Le cause del suicidio

Lo studio del comportamento suicidario è in corso da circa cento anni ed è caratterizzato da studi  di ordine sociologico e psicologico-clinico conducendoci verso l’idea  che il suicidio sia il prodotto di un grave stress o depressione. In realtà il tema in questione è complesso così come lo studio di relazioni che intercorrono tra  l’atto del suicidio e la gravità di queste situazioni. La percentuale di depressi che compie questo atto è paragonabile a quella di soggetti portatori di altre psicopatologie come la schizofrenia o il disturbo borderline di personalità o ancora il disturbo di abuso di alcool, (Robins, Kulbok, 1988) e d’altra parte non è sempre detto che soggetti con diagnosi di disturbi maggiori dell’umore commetta suicidi o li tenti.

La possibilità di  integrare questi studi con analisi biologiche, molecolari e genetiche sicuramente fornisce una prospettiva migliore di possibilità di predizione di comportamenti suicidari  così complessi e determinati da più fattori anche se oggi sappiamo nonostante le ricerche che il dato più affidabile e robusto di predizione del suicidio è il tentato suicidio stesso.( Traskman-bendz, 1994).

E’ probabile che una comprensione della biologia del comportamento suicidario possa contribuire all’identificazione dei soggetti a rischio e possa contribuire alla realizzazione di nuovi approcci terapeutici  grazie ad una considerazione nuova e più ampliata dei comportamenti suicidari stessi ( Winchel et al, 1990).

Il dato più rilevante risultato dagli studi biologici è rappresentato dall’abnorme funzionamento  del sistema serotoninergico.

Poichè i neuroni serotoninergici  hanno origine nel nucleo del tronco cerebrale che è la parte più primitiva del cervello è normale il fatto che essi abbiano influenza su  alcuni aspetti fondamentali della fisiologia del comportamento, del controllo della temperatura, attività cardiaca, alimentazione, aggressività e tanti altri compreso probabilmente il suicidio. Ma la serotonina ha un importante ruolo di modulatore anche di importanti neuromediatori come la dopamina e la noradrenalina (Agren et al,. 1986) e l’influenza serotoninergica è solo uno dei meccanismi di possibile influenza in tali comportamenti  infatti altri studi hanno riscontrato livelli alti di cortisolo in pazienti suicidari ( Ostroff et al., 1982).

Per quanto riguarda i fattori psicosociali è stato notato che situazioni di vita avverse soprattutto nell’infanzia hanno un effetto negativo sullo sviluppo della personalità e possono essere con grande probabilità collegate a disfunzioni nel percorsi e nei sistemi neurologici (De Bellis et al., 1994), costituendo un probabile fattore di rischio per la psicopatologia e suicidalità nell’età adulta. (Van Egmond, Garnefski, Jonker e Kerkhof, 1993; Joiner, Sachs-Ericsson, Wingate, Brown e Anestis, 2007).

Le  esperienze di vita sfavorevoli in età precoce come possono essere l’abuso sessuale e fisico o anche il sentirsi trascurato e poco considerato potrebbero giocare un ruolo importante ed essere associati alla persistente sensibilizzazione  dell’asse HPA che può incrementare il rischio di condizioni psicopatologiche per gli adulti ( Heim et al., 2000; McEwen, 2000). Anche se poche sono ancora le conoscenze relative alla connessione tra suicidio e eventi della vita stressanti, Coryell et al. (2001) hanno riportato  una iperattività dell’asse HPA in relazione al suicidio in pazienti con vari disturbi psichiatrici (Coryell, Schlesser, 2001, 2007; Jokinen et al., 2007; Norman et al., 1990; Pfenning et al., 2005).

Sembrerebbe che l’abuso sessuale infantile  e un comportamento negligente da parte dei genitori abbiano  a lungo termine  effetti psico biologici che potrebbero anche portare a disturbi depressivi o di ansia durante l’età adulta. (Weiss, Longhurst e Mazure, 1999).

Ciò che sostengono Sunnqvist, Westrin e Traskman-Bendz (2008) è che l’alterazione del sistema di risposta allo stress nei tentatori di suicidio sia stato causato da uno i più eventi stressanti che molto presto un individuo ha dovuto affrontare nel corso della propria vita, ma le evidenze ci rendono tuttavia consapevoli del fatto che una vulnerabilità alle avversità può dipendere da fattori genetici come sostengono Caspi e colleghi (2002).Per aumentare le capacità predittive del fenomeno del suicidio le neuroscienze, incluse la genetica e le tecniche di imaging cerebrale soprattutto quelle dinamiche come la PET, stanno fornendo informazioni utili per la localizzazione di alterazioni neurochimiche cerebrali ad esso associate con l’obiettivo futuro di realizzare nuovi trattamenti per ridurre il rischio di suicidio (De Leo, 1994; Caceda et al., 2012);Tuttavia non possiamo tralasciare il fatto che componente caratteriale e ambientale sono mediatori attivi in grado di incentivare meccanismi adattivi o imitativi nei confronti di un atto di suicidio.Confidiamo nella ricerca per una migliore definizione e interpretazione del rischio suicidario tra gli adolescenti ma nel frattempo è importante anche  promuoverne la conoscenza per sviluppare consapevolezza di questo fenomeno cosi complesso.

di Rosa Bufo

 consulenzapsicologica

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