Tecniche di formazione: come parlare a un gruppo di persone

di Raffaele Napolitano

Laboratori di apprendimento e campi di applicazione
E’ semplice intuire la connessione che sussiste tra l’insegnamento come mestiere e la leadership rispetto ai gruppi. La seconda, pur provenendo dall’ambito aziendale è contemporaneamente necessità e conseguenza del mestiere dell’insegnamento. Un leader deve saper insegnare come un’insegnante deve avere leadership del gruppo. Ma la leadership non è l’essere banalmente “carismatici”, almeno se intendiamo con la parola carisma quel modo di essere seducente e narcisista che alcune perone posseggono ed altre meno. Un carisma è una competenza, una capacità e pertanto può essere originario oppure appreso. L’idea è che ogni docente abbia uno stile di leadership che esprime con maggiore facilità perché connesso alla sua struttura di personalità, ma anche che ogni persona, se accetta di mettersi in gioco con impegno e disponibilità a crescere e cambiare, possa imparare se non tutto, molto più di quanto non possa immaginarsi. Come ho presentato nel paragrafo precedente, ogni stile di leadership impone un certo tipo di atti ed è utile per alcune funzioni e per alcuni tipi gruppi. Anche in una classe scolastica, in cui è interesse primario l’apprendimento delle differenti materie di studio, dobbiamo sapere che questo stesso apprendimento è vicario allo sviluppo della gruppalità.

2.3.1 Tecniche di formazione
La comunicazione, dunque strettamente connessa alla relazione, deve però essere visualizzata comunque come un mezzo di trasmissione di informazioni o di gestione di relazione utile alla funzioni ed agli obiettivi delle persone e dei gruppi. E’ importante quindi capire come la sola analisi dei processi comunicativi non sia utile fintanto che mediante essa non si producano modelli di gestione dell’interazione, differenziati a seconda delle funzioni e della relazionalità. Una semplice lezione universitaria richiede già dei criteri di efficacia ed efficienza. Come si può, quindi, essere credibili e convincenti, in un certo senso persuasivi e dunque efficaci nella trasmissione di informazioni nelle situazioni in cui ciò è necessario?

I punti da osservare sono principalmente cinque:
1. Avere cose importanti ed interessanti da dire;
2. Mantenere viva l’attenzione degli astanti;
3. Osservare tutti i presenti nell’aula;
4. Mantenere integra la “cornice”;
5. Rispettare gli stili cognitivi e d’apprendimento.

1) Avere cose importanti ed interessanti da comunicare.
Anche se, scritto così, possa sembrare scontato, non è poi così ovvio. Il concetto è quello di costruire una “rilevanza condizionale” (Goffman, 1969) con il pubblico. Stabilire una rilevanza condizionale vuol dire anche usare un linguaggio comprensibile e compatibile con il contesto; affrontare, infine, il discorso dal punto di vista di chi ci deve seguire.
E’ pertanto necessario a tal scopo modulare il proprio linguaggio sulle caratteristiche del gruppo con cui dobbiamo interagire ed altresì toccare con esempi e connessioni logiche eventi o situazioni vissute dai partecipanti che siano utili per rendere vicini i temi che si devono affrontare.

2) Mantenere viva l’attenzione degli astanti.
Come si fa? Muovendosi costantemente lungo tutto il “palcoscenico”. Ovviamente si deve stare in piedi, gesticolare ampiamente, avere una mimica facciale e fisica marcata e considerare che chi ci sta di fronte deve essere interessato anche a noi, non solo a quello che diciamo. Come le apine che da piccoli avevamo sopra il lettino. Le guardavamo perché erano colorate, visibili ma soprattutto perché si muovevano. In secondo luogo è necessario utilizzare un linguaggio emozionante ed evocativo, che trasmetta emozioni e coinvolga i partecipanti, a volte con una battuta, oppure utilizzando una parola un po’ osé si può ottenere il doppio dell’attenzione circa il tema che si deve sviluppare. Pur senza insegnare le parolacce.

3) Osservare tutti i presenti.
La sostanza è che ognuno dei presenti deve sentirsi direttamente coinvolto, deve sentirsi come diretto destinatario dei concetti esposti. Alcuni (facilmente riconoscibili perché fanno mille domande e sono seduti immediatamente dopo la cattedra) hanno bisogno di essere riconosciuti, basta fargli un complimento appena entrati e staranno buoni e calmi.

4) Mantenere integra la “cornice”.
Durante una lezione si crea un certo livello di attenzione e di tensione che è bene mantenere. Quest’ambiente viene definito nei contesti formativi come “cornice”, ovvero il perimetro che delimita questo contesto. Mantenerla vuol dire assicurarsi che i più esterni della stanza stiano seguendo e quindi rivolgere a loro una maggiore attenzione. Se i più esterni stanno seguendo quasi certamente lo staranno facendo anche gli altri.

5) Rispettare gli stili cognitivi e d’apprendimento.
Descrizione ed origine degli stili; quest’ultimo punto è quello sicuramente più complesso, come tale, richiede una spiegazione un po’ più approfondita e che quindi prenda avvio da più lontano.

Partiamo da un presupposto: non tutti apprendono nella stessa maniera, non tutti hanno lo stesso tipo d’intelligenza poiché quest’ultima è frutto di una precisa struttura mentale. Ma quante sono le intelligenze esistenti? In molti hanno dibattuto, il materiale in questo senso è davvero smisurato. Piaget, nel suo lavoro, evidenziava quattro criteri fondamentali: funzione senso-motoria, funzione pensiero pre-operativo, funzione pensiero operativo e funzione forma-autorappresentazione.
Wilber (1966) individua invece una struttura gerarchica che prende avvio da un trittico che si sviluppa in nove successivi modelli di struttura cognitiva. Così l’impostazione Trans logica si sviluppa in: causale, sottile, psichica. Quella Logica in: logica, riflessiva, ruolo e quella Prelogica in rappresentativa, emotiva e sensoriale.
Lowenfield e Brittain contribuiscono allo sviluppo della problematica suddividendo lo sviluppo cognitivo in sette categorie: emotivo, intellettuale, fisico, percettivo, sociale, estetico e creativo. Volendo sintetizzare, ci vengono incontro Gardner e Jacobson che costruiscono due strutture per le quali, se rapportate tra loro, si individuano sette tipi di intelligenze alle quali corrispondono sette modalità di comunicazione.

Poiché questo schema, per quanto rappresentativo, risulta ancora molto complesso, bisogna necessariamente semplificare le differenziazioni e quindi raccogliere i sette modelli all’interno di un numero minore di variabili.
In questo interviene R.J. Sternberg (1970) che racchiude tutto all’interno di tre essenziali modelli intellettivi: prestazione (ordinativo), meta componenziale (intuitivo) e acquisizione (descrittivo).
Per una migliore comprensione21: il modello ordinativo racchiude quello formale e pratico; il modello intuitivo, quelli intuitivo, espressivo ed estetico; il modello descrittivo quelli estetico (in parte), descrittivo ed emotivo.
Cosa vuol dire avere un modello oppure un altro di intelligenza? Essere un “ordinativo”, avere un’intelligenza schematica vuol dire tendere ad attivare processi di apprendimento che prevedono l’attribuzione al materiale introiettato di una scala di rilevanza e che necessitano di ordine e di logica consequenziale. Implica aver bisogno di uno studio metodico ed ordinato, la necessità di ripetere gli argomenti ed il ricorso ad una grande memoria. A questo modello si lega un particolare tipo di “frame”, particolarmente rappresentativo del modello relazionale docente-discente: domanda dell’insegnante – risposta dell’alunno – commento dell’insegnante. Questo modello (il più diffuso nelle scuole) si fonda sul presupposto che l’insegnante sappia già la risposta, c’è quindi un intento esclusivamente verificativo che non permette la costruzione di un nuovo schema, ma che richiede l’adesione a modelli d’apprendimento mnemonici.
Il tipo “intuitivo” non categorizza e tende a non ancorare il sapere in profondità. Prova piacere nella comprensione e confida nella sua capacità di saper ri-comprendere al bisogno. Non ordina e si coinvolge all’emergere di nuovi problemi. Il metodo di studio elettivo è la sintesi e l’aggregazione a grappolo delle conoscenze acquisite. Il “Frame” tipico è il seguente: domanda dell’insegnante –domanda dell’alunno- ulteriore domanda dell’insegnante. Qui la domanda dell’alunno è rappresentativa della comprensione della domanda del docente; è già da sé una verifica. Limite di tale frame è quello di non consolidare l’apprendimento in efficaci schemi di pensiero, che divengano stabili, e di non delimitare il campo del conosciuto.
Il tipo “descrittivo” tende a trovare un’armonia olistica nell’insieme dei dati. Concatena gli elementi gli uni con gli altri, storicizza la comprensione in eventi e momenti. Implica un metodo di studio che richiede la presenza (e la visione) di tutto il materiale inerente. Pur riuscendo ad ottenere un’ottima visione d’insieme al tipo descrittivo tendono a sfuggire le deduzioni e le intuizioni. Il frame relativo è di questo tipo: domanda dell’alunno –risposta del docente – ulteriore domanda dell’alunno. La risposta produce una nuova richiesta descrittiva che amplia e divaga nel contesto ed impedisce di afferrare il centro del problema.
A questo punto, bisogna ricordare che ogni individuo sviluppa tutte e tre le modalità, essere un “tipo” vuol dire avere una prevalenza in una di esse. Tecniche d’interazione con gli stili; altro non resta che definire delle tecniche d’interazione che facilitino l’apprendimento a seconda degli stili.
In questo caso è importante sapere che un tipo ordinativo, per ritenere interessante e seguire con facilità una lezione ha bisogno di dati tangibili uniti alle spiegazioni; vanno bene quindi lucidi, schemi, regole ben definite con altrettanto ben definite soluzioni. Infine ha bisogno che la spiegazione non sia troppo dispersiva o spaziale.
L’intuitivo, quasi all’opposto, ha bisogno di salti logici, sfide intuitive e spiegazioni brillanti. Ha bisogno di battute che stuzzichino la sua creatività, ha bisogno di poter esprimere la sua generatività all’interno di un sapere che dal suo punto di vista è in continua evoluzione. Ha, infine, bisogno di appassionarsi alla materia di studio.
Il descrittivo, bisognoso di legare l’apprendimento ad immagini e relazioni, chiede esempi ed aneddoti. Poi farà mille domande. Starà a voi non farlo disperdere nella sua incapacità di selezione.
Bisogna precisare che il relatore è al servizio di chi lo ascolta, pensare che siano gli altri a doverci seguire è solo sterile presunzione.

Bibliografia

Fielder F.E., “Theory of Leadership Effectiveness”, Mc Graw-Hill, New York, 1967

Mitchell, Reti, norme e istituzioni, in Piselli F. (a cura di), Reti. L’analisi di network nelle scienze sociali, Roma, Donzelli Editor, 1973.

Barbagli L, Masini V., Valutazione della Qualità relazionale e predittività del Burn-out e del mobbing nei gruppi di lavoro dei servizi per la giustizia minorile, in Rassegna Servizi Sociali, n 2, anno 44, 2005

Goffman E., (1969), The Presentation of Self everyday Life, Il Mulino, Bologna

Jakobson R., (1966), Saggi di linguistica generale, Feltrinelli, Milano

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