I segreti della leadership carismatica

 

Kohut (1976) descrive i leader carismatici come persone che si sono profondamente identificate con il loro sé grandioso o super ego idealizzato. Ciò si traduce in una dogmatica sicurezza di sé e mancanza di empatia. Questi soggetti pare abbiano sofferto, durante l’infanzia, a causa della mancanza o la poca prevedibilità delle risposte empatiche delle figure d’accudimento e tutto ciò li ha poi resi estremamente empatici verso sé stessi e i loro personali bisogni, pronti ad utilizzare gli altri per soddisfarli.

In molte ricerche relative all’effetto dei leader carismatici sul gruppo sono stati registrati alti livelli di abbandono da parte dei membri. Tuttavia sono anche risultati quelli che ottengono uno straordinario livello di sottomissione psicologica, come l’evento di Jonestown testimonia, grazie alla promessa di salvezza spirituale che offrono ai seguaci (Rice e Rutan, 1981). Generalmente dietro a questo proposito ne nascondono di personali ed egocentrici. Kohut (1976) infatti distingue tra leader carismatico e leader messianico, ipotizza che il secondo tipo si indentifichi più nell’oggetto o mezzo grazie al quale raggiungere un fine  collettivo, e allo stesso modo sono considerati i fedeli. Al contrario, il leader carismatico si aggrapperebbe all’alto valore morale e spirituale della sua propaganda al solo fine di appagare i propri bisogni privati attraverso la manipolazione e sottomissione dei membri del suo gruppo. In questo caso sono i soggetti ad essere il mezzo col quale raggiungere un obiettivo del leader, nonostante vengano convinti e si convincano a loro volta di perseguire un progetto comune.

Date queste osservazioni sembrerebbe possibile affermare che nessun individuo sia carismatico in quanto tale, altrimenti lo sarebbe  in qualunque epoca o cultura. Piuttosto ogni gruppo farebbe esperienza di uno specifico set di bisogni dinamici compatibile con una particolare personalità. Gandhi e Hitler furono due tra i più famosi leader carismatici al mondo, ma probabilmente l’uno non lo sarebbe stato nella cultura dell’altro e viceversa.  Difatti Gibb (1950), come riportato da Scott Rutan (1981), scrive che la leadership non è un attributo personale dell’individuo, ma è una relazione che il soggetto ha con una collettività e  dunque si tratterebbe di un ruolo determinato da entrambe le parti esistenti in quel preciso momento.

di Valentina Sofia Conte

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