L’ipnosi fa bene: è un metodo scientifico per la terapia

La trance come stato naturale: aumentare il benessere e promuovere la resilienza.

A chiunque guidi l’automobile è, a volte, successo di arrivare a destinazione non ricordandosi il viaggio intrapreso. Pur rispettando gli stop e i segnali stradali, parte dell’attenzione di un soggetto al volante spesso è rivolta altrove. Questo accade perché più volte nel corso di una giornata ogni essere umano cade spontaneamente in trance (Nardone, 2006). L’ipnosi, quindi, è uno stato naturale e Perussia (2013) ne riporta vari esempi tra cui: l’essere immersi nella lettura di un libro avvincente o nella visione di un film, l’essere preda di una rabbia improvvisa, intrattenersi in un dialogo con se stessi o con una persona che stiamo immaginando.

La dissociazione tra mente conscia e inconscia, quindi, si attua nel quotidiano di ogni essere vivente ed è stato provato che esistono dei ritmi ultradiani di attività-riposo. Essi si presentano, nell’essere umano, ogni 90-120 minuti di attività, dopo la quale vi è sempre una pausa di circa 20 minuti in cui l’individuo si rilassa e recupera energia. In questo frangente compare dissociazione tra i due emisferi e dominanza dell’emisfero destro con conseguente entrata in trance (Rossi & Nimmons, 1991).

Anche Erickson aveva individuato questo spontaneo manifestarsi della trance quotidiana, riconoscibile dal rilassamento muscolare e dalla presenza di fissità nello sguardo che conferisce al soggetto un tipico aspetto assente e vuoto. Egli sapeva che esistono dei momenti in cui l’individuo è maggiormente suscettibile da un punto di vista emotivo e più portato alla ristrutturazione comportamentale (Oberhuber, 2000).

La manifestazione spontanea della trance però richiede tempo e, anche se Milton Erickson spesso prediligeva attendere il suo manifestarsi, questo oggi non può avvenire sempre nello studio dell’ipnoterapeuta a causa dei tempi stretti della seduta che solo a volte coincidono con le manifestazioni di una naturale ipnosi. L’ipnoterapeuta, quindi, la deve indurre artificialmente.

Il verbo indurre deriva dal latino in ducere e significa condurre, guidare. L’induzione è una forma di comunicazione in cui una persona, il paziente, entra in trance con l’aiuto di un’altra persona: l’ipnoterapeuta.

Durante l’ipnoterapia il soggetto, pur rimanendo vigile e sveglio, sospende l’attenzione verso il feedback derivante dai suoi cinque sensi e si concentra verso la sua interiorità. L’esame di realtà viene sospeso e le suggestioni dell’operatore vengono accettate come reali (Perussia, 2013).

Il processo ipnotico può essere inteso come composto da due momenti:  l’induzione della trance e la suggestione, benché anche durante l’induzione si utilizzi la suggestione (Perussia, 2013).

Le suggestioni sono suggerimenti, metafore, indicazioni che il terapeuta offre al paziente al fine di condurlo lontano dalla sua razionalità e dalla sua realtà ordinaria, per far riemergere risorse sopite nell’inconscio.

La mente inconscia, infatti, può essere considerata metaforicamente come un magazzino in cui sono stipate tutte le esperienze di vita del paziente: la sua storia, i suoi apprendimenti, le sue pulsioni, i suoi bisogni, le sue motivazioni. Dalla mente conscia derivano le limitazioni legate al modo razionale di rapportarsi alla realtà, basti pensare a come a volte le persone si fossilizzino acriticamente nelle loro convinzioni ed esse divengano la loro realtà (Yapko, 2003).

Ciò che pensiamo diviene il nostro mondo (Owens, 2012).

L’individuo che dice a se stesso che un problema è irrisolvibile o che un obiettivo è irraggiungibile, si troverà coinvolto in una profezia che si auto-avvera (Yapko, 2003).

Il terapeuta, utilizzando varie tecniche, conduce il paziente verso una condizione mentale di ricettività cosciente e vigile. Una volta che lo stato di coscienza di un individuo è stato alterato, le suggestioni dell’operatore lo possono agevolmente guidare verso le sue risorse inconsce, in modo che al soggetto si presentino risposte ed idee a cui altrimenti non avrebbe potuto accedere. Le suggestioni del terapeuta saranno, in ultima analisi, in grado di mutare le sensazioni, le percezioni, i pensieri, le emozioni e i comportamenti del paziente.

L’ipnosi condotta nello studio di un terapeuta, quindi, è un’esperienza simile a quella della trance quotidiana. E’ utile che ogni paziente sia informato su questo punto, in modo da sfatare la credenza comune che vede la trance come uno strumento coercitivo in cui il paziente perde il controllo di se stesso. Si deve fugare fin dall’inizio la paura di perdita di controllo che è quella che si manifesta più spesso nella maggior parte delle persone (Yapko, 2003). Essa è dovuta alla disinformazione proveniente dalla televisione o dall’ipnosi da palcoscenico. E’ giusto che il paziente sappia che nessuno potrà programmarlo, come accade nei film, a seguire delle suggestioni post-ipnotiche al fine di fargli commettere qualche azione malvagia contro la sua volontà (Del Castello & Loriedo, 1995).

L’ipnoterapia prevede un iniziale rilassamento del paziente grazie a focalizzazione dell’attenzione. Partendo dal presupposto che nessuno può costringere una persona a rilassarsi e a concentrarsi su alcunché, risulta evidente che non si può obbligare in alcun modo una persona ad entrare in trance. Inoltre è stato provato che, anche se l’ipnosi è profonda, un individuo può rifiutare la suggestione (Lynn, Rhue & Weeks, 1991).

A tal proposito, a volte si preferisce parlare di stimolazione ipnotica invece che d’induzione ipnotica, proprio perché quest’ultima porta alla mente l’idea di un paziente passivo anziché attivo e consenziente (Zeig, 2006).

Durante l’ipnosi il terapista è una guida che agisce per favorire l’emergere di elementi inconsci dalla mente di un paziente attivo e collaborativo. Le risorse inconsce del paziente possono condurlo alla guarigione, allontanandolo dal suo modo ordinario e razionale di approcciarsi ai sintomi e permettendogli di trovare nuove soluzioni.

Seguendo l’orientamento della psicologia positiva di Seligman (2002) gli ipnoterapisti tendono a far emergere le risorse dell’individuo e a rafforzarne le parti sane invece che focalizzarsi sui suoi disturbi, convinti che ogni essere umano possegga delle potenzialità nascoste in numero maggiore rispetto a quelle che pensa di avere. Secondo questa visione, i punti di forza dei pazienti, se fatti emergere, contrastano le loro patologie.

Come Williamson (2008) sottolinea, ciò a cui il terapeuta mira è un cambiamento nell’atteggiamento del paziente, che viene spinto a spostare la sua attenzione dal problema alla sua soluzione.

L’ipnoterapia, inoltre, non si propone solo di alleviare i sintomi del paziente, l’intervento è globale, orientato a risolvere conflitti profondi al fine di “favorire l’evoluzione del cliente verso un’esistenza più positiva e soddisfacente” (Yapko, 2011, p.50).

A questo proposito è d’uopo parlare di resilienza, concetto che negli ultimi decenni ha continuato a crescere d’importanza tra gli ipnoterapeuti e non solo (Loriedo, 2004).

Per resilienza in fisica s’intende la capacità di un materiale di assorbire energia quando subisce un urto, ossia di sopportare gli urti a cui è sottoposto, tornando alla sua forma originale senza rompersi. I materiali fragili possono assorbire poca energia, i materiali duttili ne assorbono molta.

In psicologia risulta essere resiliente un individuo in grado di fronteggiare e superare le avversità della vita uscendone rinforzato, senza lamentarsi né disperarsi, avendo il coraggio di intraprendere un percorso difficoltoso, rimanendo flessibile, elastico mentalmente e capace di contenere le emozioni.

Secondo una ricerca condotta dal National Institute of Mental Health (NIMH), i seguenti tratti di personalità agevolano la resilienza:

  • Estroversione: socievole, coraggioso ed entusiasta.
  • Disponibilità: amichevole, empatico e collaborativo.
  • Coscienziosità: organizzato, affidabile e puntuale.
  • Stabilità emozionale: calmo, imperturbabile e privo d’invidia o di “nervosismo”.
  • Intelletto: intelligente, dotato di ottima capacità immaginativa, e maturo.

(Loriedo, 2004, p.36).

Gli individui resilienti sono persone profondamente impegnate in ciò che fanno, considerano i cambiamenti sfide stimolanti e sono convinti di poter influenzare la realtà circostante. Essi possiedono differenti strategie di coping che permettono loro di affrontare le diverse sfide che incontrano nella vita.

Anche se Erickson non parlò mai di resilienza, per primo prese in considerazione la possibilità di utilizzare a fini curativi, le risorse individuali sane che anche gli individui gravemente disturbati portavano dentro di sé, convinto che ogni essere umano possedesse delle capacità autocurative e che ogni suo paziente fosse potenzialmente in grado di superare le difficoltà che la vita gli poneva di fronte (Loriedo, 2004).

I soli tratti di personalità di un paziente, però, non sono sufficienti per spiegare il suo grado di resilienza. Essa dipende anche da altri fattori protettivi, appartenenti ai sistemi, familiare e sociale, di provenienza.

Il contesto familiare promuove la resilienza quando risulta essere supportivo affettivamente, quando è capace di imporre dei limiti ragionevoli ai suoi componenti e quando, fattore di fondamentale importanza, è in grado di attribuire un significato agli eventi nefasti della vita. La famiglia quindi può essere fonte di disfunzionalità individuale o, alternativamente, di resilienza. Per esempio, un divorzio può avere diversi esiti per i figli a seconda dell’interpretazione che essi ne daranno con l’ausilio dei genitori; può far sentire colpevoli, inadeguati e disperati, oppure può far comprendere le reali difficoltà che deteriorano un rapporto di coppia e i benefici che possono derivare da una separazione. Compito quindi dei familiari, è di fare in modo che il significato che viene attribuito ad un avvenimento aumenti la possibilità di adattamento individuale ed alimenti una visione positiva dell’esistenza, invece che la perdita di speranza e la rassegnazione. Questo avviene quando le figure di riferimento di un individuo a livello di famiglia o, in mancanza di questa, di contesto sociale, sono flessibili, danno via libera all’espressione delle emozioni, sono aperte alla comunicazione e, infine, sono in grado di risolvere  problemi anche complicati e di sostenere e difendere un sistema di valori.

A tal proposito è giusto ricordare come Erickson spesso coinvolgesse i membri della famiglia del suo paziente, nella terapia individuale che stava conducendo. Egli, infatti, sebbene non fosse un terapeuta familiare, concepiva l’essere umano in termini sistemici, e considerava la patologia come una momentanea interruzione del processo evolutivo di un essere umano che poteva essere riavviato rendendo resiliente il paziente stesso e la sua famiglia (Loriedo, 2004).

A questo mira tutt’ora l’ipnoterapia: promuovere il benessere dell’essere umano attivandone la resilienza. Il superamento di un sintomo porta solitamente ad una serie di eventi a catena, che rinforzano l’individuo e ne migliorano l’esistenza (Perussia, 2013).

 

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