come superare il trauma psicologico

Come Superare il Trauma Psicologico

 

Sulla definizione del termine di “trauma psichico” si è da sempre assistiti ad un acceso dibattito tra chi attribuisce maggiore importanza agli eventi della realtà esterna e chi enfatizza il ruolo svolto da uno specifico assetto intrapsichico (Lingiardi, 2004).
Ripercorrendo brevemente la storia concettuale, si può osservare come la nascita della teoria psicoanalitica coincida con il ruolo riservato al trauma, che rappresenta fin dall’inizio, e continuerà a rappresentare per decenni, l’elemento fondante alla base della riflessione di Freud sul significato dei sintomi nevrotici, per come emergevano e venivano osservati nella pratica clinica.

Nella sua definizione di evento traumatico egli utilizzò termini economici e lo concettualizzò come un’esperienza singola, oppure una situazione protratta nel tempo, in grado di produrre una quantità di eccitazione psichica tale da lacerare un precedente assetto elaborativo e richiedere al soggetto un ulteriore lavoro di ristrutturazione, che potrà condurre ad un’organizzazione difensiva patologica, il cui modello classico è dato dalla rimozione.

“Il trauma si dovrebbe definire come un incremento di eccitamento nel sistema nervoso che questo non è riuscito a liquidare a sufficienza mediante reazione motoria” (Freud e Breuer,1895, p.156).

Freud si orientò inizialmente verso una teoria della seduzione, collegando il trauma psichico ad uno o più eventi reali, di natura sessuale e risalenti all’epoca infantile, come prima causa per le nevrosi isteriche ed affermava che “La comparsa dei sintomi nevrotici origina dall’aver realmente vissuto un trauma sessuale”(Freud, 1896); ma la scoperta che le memorie delle sue pazienti, relative a presunte esperienze traumatiche infantili non trovavano riscontro nella realtà storica delle stesse, condussero Freud a ridimensionare il ruolo etiopatogenetico del trauma reale a vantaggio della vita fantasmatica  dell’individuo e delle possibili fissazioni evolutive nei diversi stati libidici, per arrivare ad indicare un fatto che avviene solo in un tempo successivo.

Esempi di eventuali situazioni traumatiche

L’angoscia di castrazione, l’angoscia di separazione, la scena primaria e il complesso edipico. Nella sua teoria psicoanalitica il trauma è in diretta connessione con la lotta che l’Io conduce contro la forza e l’urgenza delle pulsioni sessuali e i conflitti e i seguenti traumi sono espressioni della realtà psichica interna.

Freud dunque pose inizialmente alla base della sua teoria originaria una prospettiva bipersonale, in quanto la causa dei sintomi osservati sui pazienti erano imputabili ad altre persone, ma l’abbandono di questa visione e la sostituzione con la teoria della “fantasia originaria”, in cui la patologia emerge come conseguenza di fantasie intrapsichiche, diede l’avvio ad una psicologia monopersonale.

Le più recenti Teorie Relazionali, di cui Kohut, Khan , Bowlby e Winnicott rappresentano i maggiori esponenti, ripresero il concetto di trauma inserendolo in una cornice di nuovo bi-dimensionale, consentendo di svincolare il concetto di libido dalla sua classica
concezione sessuale e di riformularlo in termini di “oggetto”.

Di conseguenza l’insorgenza del trauma è da imputare non soltanto alle esperienze sessuali reali o fantastiche che siano, ma assumono valore traumatico le forme precoci di perdita o gli assetti patologici e fallimentari della cura del bambino (Lingiardi, 2004), spostando l’eziologia del vissuto traumatico dall’esperienza interna legata all’inconscio, alle importanti relazioni con l’esterno e con le figure di accudimento.

In questo senso risulta importante la visione di Stern, che concettualizza il trauma come un evento che origina da interazioni reali, in quanto la vita mentale può essere considerata come frutto di una co-creazione di un dialogo continuo con le menti degli altri, che l’autore denomina “matrice intersoggettiva” (Zennaro, 2011).

Il Trauma Cumulativo

Khan (1963) introdusse il concetto di “trauma cumulativo” per riferirsi a microtraumi continuativi che si sommano nel corso dello sviluppo; spesso trauma focale e trauma relazionale possono co-occorrere e in questo senso lo stesso trauma focale può essere
talvolta considerato l’esito di micro-eventi traumatici minori, che si accumulano nel tempo e poi “esplodono” in un macro-trauma evidente.

Le teorie “relazionali” considerarono perciò il trauma come un’esperienza non simbolizzabile, capace di produrre una frammentazione e una dissociazione dei vari stati del Sé. Il trauma emerge come espressione di un deficit della capacità metacognitiva di
elaborazione emotiva dell’evento e attraverso l’attivazione di memorie traumatiche concernenti relazioni primarie insicure (Caretti e Craparo, 2008).

Le visioni di questi autori hanno ampliato la comprensione delle esperienze traumatiche nelle prime fasi dello sviluppo in relazione ai primi rapporti oggettuali, segnando il passaggio dall’idea classica, basata sulla concettualizzazione di una mente esistente
all’interno dei confini individuali, alla nozione relazionale secondo la quale la mente è intrinsecamente diadica, interattiva e interpersonale. L’interesse posta dagli autori postfreudiani sulle caratteristiche ambientali e familiari nelle prime fasi dello sviluppo, hanno permesso di ridefinire e ampliare il concetto di trauma, spostando l’attenzione dal singolo evento traumatico, all’ambiente “cronicamente” traumatico.

Dall’analisi delle varie definizioni in ambito psicanalitico, appare evidente come il concetto di trauma “focale” sia maggiormente riconducibile ad un evento oggettivo, mentre nella definizione di trauma “relazionale” si presti più attenzione all’interpretazione soggettiva dell’evento.

Il Trauma Cumulativo di Van Der Kolk

Van Der Kolk, in accordo con il concetto di “trauma cumulativo” di Khan (1963) sostiene che lo stesso concetto di trauma non necessariamente si riferisce ad un evento esterno violento di natura macroscopica-focale in grado di imporsi come agente patogeno. Egli
utilizza l’espressione “atmosfera traumatica” per indicare un trauma cronico, cioè episodi traumatici distinti ed isolati che si verificano con costanza, incidendo sulla capacità di autoregolazione dell’organismo al pari di un trauma focale.

Secondo lo psichiatra americano, l’evento traumatico non può essere elaborato in forma simbolico/linguistica come avviene per la maggior parte dei ricordi, in quanto esso tende ad essere organizzato su un livello sensomotorio o iconico (van der Kolk, 1994).

Lenon Terr (2009), attraverso ricerche svolte su bambini traumatizzati, ha introdotto una distinzione tra “trauma di tipo I” e “trauma di tipo II”. Il trauma di tipo I è rappresentato da un singolo evento eclatante (terremoto, stupro, guerra) che si può collegare al
concetto di “trauma focale”; il trauma di tipo II è invece un trauma ripetuto, prolungato, come una trascuratezza infantile protratta negli anni e quindi riconducibile al concetto di “trauma relazionale”. Nella sua ottica i due tipi di trauma tendono a produrre differenti tipologie di meccanismi di difesa: mentre nel primo prevalgono iper-allerta ed evitamento degli stimoli, un trauma di II tipo, innalza meccanismi difensivi quali diniego, rimozione, dissociazione, identificazione con l’aggressore; inoltre, mentre i soggetti con trauma di tipo I generalmente ricevono sostegno dalla famiglia e dalla società, quelli con traumi di tipo II tengono segreta la relazione traumatica e di conseguenza non riescono a trarre il beneficio di un sostegno morale.

Nonostante le diverse accezioni del termine, poiché non esiste una sola definizione di trauma, rimangono basilari gli aspetti contenuti nella suggestiva definizione di Herman: “il trauma psichico è il dolore degli impotenti. Nel momento del trauma la vittima è resa inerme da una forza soverchiante.” (Herman, 2005, p.51).

di Cinzia Governatori

Scrivi a Igor Vitale