disturbo post traumatico da stress rimedi e trattamento

Disturbo post traumatico da stress: rimedi e trattamento

Daniela Moschetto spiega come superare il disturbo post traumatico da stress (rimedi). I rimedi nella maggior parte dei casi possono essere affrontati con la psicoterapia. Non esistono studi sull’efficacia dei rimedi omeopatici in questo senso.

Due tipi di trattamento che posso consigliarti sono l’EMDR e la psicoterapia sensomotoria.

Come funziona il trattamento del Disturbo post traumatico da stress (DPTS)

Il trattamento del DPTS richiede un attento lavoro di sviluppo della capacità di regolazione delle emozioni e dei pensieri associati all’evento traumatico. I diversi approcci che si richiamano alle differenti scuole teoriche concordano sull’idea che per il trattamento del DPTS siano necessari tentativi guidati di rievocazione dell’evento traumatico.

Per gli psicologi cognitivisti la rievocazione fa parte di un lavoro orientato a desensibilizzare il paziente dalla paura evocata dal trauma.

Per altri autori di orientamento psicodinamico, la rievocazione del trauma deve avvenire all’interno di una relazione paziente-terapeuta rassicurante contenitiva,affinchè non abbia effetti devastanti tali da acuire i sintomi post-traumatici, portando il paziente a evitare qualsiasi tipo di aiuto

Le 5 fasi del trattamento del disturbo post traumatico da stress (DPTS)

Van derKolk, McFarlane e van derHart (2004) hanno delineato un trattamento del DPTS che si articola in cinque fasi:

  • Stabilizzazione: fase finalizzata a incrementare la capacità di identificare e regolare le emozioni, la concentrazione sui contenuti piuttosto che sugli affetti, la programmazione delle attività quotidiane, l’uso adeguato dell’esercizio fisico e del cibo;
  • Decondizionamento dei ricordi e delle risposte traumatiche: fase in cui il terapeuta aiuta il paziente nel processo di simbolizzazione e di verbalizzazione del ricordo traumatico. Chi soffre di DPTS è infatti vittima di vissuti frammentati riguardanti il trauma e non di un ricordo integro e coerente;
  • Ristrutturazione degli schemi traumatici personali: fase dedicata al lavoro sugli schemi mentali che hanno favorito lo svilupparsi della sindrome post-traumatica. L’intervento psicoterapico deve favorire la modificazione del modo di percepire sé stessi e gli altri, facendo acquisire al soggetto un valore positivo di sé e un senso di autoefficacia necessari per affrontare in maniera adeguata le situazioni stressanti;
  • Ripristino di connessioni sociali stabili e dell’efficacia interpersonale: spesso ad aggravare la stabilità psicologica dopo un trauma è il mancato sostegno sociale. A conferma dell’importanza del supporto sociale nella gestione degli eventi stressanti, molte ricerche hanno riscontrato che una famiglia capace di sostenere emotivamente la vittima rende quest’ultima meno a rischio di sviluppare psicopatologie;
  • Accumulo di esperienze emotive di ripristino: in quest’ultima fase il paziente viene incoraggiato a intraprendere attività piacevoli, in cui può ricavare un senso di controllo e di gratificazione.

Non tutti i DPTS sono uguali. Le forme lievi necessitano solo di poche sedute

In condizioni lievi le cinque fasi possono susseguirsi senza che vi sia bisogno di un ritorno alla fase precedente. Nei casi di DPTS gravi, è spesso necessario ritornare alla fase di stabilizzazione, dato che la personalità nel suo complesso può reagire a molti aspetti della vita quotidiana come se rivivesse le sensazioni ed esperienze del trauma.

I sintomi del disturbo post traumatico da stress

I sintomi accusati da chi soffre di questo disturbo riguardano una particolare sensibilità allo stress, la ricorrenza di ricordi intrusivi, i comportamenti di evitamento di tutte quelle situazioni che possono rievocare la memoria del trauma, l’intolleranza al dolore traumatico. Tali sintomi sono strettamente associati a un fallimento della mentalizzazione (Allen, Fonagi e Beteman, 2010). Lo sviluppo della mentalizzazione permette al paziente di poter parlare del trauma senza che ciò provochi un dolore così intenso da attivare misure difensive di evitamento.

Il deficit della mentalizzazione è implicato anche nella riattualizzazione del trauma.

Un’altra forma di riattualizzazione, che risulta essere presente soprattutto nelle vittime di abusi fisici o sessuali è la tendenza, non intenzionale, alla rivittimizzazione, ovvero ad essere “nuovamente” vittima, così come lo si era stato in passato. La riattualizzazione, proprio perché fa rivivere piuttosto che ricordare il trauma e il dolore emotivo ad esso associato, rappresenta un fallimento della mentalizzazione. Obiettivo del trattamento deve essere, di conseguenza, quello di passare da un “rivivere” atrocemente doloroso a un “ricordo” doloroso sopportabile. Per ottenere ciò gli autori propongono un trattamento basato sulla mentalizzazione.

Disturbo post traumatico da stress e mentalizzazione

L’incremento della mentalizzazione necessita di un setting contenitivo capace di orientare l’attenzione del paziente su quanto accade in lui nella relazione con il terapeuta. Perché ciò avvenga è necessario che il terapeuta mantenga un atteggiamento mentalizzante nella relazione con il paziente, ovvero che sia abile nell’interrogarsi costantemente su quali stati mentali interni, propri o del paziente, possano spiegare ciò che accade nell’” hic et nunc”.

Tale atteggiamento ha una funzione di contenimento per il paziente, il quale si sentirà al sicuro nell’esplorare le emozioni dolorose associate al trauma.

Il setting terapeutico assume così la funzione di spazio potenziale, ovvero di un’area intermedia in cui il paziente può prendere le distanze dai ricordi traumatici ponendoli fuori della mente, facendoli rientrare in una relazione in cui troveranno un nuovo significato, favorendo così anche la capacità del paziente di identificare, esprimere e modulare le emozioni, in particolar modo quelle associate al trauma. Se il paziente continua a tornare al passato, il terapeuta deve riconnetterlo al presente e spostare il processo terapeutico nel “qui e ora”. Il richiamo al momento presente e lo sviluppo della mentalizzazione aiutano il paziente a distinguere il passato dal presente e a recuperare una maggiore consapevolezza sull’influenza che le emozioni e i pensieri associati al trauma hanno sulla sua vita attuale.

Disturbo post traumatico da stress (rimedi):

La psicoterapia sensomotoria

Sviluppata negli anni 80 da Ogden e altri (2006), la psicoterapia sensomotoria rappresenta uno strumento utile per il trattamento delle sindromi post-traumatiche. Questo tipo di psicoterapia rivolge l’attenzione a sensazioni fisiche ripetitive e ingestibili, inibizioni dei movimenti e intrusioni somato-sensoriali caratteristiche dei traumi non risolti.

La postura, i movimenti degli occhi e del corpo sono indicatori imprescindibili che possono guidarci in un percorso di recupero di informazioni di cui spesso il paziente non è consapevole. Nel trattamento dei pazienti con DPTS, è necessario che il terapeuta lavori sulle reazioni senso motorie affinché possa favorire in essi l’integrazione dei tre livelli di elaborazione delle informazioni (sensoriale, emotiva e cognitiva), aiutandoli così a essere consapevoli di quanto accade nel proprio corpo in associazione all’evento traumatico.

Disturbo post traumatico da stress (rimedi): il caso dell’Eye Moviment Desensitization and Reprocessing. EMDR

Viene considerato come uno dei metodi psicoterapeutici più efficaci per il trattamento del DPTS. La realizzazione di tale metodo parte da un’esperienza personale della psicologa americana. La scoperta è relativa alla possibilità di ridurre, attraverso una procedura di desensibilizzazione mediata dalla consapevolezza delle sensazioni corporee, la sofferenza associata al trauma.

L’intervento prevede che il paziente porti alla mente l’immagine del trauma, muovendo contemporaneamente gli occhi a destra e a sinistra. Ogni ciclo di stimolazione bilaterale induce il paziente a elaborare le emozioni, le sensazioni e i pensieri associati al trauma.

Tale metodo di intervento rappresenta un’ulteriore conferma all’idea che per il trattamento delle sindromi post-traumatiche non si possa prescindere dal corpo e dalle sue influenze sulla cognizione e sulla regolazione delle emozioni associate al trauma (Shapiro, 1987).

Alcuni autori sostengono la necessità di ulteriori verifiche di tale metodo, nonostante i numerosi casi di successo.

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