Euristiche e bias cognitivi: definizione e significato

Euristiche e bias cognitivi: una definizione

Di Ilaria Polidori

Abbiamo fin qui visto come la razionalità dell’uomo risulta essere una razionalità limitata, e abbiamo altresì potuto osservare come questa limitazione sia spesso alla base di quelli che possiamo chiamare “tunnel della mente” – traduzione piuttosto libera del termine inglese bias che, in inglese corrente, significa un misto di pregiudizio, parzialità nel giudizio, inclinazione ingiusta dell’ opinione. Un esempio di bias che abbiamo analizzato è quello della mental budget allocation, che ha ispirato l’esperimento di Kahneman e Tversky sul biglietto del teatro (vedi pag. 61).

Vedremo ora, come spesso la nostra mente mette in atto dei meccanismi per risolvere una certa classe di problemi. L’adozione da parte degli individui di strategie volte all’individuazione e alla scelta di opzioni soddisfacenti, risponde all’esigenza di far fronte a compiti complessi. Tali strategie, conosciute come euristiche, sono state analizzate soprattutto nelle situazioni di problem solving.  

Le euristiche, per definizione sono condotte che non garantiscono la soluzione del problema, ma che consentono al solutore di avvicinarsi alla meta. Più specificamente, un’euristica è uno stratagemma mentale, una regola semplice e approssimativa, che utilizziamo quando ci troviamo di fronte ad una situazione.

Un esempio banale di euristica (percettiva) è quella di ritenere lontani oggetti piccoli; un altro esempio ad un livello un po’ superiore, è quello di individuare un numero pari o dispari, guardando solo l’ultima cifra a destra.

Sono tutti esempi di euristiche alle quali non facciamo nemmeno caso, perché ci vengono spontanee ogni giorno e non ci accorgiamo nemmeno di adottarle.

Nell’ambito del processo di formazione del giudizio, si distinguono varie fasi, che sostanzialmente possono identificarsi con una fase dell’“acquisizione” dell’informazione, una fase dell’“elaborazione” dell’informazione acquisita, ed in fine un “output”, cioè l’espressione del giudizio. Quest’ultima fase determina un esito, che può anche rivelarsi erroneo, può cioè determinarsi un errore di giudizio. Tale errore non discende direttamente da una presunta irrazionalità tout court dell’individuo, bensì è il prodotto dell’utilizzazione di euristiche che, se nella maggior parte dei casi sono idonee a fornirci risposte approssimativamente corrette, spesso sono invece causa diretta di errori grossolani, errori spesso prevedibili.

Quando poi le nostre euristiche spontanee nei confronti di un certo problema o contesto, “tirano” tutte e sempre nello stesso senso, quando siamo tutti portati a sbagliare nello stesso modo, si rivela in noi un bias: la nostra mente imbocca, suo malgrado, un tunnel del ragionamento.

Oggi esiste una letteratura abbastanza consistente relativa allo studio delle euristiche (Groner, Groner, Bischof, 1983; Evans, 1989), sebbene criticata da coloro che ritengono che gli studi sulle euristiche di giudizio non abbiano prodotto teorie esplicative dei processi sottesi al giudizio umano, bensì un lungo elenco di errori sistematici (Wallsten, 1983). A tal proposito

Christensen-Szalansky e Beach (1984), ironicamente, parlano di “citation bias”, ossia ritengono di dover annoverare una tendenza di coloro che studiano euristiche ed errori sistematici a riportare più frequentemente risultati relativi ad un ragionamento erroneo o viziato da preconcezioni, piuttosto che i dati relativi ad un buon ragionamento.

L’assunto non è condivisibile ove si tenga presente quella letteratura in cui invece vengono esplicitati “i principi che governano l’uso di ogni euristica” (Pitz, Sachs, 1984). Ebbene, in questo capitolo si cercherà proprio di far luce sui meccanismi che conducono all’utilizzazione delle diverse euristiche e sugli errori sistematici che possono derivarne.

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