Le tecniche di Vittimologia spiegate in dettaglio
articolo di Francesca Federica Falcone
La vittima: le predisposizioni vittimogene ed i fattori di vulnerabilità.
Per chiarire meglio gli aspetti che riguardano la vittima dovremo partire con il dare una definizione della stessa. La più consona e completa in ambito criminologico è stata fornita dal prof. Emilio Viano docente di criminologia e vittimologia all’università di Washington D.C. e direttore della rivista Victimology, il quale definisce vittima:
“Qualsiasi soggetto danneggiato o che abbia subito un torto da altri, che percepisce se stesso come vittima, che condivide l’esperienza con altri cercando aiuto, assistenza e riparazione, che è riconosciuto come vittima e che presumibilmente è assistito da agenzie e strutture pubbliche, private o collettive.” (1989)
Da tale definizione si può evincere che un soggetto per essere riconosciuto come vittima deve possedere dei requisiti che delineino l’evento criminoso da questi subito e le sue conseguenze.
Nello specifico:
a) Il danno: inteso come fisico, psichico, morale esistenziale e materiale.
b) La consapevolezza: ovvero il prendere coscienza di ciò che è accaduto o sta ancora accadendo
c) La richiesta di aiuto: il passo indispensabile per uscire dalla situazione di vittimizzazione
d) La convalida: il riconoscimento alla vittima del proprio status da parte dell’A. G.
e) L’aiuto: ovvero l’assistenza on base al reato subito da parre delle istituzioni e dei professionisti.
In accordo con gli studi di von Henting, è però d’obbligo tener conto che sussistono varie classificazioni di vittime. La prima in ordine cronologico fu proprio quella del pedagogo polacco il quale distinse:
- Innocent victim: che si è trovata nel momento sbagliato nel posto sbagliato
- Depressive victim: disattenta
- Greedy victim: avida, tendente agli affari, a rischio per reato di truffa
- Unmotived victim: soggetta a pressioni a seguito di eventi particolari della vita
- Harrasing victim: che subisce l’aggressione di chi tormenta abitualmente
- Assailant victim: che subisce l’aggressione di chi ha precedentemente aggredito.
Con tale classificazione si profila un’altra prospettiva ovvero la valutazione sul ruolo svolto dalla vittima per determinare l’esecuzione del reato. In merito, nel 1976, il già citato prof. Guglielmo Gulotta individua le c.d. predisposizioni vittimogene, ovvero quelle peculiarità e condizioni che rendono un soggetto più portato a diventare vittima rispetto ad un altro. L’autore effettua una bipartizione sui fattori c.d. precipitanti ed i fattori predisponenti, intendendo coi primi quelle circostanze legate a situazioni, azioni e comportamenti che contribuiscono all’evolversi degli eventi in modalità delittuose e con i secondi le circostanze preesistenti che qualificano le caratteristiche della vittima. Più specificatamente i fattori predisponenti vengono ulteriormente bipartiti in:
- Predisposizioni generiche: ovvero quelle studiate dalla psicoanalisi che ha individuato quei comportamenti anche inconsci responsabili di produrre effetti negativi nella vita di un soggetto (nello specifico: la nevrosi da destino, i comportamenti dettati dal senso di colpa e la personalità di alcuni soggetti definiti collezionisti di ingiustizie)
- Predisposizioni specifiche: proprie solo di alcuni soggetti e a sua volta distinte in innate (presenti fin dalla nascita) e in acquisite ( che si sviluppano nel corso dell’esistenza) a seconda del momento in cui si presentano. In ordine al tempo invece si distingue in permanenti, temporanee e passeggere.
Ma la ripartizione più interessante dei fattori predisponenti viene effettuata dal Gulotta sulla base di una distinzione di un altro studioso, Fattah, nel 1956:
- Le predisposizioni bio-fisiologiche: legate cioè ai fattori fisici personali ( età, sesso, razza e stato fisico),
- Le predisposizioni psicologiche: legate ai fattori psicologici del soggetto (deviazioni sessuali, stati psicopatologici e tratti del carattere),
- Le predisposizioni sociali: legate all’ambiente sociale in cui vive il soggetto ed al suo ruolo all’interno di esso ( la professione, le condizioni economiche e le situazioni sociali).
L’analisi di tali fattori ha portato quindi alla classificazione delle vittime in base alle caratteristiche personali, circostanziali e della tipologia del reato. La prima è una suddivisione ad ampio raggio che le divide in vittime attive e in vittime passive, cioè quindi se abbiano o meno contribuito al verificarsi dell’evento con atteggiamenti psicologici o comportamentali. Successivamente la classificazione venne approfondita nel 1976 da Gulotta il quale ravvisò le seguenti tipologie:
I. Vittime false:
a) Simulatrici: inventano deliberatamente il reato o l’evento
b) Immaginarie: invenzione inconsapevole a causa dell’età o patologia
II. Vittime reali
a) Fungibili: quando non possiede caratteristiche personali uniche, tali da farla preferire ad ogni altra potenziale vittima in modo assoluto
b) Infungibili: quei soggetti che per loro caratteristiche personali, non possono essere sostituiti con altri.
A loro volta le ultime due categorie sono state suddivise rispettivamente:
le fungibili in:
- Accidentali: nessun nesso causale con l’evento e nessuna conoscenza del reo
- Indiscriminate: colpite a scopo dimostrativo ( es. le vittime di strage)
- partecipanti: i soggetti mettono in atto comportamenti che in qualche modi favoriscono l’evento
le infungibili in:
- Alternative: è il caso delle vittime per duelli o risse, tali soggetti divengono vittima per puro caso o comunque non per il ruolo che essi hanno assunto dall’inizio, essendo le due parti potute essere alternativamente autore o vittima, la differenza dipende solo dall’epilogo del fatto
- Provocatrici: soggetti che rimangono vittime in seguito ad una loro aggressione, si può trattare anche di un comportamento prolungato nel tempo (es. maltrattamenti) che sfocerà in un epilogo nefasto.
- Volontarie: che decidono di divenire vittime per loro scelta
Sebbene utili per lo studio della vittima, tali categorie vengono criticate per l’eccessiva rigidità che le caratterizzano poiché non approfondiscono quel fattore umano e relazionale imprescindibile rispetto al reato e al suo autore. Risulta però agevole desumere dalla categorizzazione che la vittima non si limita a subire passivamente il reato ma che il suo comportamento è tale da influire sulla commissione del reato stesso ( senza ovviamente voler attribuire responsabilità alla stessa per quanto le è accaduto). Essa cioè con il suo comportamento, può svolgere un ruolo determinante nella criminogenesi e nella criminodinamica.
Si conferma cosi quel principio secondo cui il focus vada posto non esclusivamente sui singoli soggetti ma sulla relazione autore/vittima. La valutazione di questo aspetto permette di comprendere il percorso che ha portato dal c.d. passaggio all’atto, cioè cosa ha portato all’azione criminale. In aiuto alla valutazione interviene la teoria del feedback o retroazione secondo cui il comportamento di un soggetto agisce da stimolo sul comportamento di un secondo soggetto il quale attraverso un feedback, appunto, influenza il comportamento del primo soggetto in una visione circolare del nesso causale tra gli eventi. Il crimine è quindi frutto di interazioni ed è in base a questo aspetto che va analizzata la diade autore/vittima in cui i soggetti in maniera circolare si scambiano continui feedback (Gulotta 197).
L’espressione scelta della vittima alla luce di queste riflessioni va vista in ambedue le prospettive quindi, quella della vittima stessa intesa come la scelta di decisioni che possono portarla alla situazione di vittimizzazione e quella dell’autore del reato ovvero il processo decisionale che lo porta a discriminare tra diverse vittime possibili scegliendone una in particolare. L’esempio della meretrice potrà essere utile per chiarire, infatti il soggetto che decide di intraprendere tale attività (escludendo ovviamente quella parte di donne che sono state costrette) è consapevole che potrebbe diventare vittima di reato ma accetta tale rischio. Dal punto di vista dell’autore del reato la prostituta diventa la preda più facile da scegliere, ad esempio perché risulta agevole portarla in un luogo isolato, oppure perché consenziente a determinate pratiche sessuali, si pensi ad esempio ai sadici.
L’esempio appena fatto mette in evidenza quei fattori che aumentano il rischio di vittimizzazione e che sono propri del reato e sull’opportunità di commetterlo ovvero: l’attrattività, la facilità di accesso, il limite di rischio, il valore attribuito dall’autore.
Tali fattori vennero analizzati e rielaborati nel 1978 da Garofalo che ideò un modello di vittimizzazione ovvero il Lifestyle exposure model of victimization basato appunto sullo stile di vita e sull’esposizione al rischio, ripreso poi nel 1979 e rinominato Routine activity theory ( o teoria della triade esecutiva) la quale pone tre elementi alla base della scelta esecutiva dell’autore: appetibilità della vittima, assenza del controllo sociale (ad esempio la presenza di vicini di casa, familiari o comunque figure che possano impedire la commissione del delitto), livello di motivazione dell’autore. Complementare a tale teoria vi è la Rational choice theory ( o teoria della scelta razionale o dei costi benefici) ovvero la valutazione dell’autore in termini di costi e benefici sulla scelta da compiere per raggiungere l’obiettivo previsto. Solo nel 2004 si è elaborato un modello di vittimizzazione che ha introdotto il concetto di rischio differenziale ovvero l’ individuazione di quei fattori che persone o gruppi possano rimanere vittime di un reato e la valutazione di questi in senso differenziale cioè in relazione alla probabilità che si proiettino nel futuro. Confrontandoli rispetto ai vari gruppi sociali è cosi possibile rilevare la probabilità che ha il crimine analizzato di verificarsi, per poter elaborare strategie preventive. I modelli di vittimizzazione tengono in considerazione cinque articolazioni individuate dal criminologo R. Sparks nel 1982:
- la precipitazione: il comportamento della vittima incoraggia fortemente il comportamento del delinquente
- la facilitazione: la vittima accetta liberamente il rischio di venire vittimizzata
- la vulnerabilità: la vittima è esposta al rischio a causa del suo comportamento, dei suoi attributi e della sua posizione sociale.
Fattori di vulnerabilità vengono considerati l’età ( si fa riferimento ai minori purtroppo vittime di abusi e maltrattamenti, ma altresì alle persone anziane considerati anch’esse deboli), il genere ( in proposito per esigenze di trattazione si accennerà brevemente al fenomeno sempre più crescente della violenza sulle donne, trattato a livello internazionale con la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, Istanbul 2011 nella quale all’art.3 si definisce:
a) una violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione contro le donne, comprendente tutti gli atti di violenza fondati sul genere che provocano o sono suscettibili di provocare danni o sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica o economica, comprese le minacce di compiere tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica, che nella vita privata;
b) l’espressione “violenza domestica” designa tutti gli atti di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano all’interno della famiglia o del nucleo familiare o tra attuali o precedenti coniugi o partner, indipendentemente dal fatto che l’autore di tali atti condivida o abbia condiviso la stessa residenza con la vittima;
c) con il termine “genere” ci si riferisce a ruoli, comportamenti, attività e attributi socialmente costruiti che una determinata società considera appropriati per donne e uomini;
d) l’espressione “violenza contro le donne basata sul genere” designa qualsiasi violenza diretta contro una donna in quanto tale, o che colpisce le donne in modo sproporzionato; per “vittima” si intende qualsiasi persona fisica che subisce gli atti o i comportamenti di cui ai precedenti commi a e b; con il termine “donne” sono da intendersi anche le ragazze di meno di 18 anni.
In Italia il percorso legislativo sulla violenza di genere ha portato all’emanazione del D.L. 14 agosto 2013 n.93 il quale interviene in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere ad esempio rendendo possibile il procedere anche in assenza di querela per i reati di cui all’art. 582 sec. Comm. Del c. p. e definisce la violenza domestica come: “tutti gli atti, non episodici, di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano all’interno della famiglia o del nucleo familiare o tra attuali o precedenti coniugi o persone legate da relazione affettiva in corso o pregressa, indipendentemente dal fatto che l’autore di tali atti condivida o abbia condiviso la stessa residenza con la vittima.” Di ulteriore importanza è la l. n. 119/ 2013 che ha convertito in legge il precedente decreto introducendo ad esempio l’irrevocabilità della querela. Infine è stato elaborato uno strumento di valutazione del rischio di future vittimizzazioni e prevenzione del femminicidio denominato SARA ovvero Spousal Assaultment Risk Assessment consistente in un questionario caratterizzato da 15 fattori di rischio ad esempio: le gravi violenze fisiche/sessuali, le gravi minacce di violenza ideazione o intenzione di agire con violenza, l’escalation sia della violenza fisica/sessuale che delle minacce, i precedenti penali, disturbi mentali, l’abuso di sostanze la scarsa sicurezza di vita. ) ed infine la relazione ( ovvero il percorso d’interazione tra le parti che attraverso l’attribuzione di significati ai comportamenti determina la qualità della stessa.)
4.l’opportunità: la vittima per circostanze diverse si trova ad essere un facile bersaglio per il reo
5.l’attrattività: la vittima possiede qualità che attirano il reo verso di lei.
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