di una massiccia rimozione che porterà paradossalmente ad un disinteresse verso il sapere, sapere legato alle origini, alla nascita alla vita. Quando il bambino si scontra precocemente col delirio genitoriale viene messo di fronte ad una teoria sull’origine che in quanto delirante contraddice i legami simbolici di parentela e i desideri di trasmissione (Enriquez, 1993). Il discorso circolante risveglia in un membro della stessa famiglia ma d’un’altra generazione un desiderio d’uccisione nei confronti del bambino e del genitore in quanto tale (Enriquez, 1993). La proiezione dell’odio genitoriale diviene persecutoria per il figlio che anche nei casi in cui non si trova coinvolto psichicamente sente la sofferenza psicotica e scaturiscono in lui interrogativi non chiarificabili. Il campo e quest’atmosfera di significati insignificabili a carattere derealizzante puntano il dito verso un colpevole : il figlio. Nel caso di un bambino figlio d’una madre affetta da depressione conseguente un lutto viene a mancare il piacere nella relazione madre-bambino e nello scambio comunicativo tra i due, la conseguenza è una perdita di senso (Enriquez, 1993). La confusione di senso ha degli effetti traumatici non indifferenti poiché il figlio diviene oggetto di disinvestimento affettivo. Nel caso specifico della depressione materna il senso può essere ritrovato e la mutilazione affettiva può essere colmata e rinvestita. André Green (1980) afferma che: «la ricerca del senso perduto struttura lo sviluppo precoce delle capacità fantasmatiche e intellettuali dell’Io» (André Green, 1980). Per il figlio del genitore psicotico invece la comunicazione e il piacere nella relazione madre-bambino non è mai avvenuta. Il bambino è stato da subito intrappolato, incistato nella proiezione genitoriale divenendo oggetto del suo sovrainvestimento che lo vede destinatario del messaggio delirante (Enriquez, 1993). Tale folle rappresentazione delle origini possiede carattere persecutorio non legato solo al contenuto ma soprattutto alla sua presenza, da cui non ci si può sottrarre. Il destinatario del delirio tenderà di svincolarsi da tali proiezioni genitoriali per riuscire a strutturare la propria capacità d’immaginare, di giudicare e di pensare (Enriquez, 1993). Nella trasmissione del delirio il bambino occupa una posizione di “doppio narcisistico” portatore di morte e contemporaneamente sostegno di questo fantasma immortale che vive nell’atemporalità. Il bambino diviene un pericolo per il genitore, incarnando il non riconosciuto, il diverso radicale, il riattivatore del desiderio di morte che aveva avuto come oggetto i propri genitori. Lo psicotico cosa vuole uccidere nel figlio? Ciò che vuole uccidere in lui è il suo potere di trasmettere, la vita e un nome. In precedenza abbiamo sottolineato la predilezione del delirante per il figlio dello stesso sesso a causa d’una mobilitazione patogena delle pulsioni omosessuali riguardanti la filiazione (Enriquez, 1993).

«L’omosessualità del bambino, eccitata e investita dal genitore in un tale contesto, potrà trovare la propria modalità d’espressione in un’omosessualità manifesta e realizzare così un compromesso che risolve parzialmente la problematica insolubile della successione delle generazioni» (Enriquez, 1993, p.118). Le ricerche sul caso ci forniscono dati riguardo le sterilità psicogene o le malattie somatiche riguardanti la procreazione. Tali disturbi divengono l’espressione dell’omosessualità assegnata dal genitore come un compito, oppure all’inverso può manifestarsi attraverso un folle desiderio di procreazione.

Il Caso di Pierre che troviamo nel testo “ trasmissione della vita psichica tra generazioni” (Kaes, Faimberg,Enriques e Baranes, 1993) è la storia di un ragazzo sterile in ogni ambito della sua vita, intellettualmente, affettivamente e sessualmente. Pierre giunge in terapia proprio a causa della sua sterilità poiché vuole rovesciare la medaglia. Ha un figlio di dieci anni che ha avuto con l’attuale moglie con cui è sposato da dodici anni. Il figlio provoca in lui inquietudine a causa della sua spiccata femminilità, oltre al desiderio esplicito d’essere una donna. Il ragazzino ha rischiato la morte alla nascita a causa d’un incompatibilità sanguigna con i genitori colpa che il padre si è addossato. Dopo il primo figlio i rapporti tra Pierre e sua moglie rimangono sterili nonostante i vari controlli provino il contrario.

Pierre presenta un sintomo semi-delirante ossia la paura folle e angosciante d’esser scambiato per Ebreo a causa del suo cognome dalla consonanza alsaziano-tedesca, tale paura suscita in lui sentimenti d’inferiorità e nullità, nonostante lui ne riconosca l’assurdità. Il motivo di tale paura è legato alla morte del padre, che il nonno affermava fosse morto “ da ebreo” intendendo con tale espressione una morte ignobile, ma Pierre è consapevole del fatto che l’ignobiltà sta nella morte causata agli Ebrei nei campi di concentramento e non il contrario. Il padre di Pierre è morto nei campi di concentramento per errore, davanti ai suoi figli e alla moglie, poiché era impegnato nella Resistenza, cosa che la moglie giudicava con ostilità. Pierre e i suoi fratelli andarono a vivere con i nonni paterni, dagli ideali filotedeschi e antisemiti, giudicando così il loro figlio come un traditore, un comunista, un Ebreo. Il nonno di Pierre subisce una ferita narcisistica attorno cui costruisce il suo delirio per spiegare la morte del figlio: « Mio figlio è morto perché lo si è confuso con un Ebreo, ma lui stesso entrando nella Resistenza, rinnegava suo padre e si identificava come Ebreo e in fondo ogni Ebreo merita la morte» (Kaes, Faimberg,Enriques e Baranes, 1993, p.170). Si palesa in questo caso l’odio che ogni genitore paranoico nutre verso i propri figli. Il figlio di Pierre gli rimanda l’idea inferiorizzante dell’essere Ebreo che viene assimilato alla donna inteso come un sotto-uomo, ciò lo spinge a recarsi in analisi. Pierre è in conflitto tra il non volersi identificare con l’imago parentale, ossia un uomo che abbandona i propri figli e il non volersi identificare con il nonno e la sua visione filo nazista. Ma se Pierre si riconoscesse come figlio di suo padre rinnegherebbe suo nonno che si è occupato di lui e lo ha eletto il preferito tra i nipoti. «È quindi obbligato ad operare una rottura nella successione delle generazioni. Esiste per lui un’incompatibilità tra padre e figlio, che è ben più di un incompatibilità sanguinea e si vede chiaramente come la realtà reale o supposta, dell’incidente dell’incompatibilità sanguigna tra lui e sua moglie è venuta in soccorso della teoria delirante del nonno e dell’impatto che questa aveva lasciato psichicamente su Pierre, al punto di fare di lui un uomo sterile, il che era un modo mutilante, ma economico, di risolvere il suo conflitto» (Kaes, Faimberg,Enriques e Baranes, 1993, p.171).

«Testimone, complice obbligato al segreto, protettore, terapeuta colpevole, detentore di un potere di vita o di morte, depositario delle identificazioni proiettive del genitore da cui diventa così inseparabile, investimento narcisistico omosessuale: sono altrettante posizioni identificatorie di cui il bambino si trova prigioniero e che possono solo contribuire ad aggravare la confusione delle lingue tra il bambino e l’adulto e, come nella torre di Babele, distruggere ogni possibilità di comunicazione» (Enriquez, 1993, p.119). Il figlio consapevole della psicosi genitoriale che giunge in terapia  manifesta il desiderio di conoscere le cause e la storia di tale disturbo che nasconde agli altri dato la sofferenza che suscita. La psicosi del genitore è un argomento spaventoso e affascinante allo stesso tempo, da conoscere, da controllare e da distruggere (Enriquez, 1993).

Quando invece il soggetto ignora tale psicosi o la nega o è un segreto familiare di cui non può esser proferita parola, il desiderio di conoscere il proprio passato e la propria storia è mascherato dal diniego in cui si fanno strada i meccanismi proiettivi. Il diniego aumenta il rischio d’ereditare la psicosi incidendo sull’attività psichica, sulla capacità di sognare ed investire sul proprio futuro.

La reazione terapeutica può essere anche di tipo negativo e ciò è correlato al tentativo terapeutico compiuto dal bambino nei confronti del genitore. Preservare questa sofferenza significa conservare un’ultima traccia dell’introiezione e dell’identificazione con tale genitore che è stato “onnipotenza e onnisofferenza” (Searles, 1981).

«Un viaggiatore senza bagaglio» e con un «atroce sentimento di disperazione» (come afferma Catherine paziente di Enriquez, 1993, p.132) ma tale sentimento correlato alla violenza infanticida del genitore possono essere lavorate, riflettute, interpretate, nella storia dei genitori stessi e poi integrate in quella del soggetto (Enriquez, 1993). Cos’è la psicosi se non un tentativo di guarire dalla sofferenza, è un tentativo di d’attribuzione di significati lì dove non vi è alcun senso.

 

 

 

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