Non esprimere le emozioni: un problema psicologico

Articolo di Andrea Marini

La disregolazione affettiva è la sostanziale incapacità dell’individuo di saper comprendere, riconoscere e regolare autonomamente il significato funzionale dell’attivazione emotiva che sperimenta. L’impossibilità di tradurre cognitivamente le emozioni in unità esperienziali dotate di senso, in consapevolezza soggettiva, riflette la condizione drammatica di coloro che non riescono a mappare, attraverso un’interpretazione mentale, il loro arousal.

L’interesse nasce dalla considerazione che, come afferma Tyrer, «nell’esperienza emotiva normale il soggetto […] percepisce le sensazioni somatiche dell’attivazione fisiologica, ma avendo già individuato la fonte dell’attivazione egli considera queste sensazioni un fenomeno secondario. Nell’esperienza emotiva morbosa […] le sensazioni che egli prova non vengono comprese e tenderà quindi a vederle come fenomeni primari negando gli aspetti psichici della propria condizione»1.

Nel primo capitolo verranno illustrate brevemente alcune dottrine filosofiche sul fenomeno emotivo e successivamente, ne verrà data una rilettura analitico-epistemologica, nel tentativo di fornire un’interpretazione attraverso l’utilizzo di paradigmi scientifici contemporanei.

Successivamente sarà delineata la natura dell’alessitimia, quale deficit delle capacità simboliche di regolazione, differenziazione e verbalizzazione delle emozioni, tenendo conto dell’importanza che questo costrutto riveste nell’attuale teorizzazione psicoanalitica. Infine la presentazione di recenti sviluppi scientifici, a testimonianza del ruolo transnosografico che l’alessitimia riveste come fondamento eziopatogenetico di diversi disturbi fisici e mentali.

1. Παιδείαι alla catarsi emotiva a confronto
«Γνῶθι σαυτόν»2: questa l’iscrizione posta sul frontone del tempio di Delfi. É nei dialoghi platonici, in cui l’autore narra le vicende del suo psicopompo, che il principio delfico trova il suo massimo fiorire quale esortazione alla valorizzazione dell’interiorità, basata sulla conoscenza di sé. Il processo di autoconoscenza diventa quindi la conditio sine qua non per cui è possibile condurre una vita efficace, nel pieno delle virtù e dell’ἀταραξία3. Conoscersi vuol dire spingersi oltre la materialità delle cose, raggiungendo la σωφροσύνη4.
L’epicureismo ha costituito una delle ricchezze filosofiche di maggior rumore, anch’esso concentrandosi sulla possibilità dell’uomo di guardarsi dentro. Epicuro sostiene che il saggio, attraverso l’esercizio della ragione, debba ostacolare i piaceri innaturali, gratificando invece quelli naturali necessari e quelli naturali non necessari, nel rispetto dei criteri di misura e prudenza che costituiscono «il massimo bene ed il principio di tutte queste cose»5. Tenersi lontano dagli eccessi rappresenta l’unica via verso il raggiungimento dell’ἀπονία6, la liberazione dalle pene del corpo. L’unica soluzione per vivere «come un dio fra gli uomini»7 sembra proprio essere un «sobrio calcolo»8 che promuova una catarsi emotiva dalle passioni forti, dai piaceri più smodati, bramosi e banali.
Il viaggio si chiude all’interno del circolo di Mecenate, dove troviamo Quinto Orazio Flacco, che predilige il principio della greca μετριότης9, del giusto mezzo di tradizione aristotelica. Il poeta propone un’unica soluzione: «est modus in rebus»10. È la misura, l’equidistanza dagli eccessi che permette di condurre una vita soddisfacente, lontano dal “craving” di ricchezza meramente materiale. Il vero saggio è colui che teme non solo gli «obsoleti tecti»11, ma anche l’«invidenda aula»12.

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