Euristiche e bias cognitivi: effetto disgiunzione

di Ilaria Polidori

UNA IV REGOLA: ALTERNATIVE IRRILEVANTI ED EFFETTO DISGIUNZIONE

Abbiamo già visto nel paragrafo introduttivo come una delle critiche rivolte alla teoria economica neoclassica riguardasse proprio il fatto che non sempre gli individui abbiano delle preferenze spiccate nei confronti delle varie alternative che essi si
trovano a dover valutare. I motivi possono essere i più vari, ma uno dei più frequenti riguarda il caso in cui le alternative possibili differiscono per caratteristiche che non appaiono immediatamente comparabili.
Ad esempio dovendo scegliere fra due auto, sceglierò quella più confortevole ma il cui consumo è decisamente superiore, o
quella meno confortevole ma con i consumi più contenuti?
Questo tipo di scelte risultano tanto più complesse, ove si tenga in considerazione che in base ad esse spesso si tende a violare anche un altro assioma fondamentale della teoria delle scelte razionali: il cosiddetto “sure-thing principle” (principio della cosa sicura) teorizzato da Savage e che in sostanza dice al soggetto economico che non tutti gli stati del mondo sono per esso significativi, per cui si possono tralasciare quelli che non sono rilevanti nella determinazione delle sue decisioni, appuntando
l’attenzione su quegli stati del mondo attesi che hanno per lui elevata probabilità (semmai definita soggettivamente) ed elevata
rilevanza soggettiva.
In poche parole la scelta deve essere indipendente dalle alternative irrilevanti. In genere questo assioma viene esemplificato con la seguente storiella (Butler, Hey, 1987):
Un tale entra in un ristorante e guarda il menu. Egli è indeciso se scegliere una bistecca ai ferri o una sogliola al limone. Alla fine si decide per la sogliola. Quando arriva il cameriere per l’ordinazione, lo informa che c’è anche del pollo arrosto, non menzionato nel menu. “In questo caso – replica l’uomo – prenderò una bistecca”.
Secondo la teoria della scelta razionale, l’opzione pollo arrosto ha rilevanza solo se quello è, dei tre, il piatto preferito del cliente; altrimenti non c’è motivo comprensibile per cui venire a conoscenza dell’esistenza del pollo arrosto debba far cambiare idea tra sogliola e bistecca.
Da esperimenti condotti da Tversky, sembra che l’aggiunta di un’alternativa ulteriore, fornendo un termine di paragone in più, sia in grado di rendere più competitiva rispetto all’altra, una delle due opzioni originarie.
Secondo Butler ed Hey, gli ideatori dell’esperimento bistecca-sogliola, il motivo di questo comportamento può dipendere dal fatto che la preferenza per la sogliola non era una preferenza spiccata, ma poteva discendere da valutazioni di tipo “regret”, per cui la struttura di valutazione dell’individuo risultava chiaramente alterata con l’introduzione di un’altra alternativa.
Comunque, quale che sia la spiegazione, si tratta chiaramente di valutazioni che ci portano a scelte in palese contraddizione con le ipotesi di base del modello di scelta razionale.
Ma ci sono altri atteggiamenti in base ai quali il “principio della cosa sicura” risulta violato sistematicamente. Sono atteggiamenti, tendenze, che costituiscono un ulteriore bias che porta il nome di “effetto disgiunzione”. Di questo tunnel della mente, è stata data notizia, per la prima volta, nell’autunno del 1992, in seguito ad un’intuizione di Amos Tversky, il quale si rese conto di essere stato vittima, egli stesso, di un “abbaglio”. La situazione fu la seguente:
Nel suo dipartimento (quello di psicologia dell’Università di Stanford, in California), si erano rese disponibili due cattedre. Dopo un attento vaglio di molti ottimi candidati, Tversky e i suoi colleghi selezionarono i due migliori.
Quello selezionato per la prima cattedra aveva dei requisiti di poco superiori al candidato scelto per la seconda cattedra.
Nonostante i due fossero già stati selezionati, venne deciso di non fare l’offerta al secondo candidato prima di aver ottenuto la risposta definitiva del candidato per la prima cattedra.
Ora, fa notare Tversky, sia che il primo avesse accettato, sia che avesse rifiutato, l’offerta relativa alla seconda cattedra per il secondo candidato, sarebbe rimasta la stessa.

Tutti ne erano ben consapevoli, eppure tutti – egli compreso – decisero di aspettare.
Quando siamo di fronte a due (o più) situazioni delle quali non sappiamo ancora quale si avvererà in futuro (pur sapendo che
una o l’altra si avvererà), ci blocchiamo e non riusciamo ad agire.
Ci sembra di non avere una ragione sufficiente per farlo, e ciò nonostante l’azione che andremo a fare sarà la medesima a prescindere dall’alternativa che ci si proporrà. L’alternativa “uno o l’altro”, che nel gergo della logica si chiama disgiunzione e che in questi casi dovrebbe bastare a farci agire, invece non ci basta. E disattendendo completamente il principio di Savage, è proprio così che, assai poco razionalmente, non prendiamo certe decisioni.
Ma c’è di più. Tversky, in collaborazione con Shafir (1992), condusse anche altri esperimenti, in cui emerse l’effetto
disgiunzione, anche nell’ambito dei modelli relativi alla “teoria dei giochi”, di cui si è ampiamente esposto nel cap.2, par.6.
In questi modelli, viene ben precisato che l’avversario ha già effettuato la scelta della sua strategia e che non c’è alcuna possibilità che la sua decisione influisca su quella dell’avversario.
La teoria dei giochi afferma che quando non è possibile comunicare con l’avversario, né c’è modo di predire le decisioni dell’avversario, egoisticamente conviene sempre competere (sorvolo sui vari distinguo).
L’interessante è che nei problemi-modello creati al computer da Shafir e Tversky, il 67% dei soggetti ha mostrato di adottare il seguente schema decisionale:

– competo se so che l’avversario ha deciso di competere
– competo se so che l’avversario ha deciso di cooperare
– coopero se non so ancora quello che ha fatto l’avversario

Si noti bene: non quello che farà, ma quel che ha fatto. So bene che la mia scelta non può influire in alcun modo sul risultato finale, perché la scelta dell’avversario è già stata fatta. Eppure, se già so con certezza quale è stata la scelta dell’avversario, allora faccio la scelta per me più vantaggiosa; ma se non so quale è stata, in questo caso effettuo una scelta diversa.
In questo modo, ancora una volta, viene disatteso il principio per cui non dovrei curarmi di circostanze che non sono rilevanti nell’ambito della mia situazione decisionale (sure thing principle).
L’effetto disgiunzione entra così anche nel cuore stesso dei modelli di scelte economiche.
Tversky e Shafir hanno tentato di dare una spiegazione a questo comportamento: in circostanze simili, i soggetti tendono a
scegliere lo stato di cose che vorrebbero vedersi avverato e cioè quello che essi sperano. Il fenomeno non è molto diverso da quello che accade quando nel gioco dei dadi, si tira un dado con più forza quando ci occorre un sei e con più delicatezza quando speriamo in un uno. La realtà di questo fenomeno è stata dimostrata sperimentalmente: sulla portata della sua irrazionalità non ci sono dubbi, eppure è un comportamento del quale la nostra psiche non riesce a liberarsi.

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