Psicologia del Lutto: fasi dell’Elaborazione del Lutto

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Sigmud Freud (1915), in Lutto e Melanconia, chiarisce in cosa consiste il lavoro compiuto dal lutto, affermando che quando l’Io si accorge di avere perduto l’oggetto d’amore, tutte le sue energie sono dirette nello sciogliere la propria libido da ogni forma di legame con questo oggetto.

Questo lavoro dettagliato e ripetuto passa attraverso un’intensificazione dell’attaccamento all’oggetto perduto con una reimmersione in tutti i particolari della propria esperienza vissuta con esso, e comporta una comprensibile ribellione da parte del soggetto, in quanto esso non si distacca volentieri da un legame libidico, nemmeno quando possiede già un sostituto. Nel caso in cui la ribellione raggiuga un’elevata intensità, si compie un distacco dalla realtà che favorisce il mantenimento dell’oggetto perduto attraverso una psicosi allucinatoria di desiderio. Questo compito di disinvestimento libidico, dunque, non si svolge immediatamente ma comporta un grande dispendio di tempo e di energia libidica, che prolunga l’esistenza psichica dell’oggetto perduto e che causa un doloroso dispiacere. Dopo il completamento del lavoro del lutto, l’Io torna libero e disinibito pronto per reinvestire energia libidica verso altri oggetti (Freud, S., 1915). L’inibizione, la mancanza di interesse e l’aspetto vuoto e spento tipico della persona in lutto, allora, è perfettamente chiarito dal lavoro di elaborazione della perdita che assorbe l’Io.

Il processo fisiologico del lutto si manifesta attraverso una prima fase di torpore e/o stordimento che dura da qualche ora fino a una settimana circa, con forti attacchi di angoscia e collera; una seconda fase di struggimento che dura mesi con la disperata ricerca della persona deceduta e rabbia proiettata verso l’esterno e che viene descritta attraverso una sequenza di comportamenti tipici come:

  1. muoversi senza sosta e la perlustrazione dell’ambiente,
  2. pensare in modo intenso il deceduto,
  3. mostrare attenzione solo verso quegli stimoli che richiamano alla memoria la persona scomparsa,
  4. dirigere l’attenzione verso luoghi dove potrebbe trovarsi la persona,
  5. pretendere il ritorno della persona scomparsa; una terza fase di disperazione dove inizia a realizzarsi la consapevolezza della perdita seguita da possibili stati depressivi reattivi con tristezza, apatia e chiusura in sé; ed un’ultima fase di riorganizzazione in cui si accetta la nuova condizione e si attribuisce una collocazione affettiva interna alla persona scomparsa con conseguente riapertura dei contatti con l’esterno (Bowlby, J., 1982).

Elaborazione del Lutto

L’elaborazione del lutto inizia già nella fase del lutto anticipatorio e consiste nel percorrere in modo graduale le diverse fasi di adattamento alla perdita che provoca una profonda ristrutturazione del mondo interno dell’individuo, in quanto il solo accomodamento alla situazione non risulta sufficiente per raggiungere lo stato di benessere. Inoltre, la durata del percorso di elaborazione è variabile e assume caratteristiche uniche in ogni individuo, ma normalmente si svolge nell’arco di 6-12 mesi (Pezzotta, P., 2002).

Il vissuto del lutto non consiste, dunque, in una condizione di stato ma in un processo che si compie nel tempo e che assume un andamento discontinuo per alti e bassi, in cui l’individuo alterna momenti di  maggiore consapevolezza a momenti di negazione o rimozione nei confronti della realtà della perdita (Lombardo, L., Lai, C., Luciani, M. Et all., 2014). L’insieme dei disturbi a livello emotivo, cognitivo, sociale e comportamentale è ampio e si manifesta attraverso alterazioni appena percettibili o profondi sentimenti di angoscia e di comportamenti disfunzionali (Boerner, K., Wortman, C.B., Bonanno, G.A., 2005). I vissuti che caratterizzano coloro che si trovano ad affrontare un lutto e che riguardano shock, angoscia, rabbia, senso di colpa, rammarico, ansia, paura, senso di solitudine, infelicità, depressione, immagini intrusive, depersonalizzazione e sensazione di essere sopraffatti, nelle fasi iniziali sono quasi onnipresenti, ma nelle fasi successive appaiono a ondate intermittenti e nelle fasi terminali sono evocati solo da specifici ricordi della persona scomparsa. Nel lutto normale o non complicato, la sofferenza ed il dolore per la perdita si intrecciano e si alternano a sentimenti positivi, di sollievo, pace e serenità che rappresentano, di solito nei sei mesi seguenti alla morte, un fattore di resilienza associato ad una prognosi positiva nel processo di elaborazione del lutto (Bonanno, G.A., Wortman, C.B., Nesse, R.M., 2004; Zisook, S., Shear, C., 2009). Dal punto di vista clinico, possono quindi distinguersi due fasi di lutto normale: una prima fase di lutto acuto, che si osserva nei periodi immediatamente successivi al decesso, dove i sentimenti luttuosi di perdita sono molto intensi e considerati inusuali anche dal soggetto stesso e che consistono in una profonda tristezza con forti crisi di pianto, disforia, disturbi neurovegetativi, difficoltà di concentrazione e disinteresse nei confronti delle attività e dei rapporti sociali; e una fase più tardiva di lutto integrato o costante, dove la persona scomparsa viene ricordata con più facilità e minor sofferenza nonostante la tristezza per la sua assenza, dove si assiste ad un ritorno allo svolgimento di attività quotidiane e ad un aumento di consapevolezza della perdita subita (Biondi, M., Costatini, A., Grassi, L., 1995; Lombardo, L., Carlo, L., Luciani, M., et all., 2014). Il passaggio dalla fase acuta a quella di lutto integrato avviene entro i primi mesi dal decesso e si caratterizza dal fatto che le ferite causate dal dolore della perdita  cominciano a guarire, la persona riprende una vita sociale insieme alle normali attività del quotidiano e la persona scomparsa viene collocata nella propria memoria e introiettata. In questo periodo sono spesso presenti sentimenti relativi al senso di colpa, in quanto si pensa di non aver fatto tutto ciò che era possibile fare per impedire la morte della persona cara, come per esempio non aver tentato altre strade mediche percorribili. Il senso di colpa deriva anche dall’aver formulato pensieri cattivi e malvagi nei confronti del malato, come il pensiero di voler accelerare l’avvento della morte per diminuire la propria sofferenza e quella del paziente, e il senso di colpa per credere di essersi comportati in modo tale da aver causato la malattia (Campione, F., 1990). I sentimenti di colpa possono durare per lungo tempo e procurare molta sofferenza e sono frequenti soprattutto nei genitori a seguito della perdita dei loro bambini. Miles e Demi (1986) evidenziano sei tipi di manifestazioni di colpa nei genitori in lutto per la perdita di un bambino: colpa per aver causato la morte, dove si pensa di non aver protetto a sufficienza il proprio bambino dalla malattia, colpa morale, in cui si pensa che la sofferenza e la morte del proprio figlio sia dovuta ad una punizione per aver infranto in qualche modo una legge morale o religiosa, colpa collegata alla malattia, dove si pensa di non aver assunto un comportamento adeguato nel periodo di malattia del bambino o nella fase terminale, colpa per essere sopravvissuti, dove ci si sente in colpa per essere ancora in vita e si pensa che il proprio bambino avrebbe dovuto sopravvivere al proprio posto, colpa legata al ruolo genitoriale, in cui si pensa di non avere svolto un ruolo genitoriale efficiente rispetto alle aspettative dei singoli, della coppia o della società, e infine la colpa legata al dolore, dove si pensa di non avere sofferto o soffrire nel modo giusto per la morte del proprio figlio (Miles, Demi, 1986). Malgrado ciò, nel processo fisiologico di elaborazione del lutto possono verificarsi dei momenti di riacutizzazione dei sintomi in correlazione con la presenza di eventi significativi come festività, anniversari, compleanni, altre perdite o in periodi particolarmente stressanti (Shear, K., Shair, H., 2005). Il lutto normale (non complicato) di solito si svolge spontaneamente verso la risoluzione e non impiega più di un anno dalla morte del malato e non sono stati individuati segni clinici tali da rendere necessari particolari interventi terapeutici di natura psicologica (Jordan, J.R., Neimeyer, R.A., 2003; Schulz, R., Herbert, R., Boerner, K., 2008).

di Giulia Detti

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