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La definizione del reato di violenza domestica

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, la violenza domestica è definita come ogni forma di abuso psicologico, fisico, sessuale, economico e
comportamento coercitivo, esercitato per controllare emotivamente una persona del proprio nucleo familiare.

Tale fenomeno è particolarmente diffuso e in base ai dati Istat del 20142, quasi tre milioni di donne in Italia hanno subìto violenze entro le mura domestiche. Tuttavia, il dato è circoscritto alle sole vittime che hanno denunciato il fatto alle autorità. La realtà è ben diversa: molte donne maltrattate non
parlano con nessuno per paura, per imbarazzo, per timore di non essere credute, altre non sanno dove cercare aiuto, altre ancora non sanno di essere vittime di un reato.

La violenza domestica come reato nel Codice Penale

A tal proposito, è bene sottolineare che questo tipo di violenza è configurabile in diverse forme di reato previste dal Codice Penale, a seconda della
condotta del soggetto attivo. La violenza domestica protratta nel tempo, è sussunta nel reato di maltrattamenti ex articolo 572 c.p., e riporta delle conseguenze nelle donne che l’hanno patita, sia a livello fisico ma, soprattutto, a livello psicologico, compromettendone l’autostima e la fiducia in se stesse e nel prossimo.

Definizione di maltrattamenti contro familiari ex articolo 572 Codice Penale

Nel Titolo XI del Libro II del Codice Penale del 1930 relativo ai delitti contro la famiglia, è previsto al Capo IV, tra i delitti contro l’assistenza
familiare, l’articolo 572 rubricato “Maltrattamenti contro familiari o conviventi”. L’articolo, al comma 1, dispone quanto segue.

“Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, maltratta una persona della famiglia o comunque convivente, o una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l’esercizio di una professione o di un’arte, è punito con la
reclusione da due a sei anni”.

Perché sia integrato il reato di maltrattamenti, è necessario che l’agente eserciti, abitualmente, una forza volontariamente oppressiva nei confronti
di una persona della famiglia. Ovvero di qualsiasi soggetto cui è legato da un rapporto di parentela, nonché i domestici, a patto che vi sia convivenza.

L’illecito si caratterizza per condotte non punibili che assumono rilievo penale per il loro protrarsi nel tempo: si tratta di un reato abituale proprio10.

Rientrano nella nozione di “maltrattamenti” sia le aggressioni fisiche, quindi percosse e lesioni, sia atti di vessazione, di disprezzo, lesivi dell’integrità morale, della libertà e del decoro della persona che si risolvano in vere e proprie sofferenze morali.

Il bene giuridico tutelato dalla norma è, dunque, l’integrità psico-fisica di coloro che, per rapporti di tipo familiare o di affidamento, si trovino nella
condizione di subire, proprio nei contesti in cui dovrebbero ricevere maggiore protezione, una volontà unitaria di sopraffazione e prevaricazione che la minano.

 

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