La ricerca scientifica alla base della comunicazione non verbale
Articolo di Francesca Iarusci
Paul Ekman, il più famoso ricercatore in ambito di comportamento non verbale, ha esaminato pazienti psichiatrici, individui normali, adulti e alcuni bambini, nel suo paese e in molti altri luoghi, quando intensificano le emozioni, quando le attenuano, reagiscono in maniera inappropriata, mentono e dicono la verità.
All’inizio dei suoi studi negli ultimi anni cinquanta, egli non nutriva un interesse particolare per le espressioni facciali; ciò che lo affascinava erano i movimenti delle mani. Se non fosse stato per due eventi puramente casuali, probabilmente egli non avrebbe spostato il focus delle sue ricerche sull’espressione facciale. La fortuna volle che la Advanced Research Projects Agency (ARPA) del Dipartimenti di Difesa gli conferisse una borsa di studio per dei cross-cultural studies sul comportamento non verbale. Egli non aveva richiesto aiuto ma ci fu uno scandalo, un progetto più ampio dell’ARPA fu cancellato e i fondi per esso stanziati andavano spesi durante quell’anno fiscale in ricerche oltremare. Incontrò, per puro caso, l’uomo che aveva l’incarico di spendere quei fondi. Quest’uomo era sposato con una donna tailandese ed era rimasto colpito dalle differenze nel loro comportamento non verbale. Incaricò Ekman di capire quali aspetti fossero universali e quali, invece fossero culturalmente variabili.
Inizialmente lo psicologo statunitense era convinto, così come il gruppo di persone a cui aveva chiesto dei pareri, che le emozioni fossero apprese socialmente e che variassero in base alla cultura esaminata. Sebbene Darwin avesse affermato l’esatto contrario, cioè che le emozioni sono universali, Paul Ekman era talmente certo che egli avesse torto che non si preoccupò neanche di leggere il suo libro.
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