Dovremmo chiederci perché l’anoressia è più frequente nei paesi ricchi

Questo articolo spiega perché l’anoressia si sviluppa di più nei paesi ricchi. E’ assente nelle società primitive. Non si verifica quasi mai nelle famiglie di immigrati che sono da tempo in Occidente. A parlarne è Alice Maggini che ha condotto questa tesi di etnopsichiatria.

Studi sulle interazioni tra disturbi della condotta alimentare e contesto sociale hanno suggerito che vi siano determinanti culturali tali da poter essere annoverata tra le culture-bound sindrome (Prince, 1983) ovvero essere considerato un disturbo ertnopsichiatrico[1].

Essendo infatti presente prevalentemente in determinati contesti culturali e sociali o in circoscritti momenti storici. E’ appurata la relazione a motivazioni potenzialmente connesse ad uno specifico assetto sociale, con ipotizzabile distinto significato etnologico (Gordon, 1991).

I disturbi del comportamento alimentare risultano presenti quasi esclusivamente in Occidente e riguardano tipicamente giovani donne di classe sociale medio- elevata (Russell, 1979).

Una suggestiva sinossi delle caratteristiche di questi disturbi arriva da Bartocci e Paoletti (1995), con specifico riferimento all’anoressia nervosa emerge:

  • l’assenza del disturbo nelle cosiddette popolazioni primitive
  • la mancanza di disturbi simili in popolazioni non bianche
  • l’assenza del disturbo nei paesi in via di sviluppo
  • una corrispettiva incidenza massima nella società occidentale industrializzata,
  • si segnala inoltre una bassa incidenza in popolazioni emigrate da tempo in Occidente.
  • Se ne deduce che l’anoressia si sviluppa nei paesi ricchi

Va sottolineato che nelle culture orientali il concetto di peso corporeo nei suoi risvolti estetici è sicuramente considerato in maniera molto differente se non nettamente opposta alla visione occidentale.

La magrezza è un canone di bellezza solo in alcune nazioni

La magrezza in Occidente considerata virtù femminile, in altri Paesi è ritenuta fattore negativo; nella cultura araba ad esempio l’idea di grassezza è considerata simbolo di femminilità e maternità  (Nasser, 1988).

Partendo da un’analisi dei disturbi alimentari, inquadrandoli come patologie culturalmente caratterizzate, è subito emersa la domanda che ha dato il via all’indagine conoscitiva: “Cosa accade a chi proviene nelle origini da un’altra cultura ma è nato o vive in Occidente?”

Il quesito che ha mosso  questo lavoro di ricerca parte da quanto emerso dai dati etnopsichiatrici che incorniciano chiaramente i disturbi del comportamento alimentare all’interno delle culture-bound sindromes della società Occidentale, si è quindi posto uno sguardo sui disturbi alimentari negli immigrati residenti in Italia e con un occhio particolare a quelli di seconda generazione.

L’effetto dei processi migratori nella comprensione dell’anoressia, un disturbo influenzato da fattori culturali

Ipotizzando che, se per i primi il contesto ospite  si configura anche per molto tempo come luogo di estraneità, di esilio con usi e costumi lontani dalle proprie origini, per i figli che vi abitano fin dalla nascita, esso costituisce l’ambiente di riferimento per la socializzazione e l’investimento.

Questa affinità verso il proprio Paese nativo si affianca però alla possibilità di definirsi anche in relazione al luogo distante.

A cui si appartiene per discendenza, anche se di esso si sa poco e la relazione è solo ideale.

È in questi ragazzi che possono scontrarsi le tensioni fra modelli diversi e sistemi culturali  contrastanti.

Ed è probabile che venga  chiesto  loro di fungere da mediatori fra interno ed esterno del nucleo famigliare, il bambino prima e l’adolescente poi potrebbe ritrovarsi:

  • a sperimentare la difficile ambivalenza fra l’adesione alle norme dell’ambiente
  • a sviluppare senso di tradimento nei confronti della famiglia
  • adesione ai valori domestici che determina però la non integrazione con i coetanei (Talini; Vacchiano, 2006).

In questo arduo compito di costruzione identitaria con forte peso delle dinamiche transgenerazionali e transculturali. Che tipo di risvolto può esserci dal punto di vista psicopatologico?

E in particolare con i disturbi alimentari?

Il processo migratorio è un dato consolidato nel nostro Paese secondo i dati ISTAT al 1 Gennaio 2017 i cittadini non comunitari regolarmente presenti in Italia sono 3.714.137 (ISTAT, 2017).

Il processo migratorio costituisce una realtà complessa e articolata che introduce una frattura nella continuità temporale dell’individuo.

La nostalgia delle proprie origini si associa alla necessità di elaborare la separazione e la perdita, per avviare il progressivo inserimento alla nuova cultura.

Questo obbliga il soggetto alla necessità di risolvere al più presto il complicato rapporto tra il passato e il Paese di origine, da combinare con la nuova realtà culturale.

I vissuti di incertezza e disorientamento riportati da questi soggetti,  sottolineano come il processo migratorio debba essere considerato nel suo aspetto globale.

Questo va oltre la mera ubicazione e coinvolge la persona nella sua interezza, nei bisogni, desideri e attese individuali e familiari.

Tra i possibili problemi dell’integrazione culturale potrebbe farsi portavoce il rapporto con l’alimentazione essendo l’aspetto più fragile in quanto le abitudini alimentari e il rapporto con il cibo sono connessi a

  • tradizioni
  • stili di vita
  • credenza religiose di ogni popolo.

Che cos’è l’etnopsichiatria (definizione)

Etnopsichiatria: è un ramo della psichiatria che si occupa di studiare e di classificare i disturbi e le sindromi psichiatriche tenendo conto:

  • dello specifico contesto culturale in cui si manifestano
  • del gruppo etnico di provenienza
  • del gruppo di appartenenza del paziente.

In particolare, essa è la disciplina che mette in risalto la specificità di certi disturbi strettamente collegati all’ambiente culturale di insorgenza e non riducibili a categorie psichiatriche universalmente riconosciute o condivise.

Tale approccio scientifico è considerabile una forma di etnoscienza  nel momento in cui tenta di comprendere il punto di vista emico delle popolazioni rispetto alle condizioni psichiatriche prese in esame.

Articolo di Alice Maggini – anoressia paesi ricchi

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