La tecnica FACS in psicoterapia

La Tecnica FACS è utile in psicoterapia

Come applicare lo studio del FACS e delle microespressioni facciali in terapia

Lisa Rogai

La prima cosa importante da stabilire con il paziente è una buona relazione poiché, in mancanza di questa, la terapia sarà meno efficace per non dire fallimentare. A questo proposito alcuni ricercatori si sono chiesti se le espressioni facciali del paziente e del terapeuta potessero essere dei fattori predittivi dello stabilirsi di una buona relazione e dell’efficacia terapeutica. Uno studio ci viene presentato da Merten e collaboratori; i ricercatori hanno videoregistrato due sedute di psicoterapia, una fallimentare e l’altra di successo e hanno osservato che le risposte del terapeuta ai segnali emotivi del pazienti (espressioni facciali) erano fattori importanti nella riuscita della terapia, molto più di quanto potesse esserlo la tecnica usata nella stessa seduta.

Nella videoregistrazione della terapia fallimentare il terapeuta mostrava in particolare molti sorrisi, sia di felicità sentita, sia sociali o di cortesia, e il paziente rispondeva con espressioni di vergogna e tristezza. Nella videoregistrazione della terapia efficace invece il terapeuta esibiva espressioni emotive complementari a quelle manifestate dal paziente, queste si alternavano tra i due membri della conversazione, dunque erano distribuite nel tempo e i sorrisi del clinico erano praticamente assenti (Merten, Anstadt, Ullrich, Krause & Buchheim, 1996). A sostegno di questa ricerca, Merten e Schwab, hanno condotto uno studio su terapeuti di orientamento diverso (per isolare e controllare il fattore tecnico) confermando i dati dello studio sopra illustrato (Merten e Schwab, 2005).

E’ utile, per un’analisi più completa, prendere in esame anche un altro tipo di approccio per lo studio della relazione paziente-terapeuta. Questo assume che lo scambio e l’interazione tra i due membri della relazione contribuisca al cambiamento (positivo o negativo) della relazione. Una delle tante studiose che ha proprio questa visione della relazione terapeutica è Banninger Huber e conduce una ricerca studiando come fattore predittivo dell’efficacia della relazione le microsequenze affettive prototipiche (PAM). Queste ultime sono sequenze di azioni messe in atto da entrambe i membri dell’interazione, e sono il prodotto che rispecchia i pensieri e le organizzazioni cognitive dei soggetti implicati. La loro durata è di pochi secondi. Data la diversità delle persone coinvolte nella relazione, nel momento in cui il paziente viene a contatto con un argomento o un pensiero difficile da affrontare, le microsequenze aiutano a ristabilire un contesto relazionale di serenità e tranquillità. Posso, però, risultare fallimentari. Nello stesso studio l’autore osserva come il paziente spesso cerca di stabilire una risonanza delle proprie emozioni con il terapeuta, in modo da sentirsi vicino e compreso dallo stesso.

Il terapeuta può reagire sottraendosi a questo scambio, può non capirlo o non prestarci l’attenzione necessaria e, per questo, spiazzare il paziente, che non sa più come muoversi all’interno di quella relazione. La microsequenza efficace invece è caratterizzata dall’accoglienza, da parte del terapeuta, della richiesta del paziente, come rispondere con un sorriso a una battuta che il paziente usa per distogliere l’attenzione da un argomento molto difficile da affrontare (Banninger-Huber, 1997). Benninger e Widmer hanno applicato le stesse metodologie al caso specifico di una situazione in cui l’argomento difficile per il pazienti fosse il senso di colpa. In quel caso specifico, notano, il paziente spesso cerca di sdrammatizzare con una frase che attenui ciò di cui stanno parlando e che suscita in lui il sentimento negativo di colpa, aspettandosi dal terapeuta un sorriso e un commento verbale, chiamato dagli autori TRAPS, a ciò che ha appena detto, una sorta di legittimazione (legitimation trap). Analizzando tutte le possibili combinazioni tra microsequenze affettive prototipiche (composte da espressioni) e TRAPS (commento verbale) hanno concluso che quella più efficace consiste nel sorridere sinceramente al paziente senza però commentare verbalmente. Hanno visto che in questo modo si stabilisce una risonanza positiva per la relazione, lasciando comunque un debito spazio al conflitto, necessario per affrontare il sentimento negativo.

Il caso contrario spingerebbe il paziente a sentirsi legittimato a cambiare argomento e a non tornarci più (Banninger-Huber & Widmer, 1996).In conclusione, per quanto riguarda le espressioni facciali, possiamo affermare che sono indici importanti di una buona alleanza terapeutica e che dagli studi fino a ora condotti risulta che una relazione terapeutica efficace ha come caratteristiche una ridotta combinazione di più emozioni (maschere), espressioni facciali diverse, diversificate e distribuite nel tempo e una risonanza tra i membri della relaziona, lasciando però un giusto spazio al conflitto, necessario per affrontare le proprie emozioni.

 

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