Perché l’economia classica non funziona
L’economia è lo studio della scelta in condizioni di scarsità. In qualsiasi manuale possiamo trovare una definizione simile, ove per scarsità si intende non solo scarsità monetaria o di beni materiali, ma anche, per esempio, di tempo, di salute, di energia fisica etc. Ogni scelta è determinata da scarsità di risorse, e in ogni caso, la scelta da compiere è di tipo economico, anche se non c’è da metter mano al portafoglio: davanti ad una tavola imbandita dalla quale possiamo mangiare tutto quello che vogliamo, la risorsa scarsa è rappresentata dalla capacità del nostro stomaco, e la scelta di mangiare una tartina in più a scapito di una fetta di torta è valutabile in termini di costo-opportunità.
La possibilità che ogni aspetto della nostra vita sia valutato in termini economici ci rende edotti su cosa intendesse Marshall quando definì l’economia “lo studio del genere umano negli affari ordinari della vita”. Eppure nel corso di questo lavoro emergerà come, in realtà, l’economia per lungo tempo è stata ben lungi dall’essere uno strumento efficace nello spiegare e prevedere l’agire umano. Il modello economico neoclassico, infatti, parte dall’assunto che gli obiettivi e le motivazioni umane siano date a priori, sotto forma di una funzione di utilità che consente all’individuo di compiere scelte coerenti tra tutte le combinazioni alternative.
In secondo luogo, si ipotizza che gli agenti economici scelgono sempre, tra le alternative a loro disposizione, quella che comporta la massima utilità (Savage, 1954). Ossia in pratica, si suppone che gli individui abbiano a disposizione anzitutto un ambiente statico (ossia chiuso alla possibilità di essere influenzato da qualunque fattore esterno e imprevisto), del quale possiedono tutte le informazioni del caso (si ipotizza cioè, un modello relativamente poco complesso) e in tali condizioni, siano pertanto in grado di calcolare quale alternativa comporti la massima utilità (attesa)[1]
Per dirla con Simon, “gli economisti tendono a partire da qualche ipotesi teorica globale, come se l’avessero ricevuta dalle mani di Mosè, e poi ragionano in base ad essa. Se il mondo non aderisce alle ipotesi, tanto peggio per il mondo… In economia si ha uno scollamento tale tra la teoria e i dati molto diverso da qualsiasi altro campo delle scienze naturali o sociali…”[2]
Non solo. Il modello economico neoclassico, esclude in nuce la possibilità di qualsiasi istanza altruistica nell’individuo,intento com’è ad affermare il paradigma del famigerato Homo Oeconomicus, uomo egoista, razionale e informato per eccellenza.
Ora, con queste premesse, non risulta difficile capire come, siffatto strumentario, formato in buona parte da proposizioni non dimostrate, né altrimenti dimostrabili, poco si presta ad aderire ad una realtà che risulta per molteplici versi infinitamente più variegata e complessa.
[1] Si deve precisare che la descrizione del modello neoclassico appena trattata, ha il solo scopo di essere semplificativa: innumerevoli sono stati gli sviluppi successivi del modello.
[2] Intervista del 17/09/1986 fatta da Richard D. Bartel, redattore di “Challenge”.
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