Come migliorare la relazione medico-paziente: tecniche e consigli pratici

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PSICOLOGIA DEL RAPPORTO MEDICO-PAZIENTE

 

Il colloquio medico-paziente è un aspetto molto importante della consultazione medica.

Questa consente di stabilire e mantenere la relazione medico-paziente ed è essenziale per condurre una accurata raccolta di dati, indispensabile prerequisito per la formulazione di una diagnosi corretta.

La consultazione medica è strutturata in fasi:

  • esplorazione delle ragioni dell’incontro;
  • raccolta dei dati amnestici ed obiettivi;
  • presentazione di soluzioni.

Le abilità richieste nella conduzione di un colloquio medico sono di due tipi:

  • abilità interpersonali (abilità attraverso le quali il medico stabilisce un rapporto di fiducia e di accettazione con il paziente):
  • aspetti non verbali del colloquio (vicinanza, ascolto attivo, reattività, distensione nella postura);
  • facilitazione (assicurano al paziente la possibilità di esprimersi anche emotivamente);
  • riflessione sulle proprie emozioni (rendere esplicite le emozioni, rientrano nelle abilità di metacomunicazione e vengono usate per stabilire la comunicazione in presenza di forti meccanismi di difesa);
  • rassicurazione ed autorivelazione (abilità di rilevare informazioni sui dati personali del medico per dare fiducia al paziente).
  • capacità di comunicare efficacemente (è necessaria per promuovere la trasmissione di informazioni tra medico e paziente):
  • porre domande appropriate (domande aperte che lasciano il paziente libero di narrare esperienze emozioni, paure);
  • fornire informazioni in maniera efficace (questa abilità si riferisce ad aspetti emotivi e cognitivibdella trasmissione di informazioni da medico a paziente, inoltre è necessario l’uso da parte del medico di un linguaggio semplice e di frasi brevi);
  • strutturare il colloquio.

Schoulten propose una strutturazione in fasi della consultazione medica, così suddivisa:

  • esplorazione delle ragioni dell’incontro: il paziente descrive i sintomi ed il medico indaga sulle emozioni e pone domande in ,merito ai fattori che influenzano il problema. In questa fase il paziente esprime le sue paure, le sue ansie e le sue aspettative di aiuto e chiarimenti. L’atteggiamento da parte del medico non è direttivo, ma esplorativo; l’indagine è svolta con domande aperte che lasciano all’altro la possibilità di esprimersi liberamente.
  • Raccolta dei dati amnestici e dei dati obiettivi: in questa fase vengono poste al paziente domande che riflettono la classica strategia dell’indagine medica, che deriva dal processo di ragionamento clinico. Le domande consentono di raccogliere le informazioni necessarie alla formulazione di ipotesi e alla soluzione del problema diagnostico.
  • Presentazione di soluzioni: durante questa fase il medico fornisce informazioni sul suo processo di ragionamento, vale a dire, su quelle che ritiene siano le cause del problema, lo stato del problema e la prognosi. Inoltre il medico esplora le reazioni emotive del paziente per poter decidere se sono implicitamente richieste informazioni aggiuntive. In sintesi lo scopo di questa fase è fornire proposte di gestione del problema ed esplorare le reazioni del paziente alle stesse.

 

I LIVELLO: Aspetti pragmatici della comunicazione umana nel rapporto medico-paziente.

Ogni medico, prima ancora di curare un paziente, deve entrare in comunicazione con lui, è dunque importante che il medico sia a conoscenza di alcune nozioni e tecniche della comunicazione.

La comunicazione è “l’utilizzazione di un codice onde trasmettere un messaggio” da una persona ad un’altra.

L’emissione di un messaggio informa il ricevente che è stata compiuta una scelta tra le possibili. Questo vuol dire che l’informazione non è data dal messaggio che la veicola, ma dal rapporto tra questo ed i messaggi che si sarebbero potuti produrre.

Elementi essenziali perché si attui una comunicazione sono l’esistenza di:

  • una sorgente;
  • un codificatore/trasmettitore;
  • un codice;
  • un canale;
  • un decodificatore;
  • un ricevente.

Per codice intendiamo l’insieme di segni che permette di effettuare l’operazione di traduzione di un discorso (messaggio) nella forma più adatta ad essere trasmessa in un canale e, quindi, di rappresentare una cosa mediante un’altra, un segno mediante un altro.

Ogni comunicazione può essere studiata a tre livelli fondamentali (Watzlawich, 1971):

  • sintattico: problemi relativi alla trasmissione dell’informazione, si interessa dei problemi di codificazione, dei canali, del rumore;
  • semantico: si interessa del processo di significazione dei segni;
  • pragmatico: si riferisce agli aspetti comportamentali del processo comunicativo, dove per comportamento intendiamo tutte quelle attività di un organismo vivente che possono essere osservate da una persona o rilevate dagli strumenti di uno sperimentatore.

La causalità nei rapporti comunicativi non si muove secondo un andamento lineare, bensì circolare, e in un sistema con interazioni circolari è importante il concetto di feed-back.

Questo corrisponde a quella quota di informazione che, uscita dal sistema, vi viene reintrodotta per controllarne il funzionamento.

Il feed-back può essere positivo, se tende a perpetuare l’evoluzione del sistema in quella direzione, o negativo se tende a fermare l’evoluzione stessa.

L’acquisizione del saper parlare e riflettere sulla comunicazione non rientra nella comunicazione stessa, ma in ciò che definiamo metacomunicazione.

E’ attraverso la metacomunicazione che si possono ricavare le regole che strutturano una determinata relazione attraverso la ridondanza osservata di sequenze comportamentali ripetute.

Uno dei più grandi teorici della comunicazione fu Watzlawich, il quale propose cinque assiomi fondamentali alla base della comunicazione:

  • il primo assioma della comunicazione afferma che non si può non comportarsi, ovvero non si può non comunicare;
  • il secondo assioma afferma che esistono in ogni comunicazione due livelli, uno di contenuto e uno di relazione. Il livello di contenuto racchiude la notizia in sé, quello di relazione definisce il rapporto esistente tra i soggetti in questione e spesso è inconsapevole;
  • il terzo assioma della comunicazione afferma che la natura di un arelazione dipende dalla punteggiatura delle sequenze di comunicazione tra i comunicanti. Tale punteggiatura il più delle volte è imposta arbitrariamente dall’osservatore e questo provoca divergenze tra gli attori della comunicazione;
  • il quarto assioma afferma che gli esseri umani comunicano sia in modo analogico che in modo numerico. La comunicazione numerica ha come esempio classico il linguaggio articolato, con le sue caratteristiche di simbolismo, arbitrarietà e astrattezza;
  • infine, il quinto assioma afferma che le relazioni degli individui possono essere simmetriche o complementari. Tipico di quelle simmetriche è il comportamento similare dei soggetti in relazione e questo provoca spesso un aumento di tensione nel sistema relazionale.

 

II LIVELLO: Il rapporto empatico, la disposizione all’ascolto e l’accettazione incondizionata.

L’approccio rogersiano al rapporto medico/paziente è stato introdotto nel corso della pragmatica della comunicazione, ed ai suoi assiomi che compongono le abilità di base si è applicata un’analisi transizionale.

Esso è stato scelto proprio perché si limita a porre l’accento su quanto avviene tra medico e paziente, come relazioni di incontro, senza le caratteristiche deterministiche proprie dell’approccio psicodinamico.

Questo rapporto è stato paragonato a quello di un genitore che si prende cura di un figlio pur non approvando il suo comportamento.

Con il metodo umanistico di Rogers si è voluto sviluppare la capacità di trattare con il paziente ed individuare problemi che emergono dalla relazione al di fuori di ogni aspetto tecnicistico.

Il medico assume semplicemente un ruolo facilitativi, sostiene la relazione con un sentimento di profonda comprensione, senza alcun giudizio di valore.

Rogers iniziò a lavorare con i gruppi di lavoro che hanno uno scopo sia terapeutico che educativo, rifacendosi a quel movimento di psicologia umanistica che privilegia le sensazioni, la spontaneità, il confronto.

Nel metodo di Rogers non vi è alcuna distinzione tra gli incontri di gruppo, finalizzati alla crescita ad allo sviluppo, e scopi terapeutici.

Infatti, egli sostituisce il termine paziente con quello di cliente proprio per non ridurre il concetto in senso medico.

Nella teoria rogersiana quattro sono i concetti di base più importanti sul piano operativo:

  • nell’uomo esiste una tendenza attualizzante, una tendenza cioè a sviluppare le proprie capacità, qualora questo processo venga ostacolato da fattori ambientali o psicologici interni, si originano sintomi psicopatologici e comportamenti disturbati;
  • il concetto di Sé è dato dalla percezione dell’Io, dai valori ad esse dati, dalle relazioni con il mondo esterno;
  • la consapevolezza di quello che avviene nell’organismo rappresenta l’esperienza;
  • il conflitto tra l’esperienza dell’organismo e il concetto di sé blocca la tendenza attualizzante.

La terapia, secondo Rogers, consiste nel favorire la tendenza attualizzante, vale a dire sviluppare le proprie capacità di vivere in modo più spontaneo e costruire relazioni umane con il confronto anche quando ne deriva una retroazione dolorosa.

Più specificatamente la terapia viene vista come un processo che consente il passaggio da atteggiamenti di rigidità e fissità, dalla negazione della esperienza verso la possibilità del cambiamento, verso una migliore compliance tra Sé ed esperienza.

Le caratteristiche dell’atteggiamento del terapeuta devono essere:

  • la genuinità: egli deve porsi in modo sincero e autentico al cliente, non si deve nascondere dietro una maschera di professionalità;
  • l’accettazione incondizionata: il terapeuta deve valorizzare il cliente nella sua interezza, come persona, interessandosi a tutti gli aspetti della personalità;
  • un rapporto empatico: il terapeuta percepisce i sentimenti interni del paziente, comprende e partecipa attivamente alle esperienze del suo mondo interno.

Quando Rogers nel 1959 pubblicò “la terapia centrata sul cliente”, con il termine cliente voleva indicare un individuo che nel gruppo è responsabile di se stesso, che è in grado cioè in maniera autonoma di effettuare le proprie scelte e decisioni.

Si tratta di gruppi in cui gli individui riescono a svolgere il proprio ruolo determinando un sistema di controlli reciproci ed una linea di sviluppo spontanea e non preordinata dall’esterno.

Nella pratica terapeutica questa attività di gruppo richiede un atteggiamento del medico che si renda presente ed accessibile, che rifugga il tecnicismo o il ricorso ad una maschera di professionalità, che comunichi al paziente le proprie conoscenze.

Nel rapporto medico-paziente il cliente è responsabile delle proprie scelte ed il medico ha solo un compito facilitativo. Il medico comunicherà l’interesse per il paziente, rinuncia a qualsiasi valutazione su pensieri, sentimenti o atteggiamenti del paziente.

 

III LIVELLO: Le diverse modalità di relazione medico-paziente.

Il rapporto tra medico e paziente è il principale campo di studio della Psicologia Medica; la formazione in tale ambito mira a descrivere i nessi tra gli atteggiamenti psicologo-comportamentali che possono evidenziarsi nei pazienti e determinate malattie; dall’altro tratta la comunicazione profonda che viene veicolata nel rapporto medico-paziente.

Su questo versante la Psicologia Medica ha per oggetto essenzialmente il medico al quale dovrebbe conferire quell’addestramento alla competenza interpersonale profonda che gli è necessaria per rendersi consapevole degli aspetti comunicativi capaci di influire sulla salute come sulla malattia del suo paziente. Ciò allo scopo di conferire alla comunicazione medico-paziente un ruolo conosciuto, prevedibile e pertanto controllato.

Il rapporto medico-paziente dipende almeno da tre variabili:

  • dalle variabili inerenti il paziente: struttura di personalità, disturbi organici e psicopatologici;
  • dalle variabili inerenti il medico: formazione, struttura di personalità;
  • dalle variabili inerenti alla situazione in cui avviene il rapporto.

Poiché l’approccio medico-biologico trascura le dimostrate influenze degli stati psicologici sulla malattia, una più corretta impostazione prevede lo studio del paziente a livello di persona, definita come organismo della specie umana che ha un condizionamento culturale.

  1. Il modello Tatossian : in tale modello l’autore propone due prototipi di rapporto medico-paziente: nel primo, medico e paziente instaurano un rapporto interpersonale che si svolge sia consciamente che inconsciamente e che nasce dalla prospettiva di risolvere un problema personale del paziente; nel secondo tipo di rapporto, il medico ed il paziente si incontrano e discutono un terzo elemento, che è l’organo malato, ovvero l’oggetto di studio. Tale tipologia di rapporto non permette la formazione di un profondo rapporto interpersonale come nel primo caso, ma il rapporto è vissuto quasi come un contratto in cui due individui si incontrano per uno scopo ben preciso.
  2. Il modello di Von Gebsattel: in questo modello l’autore descrive tre fasi che si realizzano nel rapporto medico-paziente:
  • la fase dell’appello umano: in essa il paziente chiede aiuto ed il medico gli si avvicina per fornirglielo;
  • la fase del di stanziamento o dell’obiettivazione: durante la quale il medico prende le distanze dal paziente e non lo considera più nel suo insieme, cioè come persona ma come oggetto di studio;
  • la fase della personalizzazione: segue alla diagnosi della malattia, il medico si riavvicina emotivamente al paziente, in quanto inizia a curarlo, il paziente si sente nuovamente trattato come una persona e supera la frustrazione.
  1. Il modello di Hollender: tale modello prende in considerazione il livello di attività e di passività del medico e del paziente, in tale prospettiva sono possibili tre diverse configurazioni del rapporto:
  • un rapporto del tipo attività del medico/passività del paziente: tale tipo di rapporto si realizza in situazioni urgenti o durante interventi chirurgici. Il prototipo di questo rapporto è il rapporto tra madre e lattante;
  • un rapporto del tipo direzione del medico/collaborazione del paziente: esso si realizza durante le malattie acute, in esso il medico consiglia in modo più o meno autoritario al paziente il da farsi a proposito della sua malattia; il prototipo in questo caso è il rapporto genitore-bambino;
  • un rapporto del tipo partecipazione reciproca. Esso si realizza durante la gestione di malattie croniche o durante la riabilitazione che consegue ad interventi chirurgici; il prototipo è il rapporto tra due adulti maturi.

 

IV LIVELLO: la soluzione del problema diagnostico.

La formulazione diagnostica non è altro che un processo di soluzione di un problema e, come tale, è un fenomeno psichico e in molti aspetti ancora inaccessibile all’indagine scientifica.

La diagnosi clinica è un particolare processo mentale di soluzione di un problema che ne risulta essere influenzato da molti fattori psicologici di cui si è evidenziato uno stretto parallelismo tra lo studio di un metodo investigativo (individuale) e lo studio della personalità del medico.

Il ragionamento clinico è il modo attraverso il quale il medico, sulla base di indizi, deve essere in grado di stabilire una corretta diagnosi e prescrivere una adeguata terapia.

L’attività diagnostica sembra essere una componente principale del pensiero, ovvero una funzione cognitiva.

Secondo i fautori della psicologia dei costrutti personali, “l’attività conoscitiva è concepita come un processo di costruzione, ricostruzione e categorizzazione in modo tale che qualunque cosa percepita venga collocata e riceva il suo significato dalla classe di oggetto con cui è raggruppata.

La formulazione di ipotesi o di un sistema di attesa che permetterebbe le previsioni e la selezione delle informazioni dall’ambiente.

La possibilità di trasformare dati attesi in dati osservati consente di giungere alla formulazione della diagnosi.

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