Resilienza: i fattori protettivi dello stress

Articolo di Alessandra Serio

 

I fattori protettivi possono avere un duplice ruolo: di promozione del comportamento positivo, di moderazione o tamponamento dell’effetto dell’esposizione al rischio.

E’ bene sottolineare che, alla luce del modello interazionista odierno, i singoli fattori di protezione e di rischio non determinano da soli, direttamente, un’influenza, bensì, concorrono nel determinare la probabilità del verificarsi o meno di un evento, interagendo gli uni con gli altri, in un reciproco rafforzamento o indebolimento (Bonino, Cattelino, 2008).

I fattori di protezione vengono così definiti, perciò, in quanto rivestono un ruolo chiave nel ridurre gli effetti negativi provocati da circostanze di vita avverse, consentendo un adattamento positivo dell’individuo e di conseguenza incrementando la resilienza.

Diversi studi (Masten, 1994); (Rutter, 1987); (Werner, Smith, 1982) indicano che le macro aree dei fattori protettivi risultano essere tre, ossia caratteristiche individuali, ambiente familiare e contesto sociale allargato:

  •  Fattori personali: questa categoria include l’autonomia, il senso di fiducia personale, l’apertura alle relazioni sociali, la capacità di risolvere i problemi e prendere decisioni, il porsi obiettivi ed essere in grado di raggiungerli; inoltre essa include le competenze cognitive, relazionali, emotive e comunicative che sono state definite dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) come life skills che permettono agli individui di gestire ed affrontare efficacemente le sfide poste dai cambiamenti.
    Ulteriori fattori protettivi sono rappresentati dall’essere primogeniti, avere un buon temperamento, essere sensibili, possedere autocontrollo, e possedere la consapevolezza che la proprie conquiste siano dovute ai propri sforzi (locus of control interno); il comportamento seduttivo, infine, permette all’individuo di accettare gli aiuti offerti.
  • Fattori familiari: è di importanza basilare che l’individuo, fin dall’infanzia, possa disporre di una figura di riferimento positiva all’interno e all’esterno del contesto familiare; che si costruisca una solida rete sociale di supporto e che abbia l’opportunità di condurre esperienze volte al consolidamento della propria autostima e dell’autoefficacia; elementi importanti legati al contesto familiare risultano essere il calore e la coesione familiare, lo stile educativo, il supporto e l’apertura al dialogo, la flessibilità delle regole e la supervisione; dalle ricerche emerge inoltre che, relativamente a questa categoria, è importante che il bambino durante il primo anno di vita abbia ricevuto elevata attenzione da parte dei genitori, che abbia assistito ad una relazione di qualità tra gli stessi, e che abbia ricevuto sostegno materno.
    Fattori comunitari: la comunità è importante in quanto promotrice di interventi volti al benessere che favoriscono elementi quali coesione sociale, partecipazione e solidarietà; l’individuo inoltre deve avere la possibilità di impiegare il tempo in attività che abbiano per lui un significato, al fine di realizzare il proprio Sé.

La considerazione dei fattori protettivi è fondamentale in un’ottica di esplicazione multifattoriale dei processi di sviluppo caratterizzati da patologia o meno.

I bambini che possono contare su diversi fattori protettivi, nonostante la possibile esposizione a situazioni di rischio, crescono in condizioni adeguate e si rivelano resilienti; al contrario, i bambini che non possono contare sui fattori protettivi, risultano essere più vulnerabili e manifestano difficoltà sul piano emotivo e comportamentale.

Gli individui resilienti, coltivano in sé, nelle relazione interpersonali e nel proprio contesto di vita, elementi necessari a superare le avversità, e che si configurano quali fattori protettivi, contrapposti ai fattori di rischio, i quali agiscono riducendo la capacità dell’individuo di sopportare e gestire il dolore.

A seconda che, in base al periodo storico, la resilienza sia stata considerata come un tratto prima, e come un processo poi, vi sono due relativi filoni teorici a riguardo, ciascuno dei quali individua precisi elementi considerati fattori di protezione.
Secondo il primo filone, Block e Block hanno introdotto il modello di Ego-Resiliency con cui si intende la capacità della persona di interagire con l’ambiente in maniera efficace, apportando modifiche ai propri comportamenti in modo flessibile.
Se pertanto essa si configura alla stregue di una capacità di flessibilità e plasticità da parte dell’Io, possiamo immaginare di collocarla in un continuum, al cui opposto si trova l’Ego-Brittleness, ossia la fragilità dell’Io, che implica la tendenza a perseverare in comportamenti disfunzionali e disadattivi (Block e Block, 1980).

A proposito del costrutto definito ego-resiliency uno studio condotto su un gruppo di 218 studenti di età compresa tra gli 11 e i 19 anni, analizzando la relazione tra la qualità dei legami di attaccamento ai genitori e ai pari da un lato e l’ego-resiliency e l’autostima dall’altro, ha dimostrato che:

  • l’autostima è associata positivamente solo alla sicurezza dell’attaccamento materno;
  • l’ego-resiliency è associata positivamente alla sicurezza dell’attaccamento alla madre e ai pari;
  • i ragazzi possiedono maggiori livelli di autostima ed ego-resiliency rispetto alle ragazze (Miano, Ingoglia, Campo, Logiuoco, 2017)

Relativamente al secondo filone teorico, che intende la resilienza alla stregua di un processo dinamico, Luthar ha provato ad utilizzare etichette differenziate per indicare i fattori protettivi salienti. Ha definito “protettivi” i fattori individuali con effetti diretti sul fronteggiamento di un evento critico (self efficacy, locus of control interno etc..) distinguendoli in:

  • fattori protettivi – di stabilizzazione: fattori individuali che conferiscono stabilità nelle competenze di fronteggiamento nonostante la progressiva gravità del rischio;
  • fattori protettivi-di miglioramento: fattori che favoriscono l’aumento delle competenze di fronteggiamento degli eventi critici; è questo il caso in cui l’evento critico è gestibile in ragione della fase di sviluppo in cui ci si trova;
  • fattori protettivi ma reattivi: fattori individuali che conferiscono generalmente vantaggi, ma meno quando la gravità del rischio è relativamente bassa (Luthar, 1993).

All’interno del modello biopsicosociale di Kumpfer, invece, i fattori protettivi vengono differenziati in due principali macro aree:

  1. Fattori protettivi interni: vengono definiti tali in quanto possono favorire l’adattamento ad un evento critico, mitigando gli effetti negativi dell’esposizione al rischio. Essi possono essere di tre tipi: 1) biologico-genetico 2) psicologico 3) temperamentali e di personalità.
  2. Fattori protettivi esterni o ambientali: rientrano in questa categoria quei fattori ambientali e culturali che possono supportare il processo di adattamento (Kumpfer, 1999).

Non sempre un fattore protettivo si rivela positivo ed adattivo nel corso dello sviluppo dell’individuo, né un fattore di rischio rappresenta sempre una minaccia.
Uno studio condotto da Benitez e Canales (Benitez & Canales, 2013) su 105 studenti, al fine di indagare la relazione tra impiego del pensiero critico e resilienza individuale ha messo in evidenza come precedenti esperienze giovanili rischiose hanno aiutato, in un secondo momento, i ragazzi a risolvere difficili situazioni accademiche e problemi di natura sociale.

Pertanto, una situazione di fallimento scolastico, che potenzialmente rappresenterebbe un fattore di rischio per l’individuo, può trasformarsi in un fattore protettivo, nel momento in cui l’individuo è in grado di riflettere criticamente sui propri problemi, anziché evitarli.
Ciò conferma l’ottica del modello interazionista, secondo cui è l’integrazione tra diversi fattori che determina l’esito di situazioni (potenzialmente) stressanti per l’individuo.

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