trauma psicologico memoria

Il trauma psicologico danneggia le aree del cervello della memoria

Il trauma psicologico non si limita a creare problemi mentali, ma influisce nello specifico sulla memoria.

E’ dimostrato infatti che le persone che sviluppano un disturbo post-traumatico da stress hanno riduzione dell’estensione dell’ippocampo. Si tratta di un’area del cervello fondamentale per la nostra memoria.

Ce ne parla in questo articolo su trauma e memoria Greta Manoni, spiegandoci bene cosa accade nel cervello di una persona che ha subito un trauma.

Cosa succede nel cervello di una persona con disturbo post-traumatico da stress

Pazienti affetti da disturbo post-traumatico da stress presentano alterazioni del sistema nervoso centrale. Per spiegare come queste si sviluppano da un punto di vista organico, sono stati studiati i sistemi di neurorecettori e neurotrasmettitori, nonché determinate aree cerebrali probabilmente coinvolte nello stress ed in particolare nel PTSD.

Estinzione, sensibilizzazione e condizionamento nel trauma psicologico

I meccanismi presi in esame sono stati principalmente quelli dell’estinzione e della sensibilizzazione, cioè meccanismi di condizionamento dello stimolo stressante mediati appunto da sistemi neurochimici.

La sensibilizzazione è un aumento nella probabilità di ottenere una risposta, normalmente provocata da uno stimolo biologicamente significativo, in seguito alle ripetute esposizioni ad esso.

L’estinzione (o assuefazione) è il contrario, avviene cioè quando la ripetuta presentazione di uno stimolo determina una progressiva riduzione ed un venir meno della risposta ad esso associata. Questi meccanismi rappresentano entrambi tipi di apprendimento non associativo, sono cioè dovuti all’esposizione ad un singolo stimolo specifico.

Essi hanno un significato adattivo poiché, operando in tal modo, danno la possibilità all’individuo di trarre vantaggio dalle regolarità statistiche dell’ambiente, senza dover apprendere quali ambienti specifici sono correlati ad eventi biologicamente significativi.

Le persone traumatizzate subiscono un condizionamento della paura

La maggior parte delle teorie del disturbo post-traumatico invocano processi che coinvolgono il condizionamento della paura. In particolare è stata presa in considerazione l’estrema reattività psicofisiologica dei pazienti ai ricordi del trauma.

Essa è stata spiegata con il meccanismo della sensibilizzazione comportamentale agli stimoli stressanti, sviluppata dai pazienti in seguito al trauma. Questo modello presuppone che, al momento del trauma, l’ondata di ormoni dello stress rilasciati in associazione con la paura vissuta dall’individuo si traduca in un forte apprendimento associativo tra gli stimoli presenti al momento del trauma e le risposte alla paura. Gli stimoli associati assumono la proprietà di prevedere la minaccia futura, dando così origine ad una nuova esperienza di paura quando l’individuo è esposto a ricordi (interni o esterni) del trauma.

Questo modello presuppone che il recupero delle normali associazioni stimolo-risposta implichi l’apprendimento dell’estinzione, ottenuto attraverso l’esposizione ripetuta dell’individuo ai ricordi del trauma, in occasioni ove non vi siano conseguenze avverse.

Rievocare il trauma fa male così come viverlo

I paradigmi sperimentali in questo ambito hanno indirizzato i partecipanti ad ascoltare resoconti preregistrati del loro trauma, durante i quali si ottengono dati circa la frequenza cardiaca, la conduttanza della pelle o le misurazioni dell’elettromiogramma facciale; ciò si traduce generalmente in una maggiore reattività nei casi di PTSD rispetto ai controlli.

Coerentemente con i modelli di condizionamento della paura, si riscontra un aumento della frequenza cardiaca a riposo nei giorni successivi al trauma in coloro che successivamente sviluppano PTSD.

Quali aree del cervello si attivano durante la rievocazione del trauma

Interessanti osservazioni riguardanti questi studi sono state ottenute tramite tomografia ad emissione di positroni (PET[1]).

Studi PET hanno riportato un significativo aumento del flusso sanguigno cerebrale regionale nelle strutture limbiche e paralimbiche di destra; inoltre l’amigdala e la corteccia visiva secondaria (area 18 di Brodmann) risultano altamente attivate.

Si riscontra invece una diminuzione significativa del flusso sanguigno a livello della corteccia temporale inferiore e nell’area di Broca, una regione dell’emisfero di sinistra ritenuta responsabile della costruzione di esperienze semantiche.

Il nostro cervello codifica gli eventi traumatici in modo diverso dagli eventi ordinari

Ciò si accorda con il fatto che i pazienti affetti da PTSD hanno difficoltà nel ricostruire cognitivamente le loro esperienze traumatiche; ed inoltre ciò potrebbe dimostrare che i ricordi traumatici vengono codificati in modo differente rispetto ai ricordi di eventi ordinari, probabilmente a causa dell’alto grado di arousal emozionale che accompagna tali eventi.

Come ricordiamo il trauma

Brewin nel 1996 propose infatti l’esistenza di due livelli di memoria in cui può collocarsi l’informazione del trauma: a livello dei ricordi accessibili verbalmente (per cui alla nostra coscienza si presenta una ricostruzione dell’esperienza traumatica che può essere manipolata soprattutto con il coinvolgimento dell’emisfero sinistro); e a livello dei ricordi scatenati da situazioni che non sarebbero accessibili alla coscienza, e pertanto questi non possono essere ricostruiti o manipolati (i flashback ne sono una dimostrazione).

Il verificato aumento del flusso sanguigno a livello della corteccia visiva secondaria durante la presentazione delle immagini traumatiche suggerisce invece che l’attivazione delle strutture cerebrali sensitive potrebbe essere la causa dei fenomeni di “riesperienza” nel PTSD.

La definizione di flash-bulb: quando ricordiamo i dettagli del trauma molto a lungo

A proposito delle immagini del trauma subito, già nel 1889 Janet aveva suggerito che le intense reazioni emozionali conseguenti al trauma avessero come risultato l’insorgenza di ricordi correlati all’evento, dissociati dalla coscienza e immagazzinati come sensazioni viscerali o immagini visive, pronte ad emergere in un secondo momento come flashback e incubi. Brown e Kulik nel 1977 coniarono il termine di ricordi “flash-bulb” per esprimere il concetto che i ricordi, appunto, di eventi molto sconvolgenti rimangono a lungo freschi e vividi nella memoria e mostrano principalmente le caratteristiche di ricordi non verbali. Sostennero inoltre che in casi di estrema gravità e sorpresa l’intero sistema mnemonico può essere destrutturato portando all’amnesia dell’evento.

Le persone traumatizzate possono infatti sperimentare il “terrore di rimanere senza parole”, cioè l’incapacità di elaborare cognitivamente il grave stress subito, catturandolo con parole e simboli ed alleviando la propria sofferenza attraverso il comunicare ad altri quanto accaduto.

Il volume di alcune aree del cervello si modifica nel trauma psicologico (regioni prefrontali, ippocampo e memoria)

I modelli PTSD di condizionamento della paura sono avvalorati dall’esistenza di prove riguardanti diversi cambiamenti neurali che sono coerenti con i circuiti noti per essere implicati nel condizionamento della paura (l’amigdala, la corteccia prefrontale e l’ippocampo).

Esistono varie evidenze di un volume ridotto delle regioni prefrontali nel disturbo post-traumatico da stress.

In particolare, molti studi indicano che il PTSD è correlato ad una dimensione minore dell’ippocampo. Bremner e collaboratori dimostrarono nel 1996 la lateralizzazione asimmetrica a livello ippocampale in 26 veterani del Vietnam, rispetto a 22 controlli opportunamente scelti. In particolare, l’ippocampo destro risultava più piccolo in volume nella misura dell’8% rispetto ai controlli; e questa differenza non era presente nelle altre aree cerebrali prese in considerazione come riferimento. Tale studio porta a due conclusioni possibili: le minori dimensioni dell’ippocampo potrebbero essere presenti anche alla nascita e costituire una predisposizione allo sviluppo del disturbo; oppure i traumi subiti (attraverso l’aumentato rilascio di glucocorticoidi e di altri neurotrasmettitori) possono aver danneggiato l’ippocampo diminuendone il volume.

L’ampiezza dell’ippocampo si riduce nel trauma psicologico

La misura in cui un ippocampo più piccolo rappresenti una conseguenza del disturbo o un fattore di rischio deve ancora essere affrontata in modo definitivo. Tuttavia uno studio che ha confrontato coppie di gemelli monozigoti prestanti -oppure no- servizio in Vietnam (Ciszewski, Gilbertson, Shenton et al. 2002), ha scoperto che i gemelli non prestanti servizio in Vietnam mostravano ippocampi altrettanto piccoli. Oltre a ciò, un altro studio del 1995 verificò una riduzione volumetrica ippocampale sinistra del 12% in 17 pazienti vittime di abusi sessuali infantili rispetto ai campioni attentamente scelti.

Il trauma psicologico aumenta le catecolamine

Per quanto riguarda i sistemi di neurorecettori e neurotrasmettitori coinvolti nel disturbo post-traumatico da stress, i primi studi hanno rilevato livelli anormalmente alti di catecolamine e dei loro metaboliti nel plasma e nelle urine di soggetti sottoposti a stress grave, così come nei pazienti con PTSD; suggerendo che livelli aumentati di catecolamine possano essere responsabili di alcuni sintomi del disturbo (Southwick et al., 1999).

Studi che hanno esaminato il numero di recettori alfa-2 (recettori adrenergici) hanno mostrato che sia i veterani che i bambini con diagnosi di PTSD avevano meno siti di legame alfa-2 per piastrina rispetto ai controlli sani (Giller, Perry e Southwick, 1987; Pitman et al., 2012), suggerendo cambiamenti adattivi presumibilmente in risposta a più alti livelli di catecolamine circolanti. Charney e collaboratori hanno inoltre proposto il seguente modello per lo sviluppo del PTSD: il trauma originale porta all’attivazione di noradrenalina a livello del locus coeruleus, dell’ippocampo, dell’amigdala, dell’ipotalamo e della corteccia cerebrale; generando ansia, paura, irritabilità, iperarousal e predisposizione alla reazione “fight or flight”.

Nello stress acuto aumenta la dopamina

Si riscontra anche un aumento, in condizioni di stress acuto, di dopamina a livello della corteccia prefrontale mediana. Il sistema dopaminergico prefrontale, attraverso le sue connessioni con l’amigdala, è coinvolto nella funzione cognitiva superiore dell’attenzione, ed è quindi stato ipotizzato da questi autori il suo coinvolgimento nei sintomi di ipervigilanza presenti nei pazienti PTSD.

Nel trauma psicologico aumentano gli oppiodi: si tratta di un meccanismo di difesa del cervello che ci porta a sentire meno dolore

Infine, ulteriori studi hanno dimostrato il verificarsi di un aumentato rilascio di oppioidi nella corteccia e nell’amigdala di pazienti traumatizzati, che sarebbe responsabile sia dell’analgesia percepita dal soggetto al momento dell’evento traumatico (analgesia che permetterebbe la sopravvivenza all’evento stesso); sia del successivo offuscamento emozionale che si verifica nel PTSD.

Il danneggiamento del locus coeruleus porta a disturbi del sonno nel trauma psicologico (memoria)

A questo proposito, McIvor ha osservato che l’automedicazione con oppioidi è la più comune forma di abuso nei pazienti affetti da PTSD. Lo stesso ricercatore ha correlato i disturbi del sonno di questi pazienti con il coinvolgimento nell’evento traumatico del locus coeruleus, nucleo situato nel tronco encefalico che rappresenta il principale sito della sintesi cerebrale di noradrenalina; sede inoltre della regolazione fisiologica del sonno. Nei prossimi paragrafi analizzerò più in dettaglio gli effetti neurobiologici dei due maggiori neurotrasmettitori coinvolti nel disturbo post-traumatico da stress, noradrenalina e serotonina, e delle disregolazioni nel sistema glucocorticoide.

Note sul trauma psicologico e danneggiamento della memoria

[1] *Sigla di Positron Emission Tomography, la PET è una metodica della medicina nucleare che permette di ottenere immagini di distribuzione tridimensionale della radioattività all’interno di una sezione corporea. La PET impiega isotopi radioattivi emittenti positroni (cioè particelle aventi la stessa massa e carica di un elettrone, ma segno opposto, positivo), prodotti mediante un ciclotrone. Il principio su cui si basa è legato alla possibilità di marcare composti di interesse biologico (come il glucosio, l’H2O o i neurotrasmettitori) con isotopi radioattivi che, non modificando la struttura e il comportamento biochimico, permettono di seguirne il destino all’interno del tessuto cerebrale. Il potere di risoluzione è pari a circa 5-9 mm.

A cosa serve la PET nel trauma psicologico

La PET permette di indagare aspetti funzionali biochimici e metabolici dell’encefalo. La PET rappresenta, per la sua versatilità e molteplicità di applicazioni, uno strumento unico per studi di fisiopatologia in vivo. La possibilità di studiare aspetti funzionali quali il flusso ematico cerebrale, il consumo e l’estrazione di ossigeno, il metabolismo glucidico e, più recentemente, il sistema dei neurotrasmettitori cerebrali, ha consentito notevoli progressi nel campo delle neuroscienze.

 

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