La razionalità limitata di Herbert Simon (1955)
Razionalità limitata di Herbert Simon (1955)
Il modello di Von Neumann e Morgestern, basandosi sull’utilità attesa di ciascun individuo – il che significa che permette di tenere in debita considerazione gli interessi e le caratteristiche dell’individuo – rappresenta il modello più completo e soddisfacente nell’ambito della teoria della scelta in condizioni di
incertezza. Tuttavia questo modello si basa su un assunto fondamentale: e cioè che gli esseri umani si comportino in maniera perfettamente razionale, scegliendo sempre fra le varie alternative, quella in grado di offrire il massimo grado di soddisfazione. La critica principale a questo modello investe proprio la premessa fondamentale: le osservazioni empiriche dimostrano che ben difficilmente gli individui si comportano razionalmente, per vari motivi, che vanno dalla limitatezza cognitiva di cui dispongono rispetto alla complessità dell’ambiente in cui si trovano ad operare; al fatto di essere sistematicamente vittime di veri e propri “abbagli mentali” al presentarsi di determinate circostanze.
Alla luce di queste osservazioni, ben presto l’attenzione comincia a focalizzarsi su questa componente di irrazionalità e ciò che si cerca di fare è incorporarla in qualche modo nelle varie teorie alternative a quella dell’utilità attesa, che si vanno via via elaborando.
Di tutte queste teorie, solo alcune sono riuscite ad imporsi come valide alternative alla teoria formale della scelta in condizioni di incertezza; perché più complete e dettagliate di altre, anche se si è ben lungi, in questi modelli, dall’aver raggiunto un grado di completezza che possa essere considerato esaustivo.
Le principali teorie elaborate, come critica e poi anche come alternative alla teoria dell’utilità attesa sono:
a) la teoria di Simon sulla razionalità limitata (che rappresenta l’esempio più organico di critica all’ipotesi di ottimizzazione nelle scelte economiche),
b) la teoria del prospetto di Kahneman e Tversky
c) la teoria del regret di Bell, Loomes e Sugden.
Esse verranno illustrate in questo capitolo; seguiranno poi alcuni paragrafi dedicati ad argomenti che seppur non rappresentano delle vere e proprie critiche al modello di scelta classico, tuttavia costituiscono comportamenti in contrasto con quel modello e che pertanto vanno tenuti in considerazione nel quadro di un lavoro che si propone di individuare i meccanismi psicologici alla base delle scelte economiche degli individui.
Herbert Simon e la razionalità limitata
L’economia è la scienza che celebra la razionalità umana in tutti i modi in cui essa si manifesta nella condotta dell’uomo. E’ stata ingiustamente etichettata “scienza triste”, poiché, in realtà, essa dà un’immagine romantica, quasi eroica della mente umana.
La teoria economica classica dipinge l’umanità come in grado di risolvere problemi di ottimizzazione dell’allocazione delle risorse, estremamente complessi. L’Uomo Economico è in grado di effettuare nell’ambiente in cui si trova, l’adattamento assolutamente migliore per i suoi bisogni e desideri.
Se tutto questo fosse vero, l’uomo non sarebbe più tale.
Il premio Nobel Herbert Simon è stato il primo a scuotere le acque della teoria economica, dimostrando che gli esseri umani non sono in grado di comportarsi come i soggetti razionali descritti nei modelli teorici di scelta.
Simon, pioniere nel campo dell’Intelligenza Artificiale, si accorse di questa incongruità, mentre programmava un computer affinché “ragionasse” su un problema.
Ciò che emerse dai suoi studi fu, che quando ci si trova davanti ad una questione complessa, raramente troviamo la soluzione ragionando in modo chiaro e lineare. Piuttosto, procediamo a tentoni, cercando in modo un po’ casuale, fatti e informazioni potenzialmente rilevanti, e normalmente smettiamo la nostra ricerca, una volta che la nostra comprensione del problema ha raggiunto un certo livello.
Di conseguenza, le conclusioni cui giungiamo possono essere incoerenti, o del tutto sbagliate. Ciò nonostante, di solito otteniamo soluzioni, che seppur imperfette, possono funzionare: ci interessa cioè trovare soluzioni soddisfacenti, non ottime (Frank, 1998).
Al centro di questo modo di vedere le cose, sta il concetto di “razionalità limitata”, coniato dallo stesso Simon, e che sta a testimoniare l’esistenza di limiti cognitivi del soggetto decisionale – limiti nella conoscenza e nella capacità di calcolo.
Quando cioè una questione è molto complessa (come in genere lo sono le questioni che ci si propongono nella realtà, poiché infinite sono le variabili da tenere in considerazione), la raccolta di tutte le informazioni può diventare troppo costosa.
In questa condizione diventa irrazionale voler prendere una decisione secondo quanto prescritto dai modelli più semplici della teoria della scelta razionale.
Paradossalmente, diventa irrazionale voler essere completamente informati: di fronte a una situazione di scelta nella quale è impossibile ottimizzare, o dove il costo in termini di calcolo per farlo sembra oneroso, il soggetto di decisione può cercare un’alternativa soddisfacente anziché ottimale. E’ il cosiddetto criterio di tipo satisficing.
Nella teoria economica neoclassica, posto centrale è occupato dal problema della scelta fra alternative date, secondo il criterio fornito da una funzione di utilità data. Un grosso limite di questa teoria, consiste però nel tacere l’origine delle alternative, del contenuto della funzione di utilità, o i mezzi che l’agente
economico deve utilizzare per mettere in relazione le alternative e le loro conseguenze, misurate in termini di utilità. Questo grosso limite ha a che fare con la scarsità di ipotesi empiriche sul comportamento – e relativa osservazione delle stesse – che stanno alla base della teoria.
Nel modello della scelta razionale, i gusti sono un dato esogeno, e non vi è alcun motivo logico di metterli in discussione.
A tal proposito Jeremy Bentham affermava che l’interesse per la poesia non è meritevole di attenzione più dell’interesse per le puntine da disegno.
Un approccio di questo genere induce a ciò che George Stigler avrebbe definito “problema dell’olio lubrificante”. In sostanza, se vedessimo qualcuno bere l’olio usato della sua auto e, subito dopo, contorcersi dal dolore, dovremmo semplicemente concludere che l’olio gli piaceva davvero, altrimenti perché mai avrebbe dovuto berlo?
Praticamente ogni comportamento, per quanto bizzarro, può essere spiegato ipotizzando una particolare preferenza del soggetto per quel comportamento. E’ questo il principale punto debole della teoria: permettendoci di spiegare tutto, non spiega niente.
Le teorie che derivano dalla razionalità limitata hanno bisogno di ipotesi empiriche più articolate, da cui la necessità di osservazioni più estese del comportamento reale, nel processo decisionale degli esseri umani.
La maggior parte delle scelte umane nella realtà, incomincia dal riconoscimento della necessità di prendere una decisione, per passare poi a scoprire una o più alternative che soddisfino questa necessità.
Ma come si individuano tali alternative?
La scienza cognitiva ci fornisce oggi un notevole corpus teorico in grado di spiegare in che modo il soggetto decisionaleimpieghi le proprie capacità per generare o identificare lealternative.
La conoscenza del processo di scoperta è un importante strumento che può essere messo a disposizione dell’economia come punto da cui partire per colmare quelle che sono le lacune della teoria neoclassica.
La teoria cognitiva ci insegna che le varie alternative vengono scoperte attraverso la ricerca euristica all’interno degli spazi del problema. Dunque, il processo umano di soluzione dei problemi, segue regole empiriche (dette, appunto, euristiche).
Ora, nei problemi del mondo reale, il numero delle componenti e dei modi di combinarle, è così elevato da non potersi utilizzare il processo di ricerca per prova ed errore di tutte le possibilità. Occorre selezionare le possibili direzioni lungo le quali è probabile rinvenire una soluzione al problema dato. Occorre selezionare le alternative che siano rilevanti per la soluzione di quel problema.
Abbiamo visto che, in base alla teoria della razionalità limitata, il fine cui si tende è trovare una soluzione “soddisfacente”.
E’ necessario dunque trovare uno standard che stabilisca in cosa consista un prodotto soddisfacente, in modo che il decisore possa cessare la ricerca quando trovi un’alternativa che lo soddisfi (cosiddetta regola dell’arresto).
La psicologia, a questo scopo, ha introdotto il concetto di livello di aspirazione.
Chi deve risolvere un problema, si forma un giudizio sulla qualità della soluzione che si aspetta di raggiungere, con un investimento ragionevole in termini di sforzo. Tale giudizio è in genere determinato dall’esperienza passata e dal bagaglio cognitivo che il decisore porta con sé. Questo giudizio definisce il livello di aspirazione e determina quando cesserà la ricerca.[1]
Le aspirazioni tendono ad alzarsi quando la ricerca di alternative migliori si riveli sufficientemente semplice, e ad abbassarsi qualora la ricerca diventi improduttiva. Questo processo è stato osservato, per esempio, negli studi empirici che hanno analizzato come gli studenti scelgono la loro prima occupazione (Soelberg, 1967).
Il livello di aspirazione si confronterà poi con il livello reale dell’esperienza: se l’esperienza supera il livello di aspirazione, si registra soddisfazione; se il livello di aspirazione è più alto, si registra insoddisfazione.
Quando Simon parla di criterio satisficing per la risoluzione dei problemi, fa proprio allusione al tipo di procedimento ora illustrato, i cui elementi fondamentali possono essere sintetizzati
come segue:
a) l’individuazione di alternative
b) la ricerca euristica con l’utilizzo di una regola d’arresto.
c) l’esistenza di livelli di aspirazione adattabili
Per Simon utilizzare questo tipo di procedimento, vuol dire avvalersi di un tipo di razionalità particolare e totalmente differente dalla razionalità che, in genere, viene utilizzata nella scienza economica.
A tal proposito, egli annota (Simon, 1982) che, nel suo modo di trattare la razionalità, l’economia neoclassica differisce dalle altre scienze sociali sotto tre aspetti rilevanti.
In primo luogo, nel suo silenzio intorno agli obiettivi che si propone; in secondo luogo, nel suo postulare una coerenza globale di comportamento; in terzo luogo, nel suo postulare l’esistenza di un unico mondo rispetto al quale il comportamento è totalmente razionale. Vale a dire che nel calcolo della razionalità, si presuppone una perfetta conoscibilità attuale e prospettica dell’ambiente esterno.
In contrasto con questo modo di concepire la razionalità, le altre scienze sociali cercano, in primo luogo, di determinare empiricamente la natura e le origini dei valori, unitamente al loro cambiamento nel tempo. In secondo luogo cercano di determinare le strategie computazionali che sono impiegate nel determinare le scelte. Inoltre, le altre scienze sociali cercano di spiegare le modalità attraverso cui, i processi non razionali entrano nella determinazione dei processi razionali.
Quindi, ad avviso di Simon (e come abbiamo già visto), nella scienza economica la razionalità è definita in termini delle scelte che essa produce ed è una razionalità che egli definisce sostanziale; in psicologia essa è definita in termini dei processi che impiega e pertanto è una razionalità procedurale. Egli rileva che, per lungo tempo, le due forme non si sono incontrate, ritenendo, altresì, che la razionalità procedurale acquisterà via via un peso crescente all’interno della ricerca economica, come conseguenza della necessità di trattare la limitatezza dell’universo informazionale a cui il soggetto economico può attingere.
* * *
Quanto detto finora, a quali conclusioni ci porta?
Abbiamo visto che le teorie della razionalità limitata, sono teorie sul processo decisionale e di scelta. Sono però teorie che tengono conto delle capacità reali della mente umana per descrivere il processo decisionale.
Ora, una teoria di questo genere, che si propone di essere veridica, può svilupparsi soltanto sulla base della conoscenza empirica delle capacità e dei limiti della mente umana; vale a dire sulla base della ricerca psicologica.
Dunque, un reale progresso della teoria economica, è strettamente legato ad una quantità massiccia di lavoro empirico da effettuarsi al livello degli agenti economici che prendono le decisioni. Tutta la dinamica del sistema economico dipende in maniera critica da come puntualmente si comportano gli agenti economici nel prendere le loro decisioni, e non si è trovato un modo per scoprirlo che eviti l’indagine diretta e l’osservazione dei processi.
Questa tesi – chiamata comportamentismo – è stata osteggiata per una serie di ragioni. Una delle critiche che le sono state mosse è che essa abbandona il principio di razionalità.
In realtà Simon in un suo saggio[2] ha dimostrato come tale principio era già stato abbandonato, e abbandonato in maniera fondamentale, dagli economisti classici, neoclassici, keynesiani etc., in eguale misura.
Dice infatti Simon, riferendosi alle teorie che comprendono le aspettative razionali: “… Se le aspettative si formano razionalmente… i sistemi economici corrispondenti tendono a dirigersi molto rapidamente verso l’equilibrio, e diventa molto difficile capire come possono attraversare dei cicli conseguenti di
qualsiasi genere…”
Secondo Simon, queste difficoltà vengono spiegate, appunto, con ipotesi di irrazionalità degli agenti economici, che nelle teorie economiche classiche e neoclassiche, vengono di volta in volta chiamate in modo diverso (vischiosità, shock, variabili esogene, etc.) e vengono in realtà considerate non come ipotesi di irrazionalità, bensì come risposte razionali ad informazioni imperfette.
Ma ciò su cui l’Autore vuole porre l’attenzione è che, a prescindere da come vengono chiamate, possono essere comprese soltanto se diventano oggetto di studio empirico: non è possibile dedurle come conseguenze dell’ipotesi di razionalità.
Una seconda obiezione al comportamentismo è che quest’ultimo non ha ancora elaborato una teoria completa che possa concorrere con quella classica: esso non sarebbe una vera e propria teoria, ma una serie di speranze e promesse di una teoria futura; non vi sarebbe motivo di abbandonare la teoria neoclassica, finché non venga sviluppata una nuova teoria adatta (così Blaug, 1980).
Per Simon l’argomentazione crea un circolo vizioso: il comportamentismo non può svilupparsi senza essere perseguito empiricamente, ma non vi è motivo di perseguirlo poiché non costituisce, rebus sic stantibus, un’alternativa alla teoria classica.
“Il comportamentismo non alimenta la speranza di una teoria alla quale giungere rimanendo seduti in poltrona. Si può elaborare una nuova teoria soltanto con estese ricerche empiriche – effettuate su una scala, diciamo, paragonabile a quella della ricerca empirica in biologia o geologia negli ultimi cento o
duecento anni…” (Simon, 1982)
Infine, tutto questo può essere fatto sulla base di una fonte assai potente di euristica a guida della ricerca. Durante gli ultimi venticinque anni, nel campo della psicologia cognitiva si è registrato lo sviluppo della teoria dei processi informativi che rende conto della risoluzione dei problemi umani e della formazione delle decisioni. Parallelamente alla teoria si è evoluta una metodologia per utilizzare i protocolli verbali del pensiero ad alta voce e altre risposte verbali, come dati empirici per sottoporre a test le ipotesi sui processi informativi, e si è sviluppata una potente tecnologia per trasformare questi processi in modelli, sotto forma di programmi al calcolatore, e per simularne i comportamenti.
Il contenuto sostanziale e metodologico di questo lavoro nell’ambito della psicologia cognitiva, fornisce al lavoro empirico a livello microeconomico, un quadro di riferimento teorico che fino a dieci o vent’anni fa mancava. La carenza di direttive teoriche o metodologiche non è più un motivo credibile per ritardare la fondazione di una microeconomia su basi empiriche.
[1] Simon fa notare come, se i costi e i guadagni della ricerca fossero noti, la regola dell’arresto potrebbe essere determinata come la soluzione al problema di ottimizzazione. Ma i costi e i guadagni, in genere, e nel migliore dei casi, possono essere stimati soltanto grossolanamente. – op. cit.
[2] “Sui fondamenti delle dinamiche economiche”, contenuto in Simon, op. cit.
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