Come dare aiuto alla famiglia del malato di Alzheimer

L’intervento a sostegno del caregiver si articola su tre livelli:

  • Formazione/informazione
  • Supporto psicologico
  • Psicoterapia

Con il primo punto si intende il continuo ricercare informazioni riguardo la malattia e i metodi di cura, le nuove scoperte e cosa ci dicono gli esperti. È opportuno prendere tutte le misure precauzionali e non pensare di essere arrivati a conoscere tutto. Spesso ciò che rallenta la nostra conoscenza è la paura di sapere, di ricevere una notizia che confermerà i nostri timori. Con la diagnosi infatti tutto diventerà certo e non ci si potrà più nascondere dietro al “è la vecchiaia” o “è normale alla sua età, non c’è da preoccuparsi”.

Invece è normale e sano preoccuparsi, essere preparati a ciò che accadrà. La consapevolezza della malattia e di quello che sarà il decorso sono infatti fattori protettivi e aiuteranno il caregiver a sentirsi meno impotente; ciò che spesso accomuna chi si occupa di malati di Alzheimer, è la sensazione d’impotenza, di non avere nulla in mano per poter fare qualcosa; essere informati e soprattutto formati, aiuterà i caregiver ad assumersi maggiori responsabilità con più sicurezza e fiducia in sé stessi.

Tra gli interventi possibili troviamo:

1) di tipo psico-educazionale,

2) di supporto,

3) di psicoterapia,

4) di terapia comportamentale/cognitiva,

5) di manipolazione fisica o contatto fisico,

6) di respiro alla cura,

7) multidimensionale,

8) con interventi tesi a migliorare la competenza del paziente, ecc.

Gli interventi di tipo psico-educazionale e di psicoterapia hanno ottenuto effetti a breve termine più consistenti nel ridurre la fatica, la depressione e lo stress del cargeiver.

L’intervento psico-educazionale utilizza un programma strutturato che produce informazioni sul progredire delle malattie dei pazienti, le risorse ed i servizi disponibili e sui percorsi di formazione per i caregivers, in modo che essi possano rispondere efficacemente alle problematiche connesse alle malattie in gruppo o individualmente.

Può svolgersi sia individualmente sia in gruppo; seppure i secondi siano più frequenti per il loro rapporto costo-efficacia, vari studi e meta-analisi hanno riscontrato che i primi sono più efficaci nell’alleviare lo stress del caregiver.

Ogni tipo di intervento si pone come obbiettivi il sostenere le famiglie per alleviare la solitudine, sollevarle dal peso della malattia e migliorarne la qualità della vita, attraverso la solidarietà personale e sociale.

Un ulteriore obiettivo imprescindibile in chi offre formazione e supporto psicologico è il dare dignità e legittimità ai problemi e ai diritti dei caregivers. La legittimità costituisce un punto cardine nella vita di queste famiglie, poiché spesso i caregivers non si sentono legittimati a chiedere aiuto e a riconoscere i proprio bisogni; la priorità è la persona malata.

Esistendo una forte correlazione tra lo stress e la malattia, andando a ridurre il primo, andremo a ridurre anche il rischio di aggravamenti di malattie esistenti o di esordio di nuove malattie per via di:

  • Effetti diretti dello stress sul corpo attraverso iperstimolazioni dei meccanismi ormonali, provocando così un malfunzionamento dei vari sistemi;
  • Comportamenti messi in atto al fine di ridurre lo stress, come abuso di alcool, fumo e farmaci (Di Salvo, 2013).

Tra gli interventi di gruppo, il più utilizzato è quello dell’auto-aiuto: un gruppo, di solito composto da una decina di persone, che si crea tra persone che hanno un problema in comune per fornirsi reciproca assistenza ed è considerato un valido strumento per assicurare ai partecipanti un reciproco sostegno emotivo. Lo scopo essenziale è quello di dare ai membri del gruppo l’opportunità di condividere le loro esperienze e di aiutarsi ad affrontare i problemi esistenti.

Ogni partecipante viene spinto all’azione concreta e all’acquisizione di specifiche informazioni, inerenti soluzioni pratiche e apprese tramite l’esperienza diretta, non ricavabili né da libri, né da operatori professionali, né da istituzioni assistenziali.
I membri del gruppo si trovano inseriti in una sorta di piccolo sistema sociale nel quale smettono di essere dei portatori di disagio, diventano membri di una rete di tipo familiare e vengono considerati come potenziali fonti di risorse. I gruppi di auto mutuo-aiuto, pur costituendo delle ottime iniziative di supporto, non sono però da considerarsi sostitutivi di una adeguata psicoterapia individuale o di gruppo, nelle quali l’esperto non si limita al ruolo di facilitatore ma assume un ruolo terapeutico diretto, volto al miglioramento della qualità della vita. È pertanto fondamentale aderire ad un piano di trattamento psicoterapico individuale o di gruppo; un tipo di psicoterapia risultata efficace, è quella che prende spunto dalle tecniche della CBT e le adatta al setting di gruppo. È un tipo di trattamento psicoeducativo ed utilizza vari metodi e strumenti:

  • diari di auto-osservazione, per favorire la presa di consapevolezza: monitoraggio delle proprie strategie di coping e problem solving, utile a smuovere meccanismi di autoanalisi indispensabili, per accrescere il proprio empowerment decisionale nelle situazioni problematiche;
  • registrazione di pensieri disfunzionali e ristrutturazione cognitiva;
  • incremento delle strategie di coping e problem solving, tramite il confronto attivo
  • apprendimento vicario a partire da modelli di comportamento “più abbordabili” (Sedda et al., 2012).

di Ilaria Giardini

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