Come riconoscere e affrontare la ruminazione mentale
Prima di focalizzare l’attenzione sulla dimensione rabbiosa della ruminazione, è opportuno delineare gli aspetti e i meccanismi che caratterizzano il fenomeno della ruminazione mentale.
La ruminazione è definita come un processo cognitivo caratterizzato da uno stile maladattivo di pensiero focalizzato su sensazioni, stati interni e sulle loro conseguenze (Martino, Caselli, Ruggiero & Sassaroli, 2013). Si configura in una catena di pensieri e interrogativi generici del tipo “Perché…?” “Perché io…?” “Che significa…?” elaborata in reazione ad una emozione negativa.
Tramite il meccanismo della ruminazione, l’individuo è convinto di poter gestire le credenze e i pensieri negativi individuando una soluzione efficace per il controllo dei propri sentimenti di tristezza. Tuttavia, in genere, tale processo piuttosto che condurre ad una effettiva risposta e soluzione, incrementa e aggrava l’intensità degli stati emotivi correlati ad esperienze dolorose o fallimentari (Fisher & Wells, 2009). Pertanto la ruminazione viene intesa come un fenomeno controproducente e disfunzionale che conduce l’individuo a concentrare la propria attenzione sulle esperienze emotive negative, il che comporta una distorsione della percezione sia di se stessi che dell’ambiente circostante (Wells, 2009).
Ciò nonostante, una serie di studi ha dimostrato come la ruminazione non conduca necessariamente ad esiti negativi, ma può portare anche a risultati positivi.
A tale proposito è opportuno distinguere fra ruminazione astratta-analitica e ruminazione concreta-esperienziale. La prima si concentra sulla valutazione globale degli eventi, sul significato personale che assumono per l’individuo e sulle implicazioni rispetto alla propria esperienza; la seconda si focalizza sugli aspetti specifici, contestuali e concreti delle situazioni. Tali due differenti tipi di ruminazione hanno ripercussioni diverse sull’esperienza emotiva e comportamentale dell’individuo; infatti, mentre la ruminazione astratta-analitica conduce a una valutazione globale negativa di sé, la ruminazione concreta-esperenziale può diminuire i sintomi e i giudizi negativi (Valle, Cavalli & Marchetti, 2011). Andando ad esaminare gli aspetti fondamentali della ruminazione, è possibile notare come quest’ultima sia caratterizzata da diverse dimensioni, fra cui la ripetitività, la presenza di contenuti a valenza negativa, l’attenzione analitica su di sé, l’incontrollabilità del pensiero, l’astrattezza e le capacità mentali.
Innanzitutto è bene sottolineare come la ruminazione si esprima attraverso un dialogo interno contraddistinto dalla ripetizione delle medesime espressioni e quesiti i cui contenuti si riferiscono al sé e hanno una valenza prevalentemente negativa.
La ripetizione dello stesso pensiero negativo è responsabile della percezione di impotenza e di incapacità nel risolvere problemi e sostiene la continua proliferazione di pensieri intrusivi. Un ulteriore aspetto caratterizzante il processo di ruminazione mentale è la forte tendenza dell’individuo a porre in primo piano le proprie sensazioni e i propri pensieri, dirigendo l’attenzione sugli stati interni al fine di comprenderne il significato, le cause e le conseguenze. Pertanto viene accentuata la percezione soggettiva a svantaggio della capacità di cogliere modalità alternative che possano sia attivare stati opposti all’emozione negativa che produrre soluzioni efficaci.
L’utilizzo continuo e costante della ruminazione fa sì che quest’ultima venga percepita come un processo automatico e incontrollabile e che, quindi, il pensiero sia collocato al di fuori del nostro controllo. Inoltre, poiché la ruminazione è una modalità di elaborazione delle informazioni, è necessario avere a disposizione una certa quantità di risorse cognitive per favorire l’attivazione di tale processo. Infine è opportuno valutare il livello di astrattezza del pensiero soggetto a ruminazione, il quale più è astratto e più sarà generico, ambiguo e indistinguibile (Caselli, Giovini, Giuri & Rebecchi, 2011). Per quanto concerne i modelli teorici della ruminazione, è necessario innanzitutto citare la Response Style Theory (Nolen-Hoeksema, 1991), modello che presenta il maggior numero di ricerche empiriche a supporto di tale costrutto.
Tale teoria definisce la ruminazione come un processo cognitivo finalizzato all’autoregolazione e al monitoraggio degli stati emotivi e affettivi; si tratta di una strategia disfunzionale caratterizzata dalla eccessiva focalizzazione attentiva su sintomi negativi che comporta il mantenimento delle emozioni negative ed una loro intensificazione. Tale modello teorico ritiene che, in assenza di strategie alternative, l’individuo ricorra all’utilizzo delle medesime strategie acquisite precocemente attraverso la ripetizione automatica e continua delle stesse. Un ulteriore modello di riferimento è la Self Regulatory Executive Function Theory (S-REF) (Wells & Matthews, 1994) il quale ipotizza che la ruminazione viene sostenuta e attivata dalle cosiddette credenze metacognitive, ovvero convinzioni relative al funzionamento, agli aspetti e alle conseguenze di tale stile di pensiero. Tali credenze interagiscono fra di loro favorendo una modalità di elaborazione delle informazioni incentrata sul significato del sintomo il quale assume una posizione di rilievo all’interno della coscienza individuale. Rispetto al modello precedente la S-REF sostiene che l’utilizzo di tale strategia cognitiva sia supportata da regole e convinzioni circa la sua funzionalità e utilità. Attualmente però i dati che sostengono tale ipotesi sono ancora insufficienti. Un’altra linea di ricerca (Moulds, Kandris, Starr & Wong, 2007) afferma che la strategia cognitiva della ruminazione viene utilizzata al fine di evitare, in maniera più o meno consapevole, le esperienze negative e dolorose attraverso una modalità di processamento verbale che ridurrebbe l’intensità emotiva. Pertanto tale processo consentirebbe di distogliere l’attenzione dalle emozioni spiacevoli favorendo l’evitamento cognitivo di ricordi legati ad esperienze traumatiche.
Un successivo orientamento teorico ritiene invece che il processo cognitivo della ruminazione sia sostenuto ed attivato dalla scarsa flessibilità del sistema cognitivo-attentivo e, soprattutto, dalla limitata capacità a spostare e dirigere l’attenzione da un contenuto cognitivo ad un altro (Martino et al. 2013). Rispetto alla funzione e agli scopi della ruminazione è possibile individuare due principali tesi dominanti. La prima considera la ruminazione come un processo cognitivo finalizzato ad evitare le esperienze emotive negative e spiacevoli, mentre la seconda la definisce come una modalità disfunzionale di elaborazione delle informazioni finalizzata all’autoregolazione. La ruminazione rappresenta dunque un mezzo attraverso il quale vengono esaminati i fattori e le cause determinanti lo stato di sofferenza al fine di elaborare strategie di soluzioni efficaci per alleviare e ridurre il malessere. Pertanto la ruminazione sarà supportata, oltre che dagli stati emotivi negativi, anche da convinzioni soggettive le quali, a loro volta, possono essere distinte in credenze metacognitive e segnali di stop. Le credenze metacognitive, che riguardano il funzionamento e le dinamiche della ruminazione, si differenziano in positive e negative, a seconda che la ruminazione venga concepita come mezzo per fronteggiare e reagire alle esperienze dolorose oppure come fenomeno incontrollabile e automatico. I segnali di stop possono essere descritti come criteri utilizzati a livello soggettivo al fine di definire l’obbiettivo da perseguire tramite il processo della ruminazione mentale. Il processo ruminativo viene eventualmente abbandonato e interrotto qualora l’individuo ritenga di aver individuato una soluzione efficace ed adeguata alle proprie problematiche (Caselli et al. 2011).
La maggior parte degli studi condotti sul tema della ruminazione mentale evidenziano come tale processo sia particolarmente interconnesso con le reazioni depressive. Tuttavia ulteriori ricerche sottolineano come questo meccanismo svolga un ruolo fondamentale in un’ampia varietà di disturbi psicologici, ad esempio nelle problematiche sessuali, dove si configura quale fattore che può danneggiare il funzionamento sessuale dell’individuo (Giuri, Caselli, Manfredi, Rebecchi & Granata, 2011), o ancora nei disturbi alimentari, dove induce l’individuo a riprodurre comportamenti patologici come abbuffate o vomito autoindotto (Animento, Baiocco & Mezzaluna, 2011). Recentemente, invece, è stato indagato il ruolo della ruminazione nel disturbo borderline, il cui processo sembrerebbe implicato in alcune manifestazioni psicopatologiche di tale sindrome (Martino et al. 2013)
di Jasmine Dionigi
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